«Berlusconi indagato», la procura smentisce di Francesco La Licata
Palermo, l'accusa sarebbe di riciclaggio. Sconcerto tra i pm: chi ha interesse a diffondere queste notizie? Palermo, l'accusa sarebbe di riciclaggio. Sconcerto tra i pm: chi ha interesse a diffondere queste notizie? «Berlusconi indagalo», la procura smentisce II Cavaliere: calunnia per uccidere l'opposizione PALERMO DAL NOSTRO INVIATO La lunga partita a scacchi fra Silvio Berlusconi e la magistratura si arricchisce di un altro colpo di scena: il Cavaliere sarebbe iscritto nel registro degli indagati della Procura di Giancarlo Caselli, con l'ipotesi di reato di riciclaggio. Questa la notizia, anticipata ieri dal settimanale «L'Espresso» e prontamente smentita - come da copione - dal sostituto procuratore, Domenico Gozzo, che sin qui ha condotto l'inchiesta appena chiusa con il rinvio a giudizio di Marcello Dell'Utri, ex numero uno di Pubblitalia. Il processo al parlamentare di Forza Italia avrà inizio il prossimo 15 ottobre. E' indagato, Silvio Berlusconi? Le smentite fioccano, le polemiche divampano, i garantisti insorgono, i colpevolisti puntano il dito, i magistrati tacciono. Appunto, come da copione. Una sceneggiatura che si ripete ogni volta: «è indagato», «no, non è indagato». Contraddittorio sterile, che dovrebbe essere indirizzato, forse, più verso un altro aspetto del problema e cioè chiedersi di come funzioni il sistema della circolazione delle-notizie su certe inchieste. A guardare bene, infatti, non sembrano scorgersi grandi novità - rispetto all'ipotesi di riciclaggio - di quante ne siano contenute nel rinvio a giudizio con- tro Marcello Dell'Utri: i soldi dei boss Bontade e Teresi, le conferme di Filippo Rapisarda, i contatti coi mafiosi Graviano di Brancaccio, gli investimenti mafiosi in Sardegna e in Sicilia, le rivelazioni del collaboratore Gioacchino Pennino, importanti ma da sottoporre al vaglio dei riscontri. Insomma la sola ve¬ ra «novità» sarebbe che Silvio Berlusconi «è indagato». L'anticipazione di simili notizie ancora «grezze» - come dicono in gergo i magistrati per indicare spunti investigativi non sviluppati - avrebbe come conseguenza la vanificazione di ogni pista di indagine. Oltre che - nell'ottica maliziosa di chi non distoglie lo sguardo dalla politica - il risultato di spostare e ricompattare equilibri ed alleanze nella difficile partita che si gioca sul terreno delle riforme in discussione nella Bicamerale. Certo, nessuno può negare come negli ultimi tempi più di un collaboratore si sia attardato a descrivere una strategia politica di Cosa Nostra, indirizzata verso l'aspirato, e non si sa se ottenuto, appoggio di Forza Italia. Tra le anticipazioni del settimanale «L'Espresso», il lungo racconto che, sull'argomento, fa il collaboratore Tullio Cannella, ex imprenditore, ex politicante attivista dell'orbita democristiana poi passato alle dirette dipendenze del boss Leoluca Bagarella, ed approdato - alla fine - alla protezione dello Stato. Che dice Cannella? Che Bagarella entrò in politica, prima ispirando la fondazione di movimenti neoseparatisti (Sicilia Libera), poi affidando tutte le speranze di ricevere «soccorso» al nuovo partito che si sarebbe chiamato Forza Italia. E specifica che Giovanni Brusca diede disposizioni di votare per gli azzurri ed aveva in animo di incontrarsi con Gianfranco Miccichè, coordinatore siciliano di Forza Italia («l'incontro doveva avvenire al residence Marbela, ma non so se in effetti poi avvenne»). Il pentito aggiunge pure che dal governo Berlusconi la mafia si aspettava grandi cose in direzione di un alleggerimento della pressione investigativa. Secondo Cannella ai picciotti fu detto che ciò non avveniva perchè «c'era l'ostacolo del presidente della Repubblica Scalfaro». Conclude Cannella che il boss di Corleone - Leoluca Bagarella - non esitò a concludere che se fosse rimasto solo il presidente della Repubblica ad ostacolare l'operato del governo, «si sarebbe preso in considerazione la possibilità di eliminarlo». E chiama in causa - descrivendo la tela di ragno che Cosa Nostra tendeva verso il resto dell'Italia - imprenditori di Milano e di Roma. Parla, per esempio, di un Caltagirone (quale?) che in passato sarebbe stato legato al clan di Stefano Bontade e successivamente avrebbe avuto contatti coi Graviano «amici» di Dell'Utri. Questo ed altro racconta Tullio Cannella in due interrogatori del 17 e 23 luglio di quest'anno. I magistrati non hanno avuto ancora il tempo di fare verifiche, eppure si ritrovano tutto sui giornali. Dichiarazioni che potrebbero anche essere destinate all'archiviazione diventano veri e propi capi d'accusa. Inoffensivi, tuttavia, proprio perché di scarso valore giudiziario una volta sbattuti in cronaca. Su questo si arrovellano i magistrati del pool di Palermo. E si chiedono chi sia mai la mente lucida che ogni volta «offre» lo scoop del momento. Ben sapendo che il cronista, ovviamente, deve fare il suo lavoro: dare notizie. Francesco La Licata
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