Ma la notte è fatta per trattare di Filippo Ceccarelli

Nel mirino le baby-pensioni Rispunta l'estensione del sistema contributivo con più di 18 anni di anzianità Ma la notte è fatta per trottare Le regole d'oro per imporsi in una vertenza PRECETTO numero uno: la notte non porta consiglio, la notte è fatta per trattare; lo sfinimento fisico e il bivacco, infatti, accomunano le parti. Precetto numero due (detto anche «regola Costa» dal cognome del grande presidente della Confindustria): dare sempre l'impressione di andare oltre il mandato ricevuto; presentarsi con l'aria di chi sta raschiando il barile. Precetto numero tre (secondo la grande lezione di quell'altro sublime negoziatore che è stato Luciano Lama): meglio un uovo oggi che una gallina domani. E questo per la semplice ragione seguiterebbe a spiegare un ipotetico e magari anche scherzoso «manuale di trattativa» - che nessuno sa quanto deve pesare la gallina, mentre l'uovo lo sanno tutti... Di veri manuali, comunque, o studi, saggi, trattati o pamphlet sull'argomento ne esistono sul serio. Uno, di circolazione purtroppo semi-clandestina, ne ha scritto l'ex direttore generale della Confindustria Paolo Annibaldi; un altro l'ex responsabile Intersind per il Piemonte Giovanni Cattaneo. Per quel che riguarda il fronte sindacale la tradizione è affidata soprattutto alla parola o all'esperienza. Sull'epica del tavolo Ottaviano Del Turco, che si vanta di aver cominciato con Costa («Ah, quelle sue ciglia battute secondo il ritmo della Storia...»), è una miniera di aneddoti. Mentre l'approccio di Bruno Manghi, che arriva a penetrare la dilatazione del tempo in sede di trattativa, è filosofico. A Manghi si deve in ogni caso questo prezioso ritratto del perfetto negoziatore: «Prigioniero volontario dei suoi rappresentati, non è mai un numero uno, ma sa le cose, conosce i numeri ed è consapevole di svolgere un ruolo di servizio». La sua forza sta nel restare nel cono d'ombra, «al ri¬ paro dalle luci della ribalta». Il leader costruisce la strategia, ma arriva solo all'ultimo minuto per firmare. Prima di lui ha avuto campo libero l'umile virtù del negoziatore. «L'uomo di trattativa - aggiunge Nicola Messina, direttore delle relazioni sindacali della Federchimica, otto contratti consecutivi firmati dal 1972 a oggi - deve avere in mente uno schema che prescinde dalle rivendicazioni della controparte, con cui ha tuttavia un rapporto costante». Questo schema è fatto filtrare, a tale scopo servono appositi luoghi d'incontro. Il bluff - continua - funziona solo a breve; occorre far propri gli argomenti dell'altro; I mai lasciar intervenire il governo». /* L'errore più sciagurato? «Rompere senza sapere come poi ricostruire». La resistenza fisica, naturalmente, è più che necessaria. Da questo punto di vista Gianni Letta, sottosegretario berlusconiano, si è rivelato una specie di impeccabile mostro: «Dopo la riunione dell'altra notte - commentò Publio Fiori che non lo vide mai abbandonare il suo posto - siamo ormai certi che di Letta esistono tre o quattro copie». Imperturbabili. Nella patria del melodramma, del resto, le scene madri se le possono permettere però solo i grandi. La leggenda della Prima Repubblica tramanda certi op¬ portuni svenimenti di De Gasperi durante una crisi con i liberali. Del Turco, una volta, vide piangere Fanfani. Di Craxi si scrisse che in un accesso di rabbia sollevò un tavolone. Di primaria importanza è l'atmosfera che si crea. Il presidente Berlusconi, ad esempio, era un formidabile sdrammatizzatore, sulle pensioni intrattenne i sindacalisti raccontandogli barzellette che avevano come protagonista Fantozzi (non l'attuale ministro). Altri, al contrario, scaldano di proposito il clima. Nel 1969 il ministro Donat-Cattin, chiamato a mediare su quella storica vertenza dei metalmeccanici, esordì dicendo suppergiù: «Siamo alla vigilia del colpo di Stato». Frequentati ed utili spauracchi risultano: lo sciopero generale, la crisi di governo, il crollo della lira e i mercati impazziti. Mai comunque, consigliava Costa, calarsi le braghe dopo una minaccia o una prova di forza. Dramma nel dramma, il tempo che sfugge davanti a una scadenza. E tuttavia solo a quel punto, complice l'adrenalina, sembra ci si riesca a concentrare sull'essenziale. A proposito delle interruzioni, le esperienze di Manghi e Del Turco divergono. Il primo, attento anche alla dimensione rituale del negoziato, sostiene che qualche caso sospendere è utile: «Lascia respirare e umanizza la situazione». Il secondo è in linea di massima contrario: «Purché dopo bisogna ricominciare da capo». E cita l'esempio dell'ingegner Puri, dell'Italsider, che chiese una pausa tecnica di dieci minuti, che durò in realtà 24 ore. I giornalisti, portati per mestiere ad adorare le rotture catastrofiche o i più splendenti accordi, sono pericolosissimi guastatori della trattativa. Anche a causa loro, perciò, sempre più conviene sdoppiare il negoziato in «formale» e «sostanziale». Nel primo caso le telecamere riprenderanno gigantesche delegazioni, volti eccitati attorno al tavolone, e i microfoni, nei cortili, saranno intasati da un mare di chiacchiere. Nel secondo caso non ci saranno né telecamere, né microfoni e nemmeno taccuini. «L'accordo - spiega Del Turco - si fa qui, a delegazioni ristrette perché altrimenti si sommano tutte le contraddizioni anche all'interno delle parti. A cena non si è mai più di dieci». A cena? «Sì, e per favore senza inutili moralismi. I migliori contratti li abbiamo decisi in un appartamentino della Confindustria in via Veneto. Lucchini faceva preparare il pranzo al suo marinaio». Il buffet di Palazzo Chigi, del resto, è noto per la sua mestizia. Filippo Ceccarelli e De Gasperi svenne, Fanfani pianse, Craxi sollevò un tavolo per l'ira, Lucchini ammaliava con i pranzi I /* L'ex sindacalista Ottaviano del Turco e, sotto a destra, l'ex direttore generale della Confindustria Paolo Annibaldi

Luoghi citati: Messina, Piemonte