Manette al supertestimone

Manette al supertestimone Aveva raccontato di essere stato rapito dai killer dei coniugi sgozzati e di essere poi fuggito Manette al supertestimone Mantova, accusato del duplice delitto MANTOVA. Poche gocce di sangue, trovate dove non avrebbero dovuto essere, nel profondo rosso del duplice omicidio Lalli, lo hanno tradito. «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Quando Carmelo Borruto, 54 anni, ha capito che dalla posizione di superteste sarebbe precipitato in quella di principale indagato per il duplice omicidio dei coniugi Giorgio e Laila Lalli, sgozzati mercoledì scorso nel magazzino della loro ex fabbrica, la «Schiacciatine San Giorgio», ha preferito tacere. Ed è rimasto zitto anche quando il pm Enzo Rosina, che lo stava interrogando, ha chiamato i militari per farlo ammanettare e trasferire in carcere in stato di fermo. Entro oggi il magistrato dovrà chiedere al gip la convalida del provvedimento per tramutarlo in arresto. L'accusa è da ergastolo: duplice omicidio volontario premeditato. - Sono state alcune tracce di sangue appartenenti a Borruto, ritrovate vicino ai due cadaveri e sull'auto utilizzata dagli assassini per fuggire, una Lancia k, a tramutare in indizi i sospetti che fm da subito avevano circondato la figura e il ruolo del «supertestimone», l'uomo che aveva raccontato, senza convincere, di essere stato sequestrato e rilasciato dagli assassini la sera in cui a Giorgio e Laila Lalli, probabilmente dopo una lite violenta, era stata tagliata la gola nel magazzino adiacente la loro abitazione, a Villanova de' Bellis, in provincia di Mantova. La perizia disposta sul suo sangue, con un prelievo al quale Borruto si era sottoposto lunedì nell'istituto di medicina legale di Modena, ha rivelato infatti la compatibilità con le tracce ematiche scoperte nel magazzino della fabbrica e sul' la lancia k. Luoghi in cui il «su pertestimone», stando alle ver sioni fornite subito dopo l'omicidio, non avrebbe dovuto tro varsi. Borruto, amministratore della «Schiacciatine San Gior gio», aveva raccontato infatti di essere rimasto in ufficio fino a tardi quella sera per sbrigare alcune pratiche. Di essere poi sceso nel cortile della fabbrica, attirato dalle grida, e aver visto i coniugi Lalli inseguiti da almeno 4 persone, due delle quali ló avevano bloccato, ferito ad una mano con un coltello, caricato su una Peugeot 205 scura, per lasciarlo poi libero in aperta campagna mezz'ora dopo. Insomma, di non aver assistito in alcun modo all'omicidio. Una versione che il giorno successivo aveva confermato anche in un'intervista a «La Stam- pa». Ma da domenica scorsa, i magistrati avevano deciso di farlo seguire: un po' per proteggerlo, come aveva richiesto l'imprenditore, ma più probabilmente per sorvegliarlo. Al punto che Borruto, un passato da poliziotto, accortosi di essere seguito da dei carabinieri in borghese, li aveva avvicinati deridendoli: «Almeno cambiate auto!». Proprio per dare una spiegazione ai clamorosi risultati della perizia, arrivata l'altra sera sul tavolo del magistrato, Bor¬ ruto ieri pomeriggio era stato convocato per un interrogatorio nella caserma dei carabinieri. Ma non più come supertestimone. In mattinata il pm Rosina aveva deciso d'iscriverlo nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio. L'esame ematico rappresentava infatti la prova che nei suoi precedenti interrogatori Borruto aveva mentito. Così, quando il pm Rosina gli ha messo sotto il naso i risultati della perizia, facendo crollare la sua ricostruzione, ha preferito tacere. E' stato quindi posto in stato di fermo e trasferito in carcere. Gli inquirenti pensano però che Borruto non sia l'unico responsabile del duplice omicidio: rimane da chiarire la posizione del suo socio, Giuseppe Iarria, anch'egli calabrese, che lo aveva aiutato, 5 anni fa, a rilevare la fabbrica di panificazione da Giorgio Lalli, pagata circa 4 miliardi. Un affare che col tempo sembra si fosse rivelato sbagliato, causando continue liti tra i nuovi soci e il vecchio proprietario. Borruto, 54 anni, calabrese di origine, ex ispettore della polizia stradale, titolare di una piccola concessionaria di auto a Verona, aveva già avuto dei guai con la giustizia. Nel 1979 venne arrestato perché alcuni pentiti lo indicarono come mandante dell'omicidio del figlio di un collega. Accusa dalla quale venne prosciolto in cassazione. Per oggi i magistrati hanno convocato una conferenza stampa per nuovi particolari. Paolo Colonnello Lo accusano quelle macchie di sangue trovate accanto ai due cadaveri Secondo le analisi è compatibile col suo Davanti al magistrato rimane in silenzio Gli inquirenti credono abbia avuto dei complici A sinistra le vittime. Sotto, il presunto killer A destra la loro proprietà

Luoghi citati: Mantova, Modena, Verona