E' NATO IL «FRONTE NAZIONALE»

E'NATO IL «FRONTE NAZIONALE» E'NATO IL «FRONTE NAZIONALE» ROMA ROMA I N attesa del partito giscarH dian-cossighiano, tocca sorbirsi i lepenisti nostrani. Così almeno si sono presentati ieri mattina, durante una conferenza stampa che è apparsa ancor più incongrua e surreale nei sotterranei del già craxianissimo hotel Raphael. Come cambiano le cose... Qui comunque si è manifestato per la prima volta il Fronte Nazionale. E sebbene la denominazione sia la stessa del vetusto movimento pseudo-golpista del principe Borghese, oltre che di una più recente creatura di Franco Freda, nel caso in questione «il nuovo soggetto politico» è sorto, a detta dei fondatori, «in perfetto gemellaggio» con il Front National di Jean-Marie Le Pen. Simbolo, una fiammella tricolore fin troppo stilizzata. L'ennesima, a dire il vero, perché la fiamma ce l'ha già Fini, ce l'ha già il Front (per gentile concessione di Almirante nel 1972) e ce l'ha pure Rauti, dal cui partitino sono stati espulsi questi singolari e magari anche un po' improvvisati lepenisti, debitamente millenaristi e catastrofisti, che ammirano Bossi («La Padania è una favola, ma lui ha colto l'esigenza di patria»), sognano «spazi economici integrati e autarchici», vogliono l'Italia fuori dalla Nato e da Maastricht, combattono contro il mondialismo e, visto che ci sono - con qualche straniante concessione alla cultura liberal-democratica e berlusconiana - , per la separazione delle carriere dei magistrati. Non proprio chiarissimo, a differenza del gemello d'Oltralpe, l'atteggiamento nei confronti del tema dell'immigrazione, che pure è spesso risuonato nella conferenza stampa, talvolta pure all'insegna del «vorrei ma non posso» (dire quel che pensiamo). In ogni caso: al più netto rifiuto di una società multirazziale, fa riscontro una fin troppo solenne ripulsa del «razzismo» senza star lì troppo a sottilizzare sulla parola - e un confuso insistere sulla «tutela dell'identità italiana». E ancora: ad alcune «aperture» verso gli extracomunitari «regolari» (richiesta di pari trattamento economico e previdenziale, inasprimento di pene per gli sfruttatori) corrispondono opportune sottolineature dei di- né meno». Il presidente della commissione antimafia, Ottaviano Del Turco ha semplicemente dichiarato che «non abbiamo opinioni da esprimere sulle anticipazioni dei giornali». Tutto questo non è certo sufficiente per tranquillizzare Berlusconi e i suoi che si sentono assediati da minacce e complotti. Con questo umore nero, Berlusconi sta così considerando con sospetto il silenzio di D'Alema dal quale, dicono i suoi, si sentirebbe «abbandonato». Dobbiamo imparare a convivere con questo nuovo atteggiamento del potere giudiziario. Se un uomo politico, un dirigente, viene sottoposto ad indagine, dobbiamo dire che non significa nulla o, perlomeno, che significa poco». Un suggerimento che Forza Italia non ascolta. Tiziana Maiolo ieri ha riconfermato che, secondo lei, «la procura di Palermo sta preparando una richiesta di arresto per Berlusconi e Dell'Utri e questo lo sanno già in molti, nello stesso modo in Una manifestazione del Front National di Jean-Marie Le Pen cui L'Espresso ha saputo dell'indagine». «Attacchi infami - dice Lucio Colletti -, si vuole infangare l'immagine di Forza Italia indicandola come un clan di malfattori». Il capogruppo di Fi al Senato, Enrico La Loggia, denuncia «l'attacco senza precedenti». Secondo Antonio Marzano «è tempo che scatti l'allarme democrazia». Anche il pm di Venezia, Carlo Nordio, ha voluto dire la sua argomentando che la notizia dell'Espresso è falsa e chiedendosi perché mai accadano cose del genere. Ma anche la maggioranza degli italiani (tre su quattro), stando ad un sondaggio di Datamedia, non crede che Berlusconi sia un mafioso o collegato alla mafia. Oltre la metà degli italiani sarebbe convinta che è in corso un'aggressione giudiziaria contro Berlusconi. Comunque, l'immagine del presidente di Forza Italia è ormai logorata, secondo L'Economist, che gli dedica un servizio intitolato: «E' ora di andare, caro leader». «Berlusconi ha perso il tocco da vincitore» fin dalla vittoria elettorale del '94, dichiara fra l'altro il settimanale britannico, mentre il problema dei conflitti d'interesse rimane «imbarazzantemente irrisolto». Una lettura politica che Francesco Cossiga tende a ridimensionare: «Per i britannici è arduo comprendere i meccanismi della nostra vita politico-istituzionale, particolarmente in una fase confusa e magmatica come questa». ROMA DALLA REDAZIONE Forza Italia fa muro attorno a Silvio Berlusconi, conscia del fatto che se cade il capo rischiano seriamente di disperdersi gli otto milioni di voti raccolti dal partito. Parlano tutti allarmatissimi e intasano di fax veementi di indignazione le redazioni di agenzie e giornali. E la loro voce risuona più forte a confronto delle caute mezze solidarietà degli altri partiti del Polo (come An) che si tengono ostentatamente fuori dal putiferio scatenato dall'indiscrezione pubblicata dall'Espresso: Berlusconi indagato a Palermo per avere riciclato dieci miliardi di investimenti mafiosi. La smentita del procuratore della Repubblica di Palermo, Caselli, non ha tranquillizzato affatto Berlusconi e i suoi. Anche perché - come ha fatto capire ieri il procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna Caselli non poteva fare altrimenti. Al cronista che gli faceva rilevare che non si può confermare o smentire l'eventuale iscrizione di una persona nel registro degli indagati, visto che è un atto coperto da segreto, Vigna ha risposto col tono di uno che conferma: «Vedo che lei legge anche il Codice oltre ai giornali. E questo mi fa molto piacere». Di fronte alla domanda diretta sull'esistenza dell'iscrizione, Vigna dice: «Ovviamente, la risposta non può essere che quella che ha dato il procuratore capo di Palermo, Caselli». Quindi Berlusconi non è indagato? «Ovviamente non c'è. Confermo quello che ha detto Caselli. Né più

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