Il Grande Gioco, versione 2000 di Andrea Di Robilant

Il Grande Gioco, versione 2000 Il Grande Gioco, versione 2000 I maggiori giacimenti dopo l'Arabia Saudita WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Quando il Presidente azero Gheidar Aliev sbarcò a Washington qualche tempo fa per la sua prima visita ufficiale, l'amministrazione Clinton gli riservò un trattamento regale, come concede ai più importanti capi di Stato. E il motivo dietro a tanta sollecitudine era uno solo: petrolio. Il Caucaso e i Paesi attorno al Mar Caspio sono zuppi di petrolio. E il crollo dell'impero sovietico ha rimesso in moto dopo quasi un secolo il grande gioco per la conquista di nuove sfere d'influenza in quella regione. Una volta la partita veniva giocata con le cavallerie e gli eserciti irregolari; oggi con jet carichi di petrolieri e di dollari. Ma l'obiettivo è sempre lo stesso: sottrarre la regione e le sue ricchezze naturali al controllo esclusivo della Russia. In questa versione aggiornata del grande gioco, l'Azerbaigian, con i suoi giacimenti inferiori soltanto a quelli dell'Arabia Saudita, costituisce il «tesoro» più luccicante, l'oggetto del desiderio delle grandi cancellerie. E Aliev, che in poco tempo è riuscito a dare stabilità al Paese, è l'uomo forte cui presidenti e ministri vogliono stringere la mano e con i quali siglare accordi multimiliardari. Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Turchia, Cina, Iran, la lontana Argentina e, naturalmente, la Russia, si danno da fare per accaparrarsi la loro fetta. Ma sono soprattutto gli Stati Uniti, pressati dall'irruenza delle grandi compagnie petrolifere americane, che brigano a tutto campo nella regione. Dal 1995, quando l'Amministrazione Clinton decise di puntare su Aliev, la creazione di un solido asse Washington-Bakù è diventata una priorità assoluta della diplomazia americana. E le varie Amoco, Exxon, Texaco, Pennzoil, Chevron continuano a tenere alta la pressione sulla Casa Bianca. La lista dei loro lobbisti fa del resto impressione. James Baker, Zbigniew Brzezinski, Brent Scowcroft, Henry Kissinger e altri pesi massimi in pensione della diplomazia Usa si sono trasformati in specialisti del Caucaso e forniscono costose consulenze di geopolitica. .^Non c'è sqlo l'ingordigia dei grandi gruppi del petrolio e dei lobbisti d'eccezione dietro l'attivismo americano. Washington - come del resto le capitali europee - vede finalmente l'opportunità di spezzare la dipendenza dal greggio che viene dal Medio Oriente. L'obiettivo americano, secondo un recente memorandum del Dipartimento di Stato, è quello di «legare fortemente la regione all'Occiden¬ te». E questo significa poter proiettare rapidamente la potenza degli Stati Uniti in quell'area. L'addestramento militare americano sull'altipiano del Kazakhstan la settimana scorsa, per esempio, rientra in questa strategia. E i risultati della presenza politica e militare degli Stati Uniti già si vedono. Le grosse compagnie americane controllano già il 40 per cento dell'Azerbaigian International Operating Company (Aioc), l'Ente petrolifero azero che comincerà a estrarre petrolio l'anno prossimo. Ma un conto è l'estrazione, un altro è il trasporto. E oggi la battaglia diplomatica (condotta con il notevole apporto dei servizi segreti dei vari Paesi) è soprattutto attorno ai vari oleodotti ancora in costruzione. Washington punta alla creazione di una pipeline che da Baku arrivi in Europa senza passare dalla Russia. Ma dovrebbe per forza passare dal Nagorno Karabakh, un'enclave contesa con le armi da armeni e azeri. Non a caso gli Usa hanno preso in mano la mediazione. In questa partita Washington deve però continuamente fare i conti con Mosca, che guarda con agitazione crescente l'espansione della presenza americana nel suo «cortile dietro casa». Andrea di Robilant

Persone citate: Aliev, Brent Scowcroft, Clinton, Gheidar Aliev, Henry Kissinger, James Baker, Zbigniew Brzezinski