PAOLA CAPRIOLO VOCE DI NINFA

PAOLA CAPRIOLO VOCE DI NINFA PAOLA CAPRIOLO VOCE DI NINFA CON I MIEI MILLE OCCHI Paola Capriolo Bompiani pp.85 L 29.500 CON I MIEI MILLE OCCHI Paola Capriolo Bompiani pp.85 L 29.500 E' voluto qualche millennio, ma Eco finalmente s'è presa la sua bella rivincita. Parliamo della ninfa, non d'Umberto. Aveva la ninfa fatto i suoi bravi sbagli, assecondando Giove nei suoi intrallazzi extraconiugali, e così Giunone l'aveva condannata a non poter ripetere gli ultimi suoni delle frasi altrui. Innamoratasi del Bellissimo Narciso e respinta, ne aveva talmente sofferto da ridursi a voce soltanto. A riabilitarla ci pensa ora una delle più colte e fini nostre narratrici della generazione di mezzo (ha trentasei anni), Paola Capriolo, con il racconto lungo (o romanzo breve) Con i miei mille occhi, che arriva proprio oggi in libreria. Aristocratica per comportamenti e scelte esistenziali (sulla sua appartatezza sono fiorite varie leg¬ gende), la Capriolo è profonda conoscitrice, tra l'altro, dei romantici tedesclù, e della loro fiabistica, dalla Melusina del Goethe all'Ondina di La Motte-Fouqué. E questa sua nuova operina è proprio una fiaba, nel più composto, eppure fremente, stile neoclassico. Ce la racconta una pluriocchiuta foresta (è lei l'evocata nel titolo), nel cui ombroso intrico, nelle cui protettive radure s'inoltra un giovane pittore, con tanto di cavalletto, tavolozza, pennelli. Qui il novello Robinson si costruisce un'umile capanna, qui s'inoltra verso una fonte scavata nella roccia, da cui si sente irresistibilmente attratto. Si turba e subito s'inquieta la multiforme presenza narrante, ma più di lei l'impalpabile Eco, avvezza a farle da nunzia ed esploratrice: quella è la fonte in cui si specchiò l'amato Narciso, con le terribili conseguenze che tutti sappiamo... E, difatti, il temerario artista s'invaghisce della propria immagine, al punlo da tramutare il suo povero tugurio in una galleria di specchi, in cui incessantemente rimirarsi, sino ad un prossimo esaurimento. Ma, a questo punto, la fantasia della Capriolo ha uno scatto perentorio: quel fiotto d'aria e luce, semovente e trascolorante che è Eco, riesce a circuire (nel senso proprio letterale) l'artista, senza che lui la veda o se n'avveda, a tal punto che sulle sue tele prenda forma, insensibilmente, una sagoma femminile: mentre un'altra sagoma, questa volta in carne ed ossa, ritrova corpo ai margini della fonte. E' la bella Eco che per forza d'amore, infine, torna alla vita. Nessun narratore italiano d'oggi avrebbe potuto reggere alla prova d'una storia così raffinata e sottile per pura virtù stilistica se non la Capriolo: che del suo ascetismo di vita ha fatto un'assidua e rigorosa disciplina di scrittura. Ne sono splendida pro¬ va le sequenze (d'una superiore maestria e raffinatezza) riservate ad Eco: provatevi voi a descrivere ciò che non esiste se non come puro suono e movimento. Al libro è allegato un compact, edito da Suvini Zerboni, con musiche di Alessandro Solbiati e con la voce recitante di Anna Nogara. Si tratta d'un vero e proprio melologo, della durata d'una settantina di minuti, che ci propone una larga riduzione del racconto. La Nogara è un'eccellente attrice, con esperienze teatrali in Germania, che ne hanno ancor più arricchita la già variegata strumentazione professionale. Di Solbiati mi sembra che non si possa dire che bene. Eppure questa proposta mi lascia molto perplesso. Altra cosa è recarsi una sera, poniamo al Pier Lombardo, a sentire i due interpreti dal vivo. Ma, a fianco del libro, di cui si propone come un «doppio» in minore, quel compact mi disturba. Vorrei persin dire che offende quella appartatezza dell'ascolto interiore, per cui ognuno di noi sente il diritto-dovere di leggere a se stesso, con la propria voce di dentro, anche la più banale pagina di racconto. William Faulkner: il 25 settembre ricorre il centenario della nascita Einaudi, per l'occasione, ripubblica «L'urlo e il furore» so di Francis Scott Fitzgerald. SALINGER. Non ho letto tutte le opere di quest'ultima generazione di scrittori. Non ne ho avuto il tempo, e dunque devo parlare soltanto di quelli che conosco. Penso ora a quello che considero il migliore, Il giovane Holden, di Salinger. FALLIMENTO. L'urlo e il furore è stato il mio migliore fallimento. Quello che mi ha angosciato di più, al quale ho lavorato più duramente, anche quando mi sembrava che non ne venisse fuor niente. E' come si sentono i genitori verso il figlio minorato, forse. Sì, è stato il fallimento più audace, il più splendido. NUOVO TESTAMENTO. Per me il Nuovo Testamento è pieno di idee, e io non so molto delle idee. Il Vecchio Testamento è pieno di gente, eroi e furfanti perfettamente ordinari, normali proprio come chiunque oggigiorno, e a me piace leggere il Vecchio Testamento perché è pieno di gente e non di idee. MILLER. No, non conosco Henry Miller. Dovrei? Credetemi, vivo in campagna e non mi tengo al corrente delle vicende letterarie. Non sono un letterato. Ma se devo conoscere Henry Miller, vedrò di scoprirlo. NOBEL. La tragedia è che non vi sono più problemi dello spirito. C'è soltanto la domanda: quando salterò in aria? Per questo i giovani uomini e donne di oggi hanno dimenticato i problemi del cuore umano in conflitto con se stesso, gli unici che fanno della buona letteratura, gli unici di cui vale la pena di scrivere, con tormento e con sudore... Devono reimparare questi problemi; convincersi che la cosa piùssjslg: di tutteè'averepaura. Fi^àSbhe non impareranno di ' 'Movo queste cose, scriveranno come se rimanessero soli ad osservare la fine dell'uomo. Il dovere del poeta, dello scrittore, è di scrivere di queste cose. E' suo il privilegio di aiutare l'uomo a sollevare il suo cuore, ricordandogli il coraggio e l'onore e la speranza e l'orgoglio e la compassione e la pietà e il sacrificio. William Faulkner Guido Davico Bonino

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