Perdonato lo stupro di Polanski

Accordo con la procura di Los Angeles: confesserà di aver abusato d'una tredicenne, dopo vent'anni Accordo con la procura di Los Angeles: confesserà di aver abusato d'una tredicenne, dopo vent'anni Perdonalo lo stupro di Polanski Torna in America e non andrà in carcere LOS ANGELES NOSTRO SERVIZIO A venti anni dal giorno in cui agli occhi della giustizia americana è diventato un fuggiasco, Roman Polanski si appresta a fare ritorno negli Stati Uniti come un uomo libero. Secondo un accordo raggiunto con la Procura distrettuale di Los Angeles, il regista polacco si riconoscerà colpevole di avere drogato e stuprato una ragazzina di 13 anni, ma non verrà condannato a scontare la pena in carcere. Un accordo che gli permetterebbe dunque di tornare a lavorare a Hollywood, ma che ha già scatenato polemiche e proteste. «Perché mai dovrebbe venire trattato con i guanti bianchi?», si domanda indignata l'avvocatessa femminista Gloria AUred. «Perché è un famoso regista? Ha commesso il crimine, deve pagare come tutti». Sono anni che gli avvocati di Polanski lavorano con la Procura per cercare una mediazione. A sbloccare la situazione, tuttavia, sarebbe stata soprattutto la decisione della vittima di voler dimenticare e perdonare l'uomo che le ha rubato per sempre la propria innocenza. «Non ho obiezioni al suo ritorno», ha fatto sapere Samantha Giemer dalle Hawaii, dove adesso vive sposata e madre di tre bambini. «Vorrei che il caso trovasse finalmente una soluzione». Un caso che risale al 10 marzo 1977. Dopo aver diretto film come «Rosemary's Baby» e «Chinatown», Polanski è uno dei più acclamati e apprezzati registi di Hollywood. Quando conosce Samantha e le chiede di posare per lui per un servizio fotografico per l'edizione francese di «Vogue», la mamma non ha dunque esitazione: potrebbe essere il primo passo verso la via della fama. Il pomeriggio di quel fatidico 10 di marzo, Polanski si ripresenta a casa della ragazzina. Andiamo da Jack Nicholson, spiega alla mamma. Ci sarà molta gente. Ma nella villa di Nicholson, su nelle colline di Hollywood, non c'è nessuno. Polanski apre lo champagne. Uno, due, cinque bicchieri. Poi propone di spogliarsi e di entrare assieme nella vasca di idromassaggio. Samantha si sente male, le gira la testa. E che cosa fa Polanski? Le offre delle pilloline che, assicura, la faranno stare molto me- glio. Si trattava in realtà di Quaalude, un barbiturico che ha effetti afrodisiaci. Stando agli incartamenti del processo, Samantha a questo punto si addormenta. Ma quando si risveglia, ritrova in mezzo alle sue gambe la testa del regista. Protesta, ma Polanski continua. La costringe al sesso orale, la sodomizza, si ferma solo perché a un certo punto entra in casa Angelica Huston, in quei giorni agli inizi della sua burrascosa relazione con Nicholson. «La ragazzina mi sembrò un po' giù», Schiarò al processo la Huston. Samantha in realtà era a pezzi e raccontò il fattaccio alla mamma, che a sua volta lo denunciò alla polizia, col risultato che Polanski si trovò addosso sei capi di imputazione: molestie a minori, droghe a minori, relazione sessuale illegale, stupro con uso di droghe, copulazione orale e sodomia. In quei giorni, a Hollywood, pedofilia, sesso, droghe non destavano l'orrore di oggi. Attori, registi e produttori presero le difese di Polanski, dipingendo Samantha come una seduttrice, come una smaliziata e ambiziosa Lolita consapevole di quanto stava facendo. Polanski divenne invece la vittima, l'artista che aveva sofferto prima per la perdita della mamma a Auschwitz, poi per quella della moglie Sharon Tate per mano della furia satanica di Charles Manson. Testimoniò in suo favore anche Mia Farrow, la quale giurò che era «un uomo coraggioso e brillante». Ma il regista si convinse che il giudice lo avrebbe condannato al carcere, che stava rischiando dai sei mesi ai 50 anni. Alla vigilia della sentenza, salì su un jet diretto a Parigi e sparì. Adesso si appresta a tornare, a riprendere quella carriera che dal giorno della fuga si è di fatto interrotta. Ma non gli sarà facile. La California, come molti altri Stati americani, ha passato recentemente una legge secondo la quale i molestatori sessuali vanno sempre registrati e seguiti, una specie di condanna a vita. Vent'anni dopo, molte cose sono cambiate anche a Hollywood. Se non c'è uno studio pronto a distribuire «Lolita», la fantasia di un uomo di mezz'età la cui vita viene distrutta dall'ossessione sessuale per la figliastra tredicenne, quanti saranno pronti a offrire lavoro a un regista che nella realtà e per sua stessa ammissione ha drogato e stuprato una ragazzina della stessa età? Lorenzo Sona Un caso che fece epoca Il regista fuggì a Parigi prima della condanna Furenti le femministe «Che diritto ha di farla franca?»