E l'ambasdatore egiziano minaccia di fare le valigie di Aldo Baquis

E Pambasdatore egiziano minaccia di fare le valigie E Pambasdatore egiziano minaccia di fare le valigie Fallisce la riforma Sfumo l'inteso sulle tosse Ira Kohl e l'Spd BONN IL CAIRO NOSTRO SERVIZIO Un nuovo capitolo nei burrascosi rapporti fra Egitto e Israele. L'ambasciatore egiziano a Tel Aviv, Mohammed Bassiouni, ha rivelato ieri al quotidiano cairota Al-Ahram di aver ricevuto minacce di morte da estremisti israeliani. Costoro avrebbero organizzato sit-in di protesta davanti alla residenza dell'ambasciatore. Secondo il diplomatico, insulti e minacce sono divenuti un fatto quotidiano. In alcune telefonate minatorie gli è stato intimato di lasciare Israele. Cosa che Bassiouni ora minaccia di fare sul serio. Al quotidiano israeliano Maariv ha detto: «Ho la valigia pronta. Posso andarmene in qualsiasi momento. Se le intimidazioni continueranno, lo farò». La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la perquisizione alla quale fu sottoposta giorni fa l'automobile del diplomatico al valico di Rafah, al confine. Le guardie di frontiera israeliane avrebbero ispezionato per ben tre ore il veicolo, nonostante avesse la targa diplomatica. «Cosa pensavano? Che trasportassi armi oppure droga? S'è trattato di una palese violazione della mia immunità di diplomatico», si è lamentato l'ambasciatore. «Rappresento il mio Paese in Israele da ben 17 anni - ha sbottato -, ma fino alle ultime due settimane non avevo visto nulla di simile». Secondo lui, le autorità israeliane in qualche modo avrebbero avallato queste provocazioni. E tollerato pure la virulenta campagna denigratoria di alcuni giornali contro i diplomatici egiziani a Tel Aviv, accusati di essere delle spie. Accuse, a dire il vero, altrettanto contraccambiate da tempo dalla stampa egiziana che non ha mai digerito l'idea della normalizzazione dei rapporti con l'ex nemico storico. Queste intimidazioni, a parere del diplomatico egiziano, sono la risposta all'affare Azzam, la spia israeliana di origine drusa, condannata il mese scorso a quindici anni di prigione da un tribunale egiziano con l'accusa di aver organizzato una rete spionistica in Egitto. Azzam Azzam si è sempre proclamato innocente e il premier israeliano Benjamin Netanyahu è intervenuto in suo favore facendo pressioni sul presidente egiziano Mubarak affinché lo graziasse. Il «rais» è stato irremovibile. Segno del deteriorarsi dei rapporti fra i due Paesi. Quella che fu battezzata la pace fredda sin dall'accordo di pace, nel 1979, da Begin e Sadat, per via delle ataviche diffidenze, ora rischia di diventare un confronto permanente tra II Cairo e Gerusalemme. E dopo le elezioni di Netanyahu alla carica di premier, quindici mesi or sono, i rapporti hanno toccato il fondo. La politica dello scontro ad oltranza con i palestinesi da lui voluta ha finito per indispettire Mubarak. Così il «rais» ha smesso i panni del mediatore e indossato quelli del difensore ad oltranza di Arafat. Ibrahim Refat Un'immagine presa poco dopo l'attentato a Rabin Sull'assassinio del premier israeliano restano ancora molti interrogativi senza risposta DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Helmut Kohl ha messo la «prima pietra» della nuova cancelleria che, alla fine del 1999, accoglierà il capo del governo federale a Berlino. Ma il definitivo fallimento della riforma fiscale poche ore prima della cerimonia - potrebbe impedirgli di occupare il grande edificio bianco sulla Sprea. Secondo molti analisti politici, gli elettori puniranno Kohl e i partiti della coalizione - Cdu, Csu e Fdp - per non essere riusciti a realizzare quella che lo stesso Cancelliere aveva definito «la riforma del secolo», e che nelle intenzioni del governo avrebbe dovuto liberare risorse per oltre 30 miliardi di marchi, favorire gli investimenti, rilanciare l'economia e l'occupazione. Pei tornare a parlare di riforma fiscale bisognerà aspettare almeno il 2000, secondo il parere unanime degli osservatori politici di Bonn. Nel frattempo, Kohl spera di approvare la riforma delle pensioni, che tuttavia è collegata a quella fiscale, e di diminuire dal 7,5 al 5,5 per cento la sovrattassa di solidarietà con le regioni orientali, a partire dal primo gennaio del 1999. In proposito restano tuttavia molti dubbi, per le difficoltà di finanziare gli sgravi. Del definitivo fallimento di una riforma che avrebbe dovuto costituire il cardine della campagna elettorale del suo partito, Kohl ha preso atto al termine dell'ultima riunione della commissione di mediazione del Bundesrat, la Camera a rappresentanza regionale nella quale l'Spd ha la maggioranza: quando è risultata incolmabile la distanza fra la posizione del governo e quella dell'Spd. Secondo i socialdemocratici, i tagli avrebbero favorito soprattutto i maggiori contribuenti e le imprese, a danno delle fasce medio basse di reddito. Il governo ribatte che l'Spd ha bloccato la riforma per motivi elettorali, approfittando della sua maggioranza al Bundesrat. Di fatto, non è soltanto il governo a uscire malconcio dalla prova, anche se un sondaggio realizzato all'indomani del voto regionale di Amburgo (ma prima del fallimento della riforma fiscale) vedeva la coalizione di governo in lieve ripresa, al 37%, e l'Spd in lieve calo, al 44%. L'incapacità di raggiungere un'intesa su un tema tanto importante è un duro colpo alla credibilità dell'intero sistema politico, e non potrà che alimentare la disaffezione dei cittadini per i partiti. Quanto ai danni che la mancata riduzione delle tasse provocherà all'economia e alla lotta alla disoccupazione, gli esperti non hanno dubbi. Secondo l'economista capo della Deutsche Bank, Norbert Walter, «un Paese con 4 milioni e mezzo di disoccupati perderà altri due anni, nei quali molti giovani talenti potrebbero lasciare la Germania, e molte industrie spostare la produzione all'estero». Emanuele Novazio tore del popolo ebraico), entrambi ne auspicavano la eliminazione fisica, secondo quanto ha appurato la commissione ufficiale di inchiesta sulla uccisione del premier. La notte dell'attentato - afferma inoltre il rapporto - Raviv era nella piazza del Municipio di Tel Aviv (dove aveva luogo un grande raduno pacifista), mentre Amir attese indisturbato per quaranta minuti la sua vittima nel parcheggio posteriore: a meno di cento metri di distanza dall'informatore dello Shin Bet. Pochi minuti dopo gli spari, Raviv rivendicò l'attentato a nome di una inesistente «Organizzazione ebraica vendicatrice» e rivelò a un giornalista del Maariv che l'attentatore si chiamava Igal Amir. Convinta che il figlio sia in realtà «un capro espiatorio» e che protegga possibili complici, alcuni mesi fa Gheula Amir ha chiesto invano alla Corte Suprema di aprire il «dossier Raviv». «Mio figlio - ha sostenuto di recente la signora Amir - ha confessato l'omicidio, ma poi è emerso un referto medico del dottor Mordechai Guttman da cui sembra di capire che Rabin fu colpito al petto». Igal Amir si trovava invece alle sue spalle. La signora Amir si aggrappa alla controversa «teoria di cospirazione» - popolare negli ambienti di estrema destra - secondo cui un finto attentato a Rabin era stato progettato a tavolino dai servizi segreti per screditare l'opposizione nazionalista in un momento critico nel processo di pace. «Non a caso - osserva Adir Zik, un giornalista della radio dei coloni Canale 7 che ha investigato a lungo il ruolo di Raviv - al momento degli spari qualcuno gridò che si trattava dì proiettili a salve». Un falso attentato, ritiene, era nell'aria: per questa ragione le guardie del corpo di Rabin non freddarono Amir, co¬ me avrebbero dovuto. «Poi qualcosa andò in modo diverso dal previsto». Dalla cella dove sconta l'ergastolo Amir ha fatto sapere al suo avvocato Jonathan Goldberg di non credere affatto che nella sua Beretta Doublé Action una mano ignota avesse inserito proiettili a salve. In un futuro più o meno lontano, ha aggiunto il terrorista, il popolo di Israele comprenderà la necessità storica del suo gesto ed entro alcuni anni - spera - riacquisterà la libertà. Il ministro Eitan sospetta che né Amir né Raviv abbiano ancora detto tutto quel che sanno sui tragici eventi del novembre 1995 a Tel Aviv. «A questo punto sono possibili le ipotesi più pazzesche - ha detto a Yediot Ahronot - e mi attendo dal sistema giudiziario che dia finalmente risposte adeguate». Aldo Baquis