Duplice delitto movente da 500 milioni di Paolo Colonnello

Duplice delitto, movente da 500 milioni Mantova: si indaga sui debiti che l'ex supertestimone aveva con le vittime. Caccia ai complici Duplice delitto, movente da 500 milioni L'ipotesi degli inquirenti per i coniugi sgozzati MANTOVA DAL NOSTRO INVIATO Il movente? Poco meno di mezzo miliardo, la cifra che Carmelo Borruto, amministratore della Schiacciatine San Giorgio, fermato l'altro ieri con l'accusa di omicidio, avrebbe voluto farei restituire da Giorgio Lalli, l'ex proprietario assassinato, per cedergli la sua quota della società, pari al 20 per cento. Questo secondo le prime ricostruzioni. Anche se probabilmente il motivo recondito di un doppio delitto del genere, di cui gli inquirenti propendono ad escludere la premeditazione, si perde nei meandri di personalità suscettibili, di rancori repressi. Un frullato da cui emerge la più semplice delle dinamiche: una lite violenta, sfociata nel sangue, in nome di qualche mistero legato ai soldi. Riciclaggio, si mormora: forse Borruto, ex poliziotto diventato imprenditore, doveva restituire il denaro di un investimento rivelatosi sbagliato a qualcuno di molto pericoloso e Lalli, da cui si sentiva bug- gerato, non aveva voluto aiutarlo. Oppure l'epilogo di una complessa vicenda di strozzinaggio tra vittima e carnefici. Giorgio Lalli non disdegnava prestiti a tassi elevati, sarebbe stato solito comprare e rivendere società decotte a prezzi esorbitanti; e dopo aver rifilato per 4 miliardi la sua ex azienda a Borruto e altri quattro soci (ma non i muri, per i quali chiedeva un affìtto di 160 milioni l'anno), ora che la Schiacciatine San Giorgio era sull'orlo del fallimento e i suoi nuovi proprietari dovevano sborsare ancora 2 miliardi e mezzo, avrebbe voluto ricomprarsela per quattro lire. Ma Borruto non parla. «Per ora dice il pm Rosina - è solo un indagato. Non ha confessato, sarà il pro¬ cesso a stabilire se è colpevole». E il difensore, Paolo Tebaldi, avverte: «Quella di non parlare è stata una scelta tecnica. Su cento dei miei clienti, 99 si avvalgono della facoltà di non rispondere. L'interrogatorio del pm non era utile alla difesa. E non so nemmeno se Borruto intenderà rispondere sabato al gip». Non ci sarà la caccia al mostro, perché i mostri sono diversi. Ma si stanno cercando i complici, o il complice: sul luogo del delitto è stata ritrovata una ciocca di capelli e altre tracce di sangue che ancora non si sa - o non si vuol dire - a chi appartengono. «Non sappiamo se i complici esistono, comunque li stiamo cercando», dice il pm. Parlano di ferocia e crudeltà i magistrati per descrivere il massacro dei coniugi Lalli, sgozzati la settimana scorsa nel magazzino adiacente la loro abitazione a Villanova de Bellis. Prima di arrivare a tagliare le gole di Lalli e di sua moglie, gli assassini hanno infierito sull'uomo con 13 coltellate: molte al viso, alcune al petto e quattro, le mortali, alla gola. Segni e ferite che testimoniano l'andamento di una lite degenerata in omicidio. Due tagli netti per Laila Lalli, uccisa dopo, ferita anche alle mani, usate probabilmente in un tentativo di difesa. E la ferocia è l'unica aggravante contestata finora a Borruto, 54 anni, origini calabresi, una villa principesca e una concessionaria d'auto a Verona, passato nello spazio di poche ore dal ruolo di super testimone a quello di super indagato, fermato l'altra sera, e tradotto in carcere, dopo un interrogatorio velocissimo: «Quando gli abbiamo sottoposto il risultato delle analisi del sangue spiegano i carabinieri -, è impallidito e non ha più aperto bocca». Alcune macchie di sangue, compatibili con quello di Borruto, ritrovate dove lo stesso aveva detto di non essere mai stato, cioè accanto ai cadaveri e nell'auto usata dagli assassini, una Lancia K abbandonata in campagna e di proprietà dell' amministratore, hanno fatto crollare la versione che il neo indagato aveva riferito con meticolosità agli inquirenti, sostenendo in pratica di essere stato sequestrato per non assistere al delitto. Una versione smentita con tale facilità alla prima verifica, da spingere i magistrati a pensare che quella sera di una settimana fa tutto avvenne con improvvisazione, con ferocia ma senza premeditazione. E se Borruto non fosse rimasto ferito da una coltellata alla mano destra, e dovendo spiegare perché, forse ora sarebbe semplicemente im «addolorato» conoscente delle vittime, con qualche problema economico in'meno, un passato un po' imbarazzante (è tutt'ora sotto mchiesta per un misterioso omicidio avvenuto nel 79, quando era ispettore di polizia) e un futuro tranquillo. Il giorno dopo il delitto, Borruto aveva resistito per dodici ore alle domande del pm Enzo Rosina, del capitano dei carabinieri Ugo Cesari, del capo della Mobile Vittorio Rossi, fornendo decine di particolari, descrivendo perfino i quattro killer che diceva di aver visto inseguire «i poveri Lalli» e che, dopo averlo ferito gli avevano permesso però, particolare curioso, di lavarsi le mani. Una versione arrampicata sui vetri, non certo da uno come Borruto, «uomo sempre sicuro di sè», dicono gli investigatori. La versione di chi, insomma, non ha avuto molto tempo per prepararsi. Quando il pm ha chiesto all'amministratore se voleva sottoporei a un esame del sangue, non ha potuto che accettare, presagendo la sconfitta. «Si tratta di una prova ripetibile», avverte il pm, «perché è stata formata mentre Borruto era ancora testimone». Paolo Colonnello L'azienda al centro della lite sarebbe sull'orlo del fallimento L'omicidio forse al termine di una violenta discussione La casa teatro del duplice delitto e l'uomo fermato, Carmelo Borruto

Luoghi citati: Mantova, Verona