Dini segna un punto al Palazzo di Vetro di Andrea Di Robilant

9 Dopo l'intervento del ministro tra i non allineati crescono le adesioni alla proposta italiana Pini segna un punto al Palazzo di Vetro «Ilpiano americano sarebbe un suicidio politico» NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Lamberto Dini sente odore di «vittoria» all'Onu. «La partita è ancora apertissima», dice il ministro degli Esteri. Ma il tono della sua voce tradisce una sensazione ormai diffusa nella delegazione italiana: la proposta americana per l'allargamento del Consiglio di sicurezza a Germania e Giappone non riesce a decollare. «Certo, la possibilità che gli americani presentino una risoluzione per forzare un voto esiste ancora», dice Dini. «Ma sarebbe un errore. Gli animi non sono pronti. Anzi, la loro proposta appare più debole di quanto non fosse lunedì, all'inizio di quest'Assemblea». Così debole che Dini non punta più a soluzioni di compromesso come nei giorni scorsi. A sorpresa, ritira fuori la vecchia proposta dell'Italia per la riforma del Consiglio di sicurezza. Se quella americana fallisce - dice - «quella italiana torna ad essere la proposta delle Nazioni Unite. Anzi, la proposta». Nel suo intervento all'Assemblea il ministro ha attaccato con durezza la proposta americana: «Porterebbe ad una stratificazione dei membri che ricorda il sistema delle caste vigente in antichi imperi ed emarginerebbe alcuni dei Paesi più coinvolti nell'Organizzazione». E segnatamente l'Italia. Il piano americano è noto: oltre a dare un seggio permanente ma senza diritto di veto a Germania e Giappone punta a creare altri tre seggi che andrebbero di diritto e a rotazione a Paesi importanti dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. Dini li ha definiti «i membri pseudopermanenti». Infine, tutti gli altri Paesi, inclusa l'Italia, che non siederebbero quasi mai nel Consiglio di sicurezza - i Paesi «di quarta classe». Approvare un piano del genere, ha detto Dini all'Assemblea, equivarrebbe ad un suicidio politico collettivo. «Come potrebbe chiunque di noi accettare di essere relegato nell'ultima di queste quattro categorie è presentarsi alla propria opinione pubblica, al proprio Parlamento per annunciare che, con il nostro stesso voto, abbiamo avallato la retrocessione del nostro Paese al rango di Paese di quart'ordine?». Il governo italiano è convinto che se passasse la proposta americana l'Italia, che negli Anni Settanta riuscì faticosamente ad entrare nel G7, uscirebbe dal club dei Grandi. Il Consiglio di sicurezza allargato diventerebbe di fatto il luogo delle grandi decisioni di politica internazionale. E l'esclusione sarebbe tanto più bruciante, ha fatto capire Dini, in quanto l'Italia, dopo anni di instabilità politica, sta finalmente diventando un partner «normale» e affidabile. Nella battaglia per sabotare questo piano l'Italia può contare sull'appoggio di altri Paesi occidentali di media grandezza come il Canada e la Spagna. Ma è soprattutto dal mare magnum dei Non allineati (113 Paesi), che la diplomazia italiana continua a trarre sostegno e incoraggiamento. Senza il loro appog gio la proposta americana non potrà ottenere la maggioranza dei due terzi. Washington potrebbe tentare di far passare la riforma a maggioranza semplice. «Ma sarebbe un colpo di mano, una violazione dello statuto», dice Dini. «E se venisse sconfitta, sarebbe una sconfitta definitiva per Germania e Giappone». E allora? Il ministro degli Esteri è convinto che la situazione di stallo sta facendo risorgere la proposta di riforma presentata a suo tempo dall'Italia. E che prevede, lo ricordiamo, la creazione di un gruppo di una decina di Paesi importanti (e di cui l'Italia farebbe parte assieme a Germania e Giappone) che si alternerebbero frequentemente in seno al Consiglio. L'Italia ha già fatto circolare la sua proposta alle Nazioni Unite, ma nonostante la campagna martellante dell'ambasciatore Paolo Francesco Fulci, non è mai riuscita a raccogliere più di un'ottantina di adesioni. L'impressione - anche se Dini non lo dice espressamente - è che oggi quella proposta potrebbe avere maggiori consensi. Ieri in Assemblea Dini è anche tornato a parlare dell'ipotesi di un seggio permanente all'Unione europea - antico cavallo di battaglia dell'Italia. Ma le prospettive che l'Europa parli con una sola voce in politica estera e di difesa sono talmente remote - anzi, più remote di prima che l'idea del seggio europeo si affievolisce anziché rinforzarsi. Rimane da capire quali danni la robusta e incessante campagna italiana per impedire a Germania e Giappone di entrare nel club dei Grandi sta provocando ai rapporti con Tokyo e soprattutto con Bonn. Dini, comunque, non pare molto turbato: «Non siamo in guerra contro la Germania. Facciamo un po' di boxe. Loro ci danno un pugno e noi restituiamo il pugno». Andrea di Robilant **★ ★ . * ★ ' ★ ★ ¥ , * + + Sotto Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan con il segretario di Stato Usa Madeleine Albright A destra il ministro degli Esteri Lamberto Dini