Sfida tra gli amanti in tribunale

Scambio di accuse all'udienza preliminare per l'aggressione e il ferimento del marito della donna Scambio di accuse all'udienza preliminare per l'aggressione e il ferimento del marito della donna Sfida tra gli amanti in tribunale Brescia, ma lui rischia di nuovo il carcere BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «Mi sono fatto furbo, io. Ho pure le telefonate registrate», se la ride Massimo Foglia, l'amante di Capriolo, quello delle martellate in testa al marito di Maria Angiola Assoni che li aveva sorpresi, in flagrante come recita il verbale della questura di quella notte. Ride, e ancora non sa che lo vorrebbero in manette. Ieri udienza preliminare, davanti al gip Roberto Spanò che deve decidere se fu un tentato omicidio, se fu volontario e premeditato, se davvero quei due che sembrano usciti da un fotoromanzo, potevano pensare di farla franca. Dando la colpa agli albanesi, come aveva recitato lei per ventiquattro ore. Prima della confessione a luci rosse. «Io sono tranquillo e sereno, quella sera non c'ero. La prova è nelle telefonate con Maria Angiola che ho registrato», sprizza sicurezza lui, camicia blu notte, pantaloni neri, cellulare all'orecchio, maglione in tinta che porta in spalla alla malandrina, mentre stringe mani, dà pacche sulla schiena e si bea di quei 50 che dalle 9 stazionano davanti al tribunale, tutti per lui. Quella che per Massimo Foglia doveva essere la prova provata della sua estraneità, in un attimo diventa un boomerang. Con il pubblico ministero Paolo Guidi, che in udienza si alza e scandisce bene le parole: «Chiedo la misura della custodia cautelare, agli arresti domiciliari, per inquinamento probatorio». Massimo Foglia sbianca, della verve di poco prima non rimane più nulla. «Mi vien da ridere, mi sembra un manicomio, che c'entro io?», dice con stizza, stretto agli avvocati che non si sa mai. E poi ripete il ritornello, quello di sempre: «Io non c'ero quella sera. Voglio che al processo si chiarisca tutto. Io devo uscire a testa alta, perché sono pulito. Maria Angiola deve dire la verità». La verità di Maria Angiola è in una paginetta, poche frasi appena di una memoria che il giudice Roberto Spanò legge in aula a voce alta. E' la memoria definitiva, quella che dovrebbe tagliare la testa al toro in questa storia dove le versioni si rincorrono. «Mi chiamo Maria Angiola Assoni. Dichiaro che è stato lui a cercarmi. Giuro che ci siamo incontrati tre o quattro volte. Confermo che era lui a dirmi ti amo. Assicuro che mi ha minacciato, voleva rendermi la vita difficile con quelle cassette, se non lo avessi salvato», mette nero su bianco lei, che in aula non si fa nemmeno vedere e il suo difensore, Gianbattista Scalvi giura che non ce la fa proprio a rivivere quei momenti, adesso che è finalmente tornata a vivere con suo marito. «Ma se era lei a telefonarmi, controllate i tabulati Telecom...», sbotta Massimo Foglia, tentato omicida secondo l'accusa e pure stupido per quelle telefonate che lasciano il segno. «Ma era lei, che chiamava», tenta l'ultima difesa. Contro la donna, che nella memoria ricorda pure quei colloqui via cavo: «Chiamava sempre lui, mi diceva che dovevo richiamarlo sul cellulare». Saranno i tabulati, a dimostrare chi ha ragione. In un'epoca di intercettazioni, c'è anche chi dimentica la traccia che rimane nei tabulati Telecom. La prova inconfutabile, non rimaneggiabile e mai smentibile, che rischia di pesare definitivamente in questa vicenda di provincia, nata come storia di corna, passata attarverso le sbarre di un carcere dove rischia di finire. «Lo sapevo, che si sarebbero incontrati...», scuote la testa il giudice Spanò, quello delle assoluzioni per Antonio Di Pietro, alle prese adesso con un processo che sembra una farsa, almeno stando ai protagonisti, alla loro doppia vita telefonica così lontana dal reale. «Ci siamo visti tre o quattro volte», ammette Maria Angiola Assoni anche nel pomeriggio, quando si infila in procura per l'ennesimo interrogatorio. Pantaloni fucsia, scarpe da tennis, maglietta blu e gli immancabili occhiali scuri, prima di scappar via dopo cinque ore di deposizione, riesce a difendere pure suo marito, Oliviero Signoroni, tirato in ballo dalla difesa di Massimo Foglia. «Mio marito non è un bugiardo, vedremo chi dice la verità. Adesso che sono tornata con Oliviero sto benissimo, con lui ho un rapporto bellissimo», si spreca nei superlativi assoluti. Il perché di quegli incontri clandestini, dopo tutto quello che è successo, lo racconta a modo suo Massimo Foglia: «Ho continuato a frequentarla perché volevo vedere quanto era diventata matta. Dalle registrazioni si capirà chi è più pazzo». In quelle audiocassette carpite via telefono, di pazzesco ci so¬ no solo le parole, i giuramenti di eterno amore. Lei che dice: «Ti amo ancora, non posso vivere senza di te». E ancora: «In carcere avevo le lenzuola di seta e le tende rosse alla finestra». Questa sull'arredamento penitenziario si sa che è una balla, ma è solo il prologo di una telefonata a luci rosse, giura lui. «Vedremo, vedremo quando si sentiranno le cassette», dice sicuro Massimo Foglia. Che giura che le porterà oggi quando il giudice darà un incarico a un perito per le trascrizioni, mentre i suoi difensori che non volevano più usarle scuotono la testa. E quan¬ do il pm chiede le manette, l'avvocato Carlo Bonardi sbotta: «Ma perché dobbiamo essere presi in giro... Contro il Foglia ci si continua a incaponire, lui è stato sempre disponibile». Alle 13 e 30 tutto è finito. Oggi l'incarico al perito per quelle bobine rubate, mentre il giudice Spanò deve decidere se far arrestare per la seconda volta l'amante di Capriolo. Che fuori dal tribunale, continua il suo show: «Dimenticavo, un saluto ai ragazzi del terzo raggio di Canton Mombello». Fabio Potetti Lui: «Ho registrato le telefonate che mi scagionano». Ma il pm «Ha inquinato le prove» Lei: «E' stato Massimo a cercarmi dopo quella notte. Mi ha minacciato perché lo scagionassi» Sopra, Massimo Foglia esce dal tribunale A sinistra Maria Angiola Assoni all'uscita dalla procura di Brescia

Luoghi citati: Brescia, Canton Mombello, Capriolo