Passaggio a Ovest per gli eserciti rossi di Maurizio Molinari

STRAORDINARIA VENDITA PUBBLICA Prove di Nato per l'Es a due anni dall'allaEsercitazioni di truppe polacche a due anni dall'allargamento Passaggio a Ovest per gli eserciti rossi REPORTAGE BUDAPEST DAL NOSTRO INVIATO A due mesi dal summit di Madrid che ha deciso l'allagamento ad Est dell'Alleanza atlantica, l'ex Europa comunista è un grande laboratorio di idee e di cambiamenti in vista del 1998, l'anno delle ratifiche dell'allargamento da parte di tutti i Paesi Nato. Nella base aerea di Tazsar la bandiera del Texas sventola a fianco di quella magiara mentre caccia F-16 americani e Mig 29 ungheresi sperimentano voli comuni, a Praga la comunità di cittadini americani residenti ha toccato le 30 mila unità, a Bucarest Emil Costantinescu sta per varare energiche riforme economiche per poter aspirare ad entrare nel 1999 nel secondo gruppo di nuovi membri dell'Alleanza. La decisione dei Sedici di far entrare Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia nel 1999 e di «lasciare la porta aperta» a nuove ammissioni (con Romania e Slovenia in pole positura) è divenuta 0 volano di profondi cambiamenti nei singoli Paesi. Gli occhi dell'Est sono infatti puntati sugli Stati Uniti e sul Senato di Washington che, con tre differenti votazioni, darà o meno il suo via libera ai nuovi membri aprendo un anno di analoghe decisioni da parte di tutti i Paesi membri della Nato. Osserva un alto diplomatico ungherese: «Il maggior risultato dell'Alleanza è stato quello di tenere unite in un'unica comunità di valori l'America e l'Europa occidentale, ora faremo di tutto affinché questo valga anche per quella orientale». Così, mentre a Bruxelles nelle ultime due settimane le delegazioni ungherese, polacca e ceca hanno iniziato formalmente i negoziati per l'ammissione, nelle capitali dell'Est è in atto una corsa a «cambiare molto ed in fretta», attutita a Varsavia solo dalla campagna elettorale appena conclusa. Nelle giovani democrazie orientali alle soglie della Nato le riforme in cantiere sono militari ed econo- miche, per rispondere ai requisiti previsti per l'ammissione. «Stiamo operando - spiega il sottosegretario alla Difesa della Repubblica Ceca, Jaromir Novotny - per la ristrutturazione delle forze armate al fine di renderle compatibili con il modello Nato, puntando molto sull'educazione dei militari». A Praga - come a Varsavia e Budapest - il controllo dei militari è nelle mani dei civili, gli effettivi e gli ufficiali verranno ridotti a un terzo, il budget per la Difesa viene indirizzato verso una media del 2% del pnl. «E stiamo istituendo contingenti di rapido intervento disponibili per operazioni internazionali e di peacekeeping sul modello di quanto sta avvenendo in Bosnia», aggiunge Tamas Wachsler, membro della commissione Difesa del Parlamento ungherese. Poi c'è il capitolo dell'educazione militare: dall'inizio del 1998 nell'esercito di Praga ad ogni passaggio di grado corrisponderà una «appropriata conoscenza - spiega Novotny - del- la lingua inglese» mentre a Budapest ha già aperto i battenti un'accademia militare dai cui corsi quadriennali usciranno almeno 20 ufficiali ogni 12 mesi. La Polonia non sarà da meno. Saranno dunque gli under-30 di oggi il nerbo delle forze armate dei nuovi membri: educati alle regole della democrazia e necessari per sostituire chi troppo a lungo ha servito nel Patto di Varsavia. Anche l'Europa contribuisce all'integrazione militare: i militari ungheresi, polacchi e cechi hanno condotto ciascuno più di trenta manovre congiunte con i Paesi dell'Ovest quest'anno mentre la formula delle brigate miste (con l'Italia in prima fila come dimostrano le esercitazioni in corso vicino al lago di Baiaton con magiari e sloveni) si consolida. La speranza è che dopo la Nato anche l'Unione Europea apra le sue porte. «Le riforme economiche richieste dall'adesione all'Alleanza ci saranno molto utili per il lungo cammino verso l'Ue», dice il sottosegretario alle Finanze ungherese Csaba Laszlo promettendo «impegno per arrivare a ri¬ spettare anche noi i parametri di Maastricht». Questa sfida riguarda anche chi è stato escluso dall'allargamento deciso a Madrid. A Bucarest Costantinescu ha affidato al ministro Victor Babiuk il compito di realizzare un pacchetto ambizioso. «Dobbiamo privatizzare il sistema bancario, varare una legge sugli investimenti stranieri, salvaguardare i diritti sociali e portare a compimento la ristrutturazione del settore minerario, favorendo con compensazioni l'abbandono dei lavoratori in eccedenza», riassume Zoe Petre, ascoltato consigliere in gonnella della presidenza. Nel quartier generale della Nato a Bruxelles si segue con capillare attenzione quanto avviene ad Est. «Le prossime ammissioni - spiega un alto diplomatico occidentale - sono solo un tassello del sistema di sicurezza per l'Europa nel dopo Guerra fredda, che comprende anche gli accordi di Partnership per la Pace con gli altri Paesi dell'Est, fino al Caucaso, e soprattutto il patto siglato la scorsa primavera a Parigi con la Russia». «La Nato dunque - continua - non si allarga contro Mosca ma con Mosca, ritenendo Boris Eltsin, ed il suo governo, un interlocutore indispensabile». Il punto è che i servizi di intelligence dell'Alleanza disegnano uno scenario di stabilità in cui la Russia, alla vigilia di una forte espansione economica, è destinata ad essere un partner commerciale, e non una minaccia militare, per l'Europa Orientale nei prossimi dieci-quindici anni. Sulla trasformazione dell'Est pendono però alcuni interrogativi. Il più pesante è quello dei costi dell'allargamento, punto-chiave per le future ratifiche da parte dei Sedici. Fra Bruxelles e Washington rimbalzano molti numeri in riferimento al periodo 1999-2009, dovuti ad un unico studio finora condotto dagli americani. Si oscilla fra i 9 e 12 miliardi di dollari solo per i costi diretti (da dividere fra Usa, alleati e nuovi membri). Ma bisognerà aggiungere anche le spese di ristrutturazione militare dei nuovi membri (fra i 10 e i 13 miliardi di dollari) e degli alleati (fra gli 8 e i 10 miliardi di dollari). Si tratta però di ipotesi. Per vedere le prime cifre vere, nero su bianco, bisognerà attendere il rapporto dell'amministrazione Clinton che aprirà il dibattito al Senato Usa a inizio 1998. Ma vi sono anche due interrogativi che vengono dall'Est: l'effettivo sostegno all'adesione alla Nato delle opinioni pubbliche locali e le tensioni etniche ereditate dalla dissoluzione dell'impero austroungarico. Nel primo caso il sostegno è molto forte in Polonia mentre i sondaggi prevedono - a causa del disagio sociale e delle resistenze degli ex comunisti - vittorie con margini ridotti nei referendum in Ungheria e Repubblica Ceca (dove forse neanche si voterà). Nel secondo, la vera mina vagante è la Slovacchia del premier neo-comunista Victor Meciar, interlocutore privilegiato di Primakov. Bratislava ha scatenato una mezza crisi con Budapest paventando la scorsa settimana l'espulsione del milione e mezzo di magiari suoi cittadini. «Con la Slovacchia - dice Zoltan Matinusz, responsabile dei rapporti con la Nato al ministero degli Esteri ungherese - dobbiamo essere pazienti ed evitare i rischi. E' un Paese giovane, senza tradizione nazionale. Bisogna aspettare che la democrazia si consolidi». Maurizio Molinari Mig e F-16 volano insieme, manovre congiunte in Polonia e Ungheria Esercitazioni di truppe polacche Prove di Nato per l'Es