Tra minacce fasulle e attentati virtuali di Filippo Ceccarelli
Tra minacce fasulle e attentati virtuali IL PALAZZO Tra minacce fasulle e attentati virtuali RAZIE al loquacissimo pentito Cannella, l'altro giorno si è saputo che nel 1994 Cosa Nostra - frazione Bagarella - «avrebbe preso in esame la possibilità» di un attentato al presidente della Repubblica Scalfaro. Indebolita dal verbo al condizionale e dalla remotissima eventualità della formula, la «rivelazione» è scivolata via come pura routine. Appena due settimane prima, d'altra parte, nello stesso giorno ( 13 settembre) senza eccessivo clamore si veniva ad apprendere che non uno, ma due attentati sarebbero stati ipotizzati, sempre dalla mafia ai danni di Antonio Di Pietro. Del primo, sia pure con la dovuta vaghezza, dava conto in un processo a Firenze il pentito Avola, del clan Santapaola. Al secondo attentato - camion carico di tritolo - accennava in un suo articolo l'onorevole dipietrista Federico Orlando, attribuendolo al clan Madonia. Rispetto a tutti e tre i casi, è chiaro, la cosa più umana e sensata che viene da dire è: meno male, lunga vita a tutti. Fatta questa doverosa premessa, converrà tuttavia riconoscere che la vita pubblica italiana fin troppo abbonda di attentati solo immaginati, oppure sventati, ma sempre preziosamente «rivelati» a posteriori. Come se dietro queste «notizie» ansiogene, anche se ormai abituali, ci fosse un messaggio supplementare, che però sfugge. E comunque: non c'è in pratica politico di rilievo che risulti immune da tentativi terroristici in qualche modo posti in essere da malintenzionati di vario genere quali mafiosi, guerriglieri rossi e neri, falangi armate, servizi deviati, sacre corone, integralisti, camorristi, indipendentisti, pirati elettronici alla Luther Blisset e così via, fino agli squilibrati e, forse pure ai mariti gelosi. Oltre a Scalfaro e Di Pietro, la lista incompleta dei minacciati e dei salvati comprende infatti Cossiga (anche all'estero), Veltroni, la PivetJ ti, Rosy Bindi (rudimentale I ordigno sotto il palco). Per Tatarella era pronto addirittura un lanciagranate, scoperto in un garage. Senza contare le infauste previsioni del professor Miglio («Qualcuno metterà in pista un gruppo mafioso per ucciderlo»), più volte Bossi ha denunciato sabotaggi, perfino automobilistici. Almeno due attentati sarebbero andati a monte contro Craxi, pur sorvegliatissimo in Tunisia. E anche Martelli sarebbe finito nel mirino: «Si parlò della possibilità di ucciderlo», ha spiegato il pentito La Barbèra. Qualsiasi ironia, in un Paese che di veri attentati e assassini politici ne ha conosciuti parecchi, è senz'altro fuori luogo. Giusto per completare l'elenco delle vittime di un allarmismo così generalizzato da sembrare artificiale, occorre aggiungere i politici che hanno denunciato minacce ricevute per corrispondenza, destinatari cioè del classico pacchettino con due o tre proiettili fissati con nastro adesivo. Fra gli ultimi, Bossi, Gasparri, Minniti, Mancuso e Berlusconi (il Cavaliere in qualità di «elemento scatenante - recitava l'acclusa dedica - di un'offensiva anti-governativa senza precedenti»). Ora, è impossibile stabilire quali minacce sono attendibili e quali fasulle, quali prefabbricate per mettere in buona luce i servizi e quali addirittura costruite a scopo auto-promozionale. In ogni caso si tratta di attentati virtuali: fuori dalla realtà, ma capaci di condizionarla, se non altro seminando paura. Mostriciattoli che sembrano rispondere al motto: finché c'è dramma c'è speranza. Quando invece servirebbe darsi una bella calmata. Filippo Ceccarelli emj m.
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