«I soldi dello Stato non vanno ai pentiti» di Maria Corbi

Ili Saranno prelevati dal fondo del sequestro dei beni «I soldi dello Stato t non vanno ai pentiti» ROMA. Il disegno di legge governativo sui pentiti ha iniziato il suo iter e già scoppiano polemiche. Ieri primo confronto a palazzo Madama con il relatore Luigi Follieri, popolare, che ha chiesto la modifica di una parte dell'articolo 192 del codice di procedura penale per impedire che coincidenti dichiarazioni siano, da sole, considerate elemento di prova. Secondo l'esponente del ppi, non si può affidare alla sola parola dei pentiti l'esito di un processo per mafia, ma bisogna che le deposizioni siano supportate da dati di fatto incontrovertibili, oppure da testimonianze di cittadini estranei al mondo dei collaboratori. Una proposta che avvicina il partito popolare alle posizioni del Polo visto che la necessità di una verifica «estema» alle dichiarazioni dei pentiti è contenuta in un disegno di legge del senatore di An Antonio Lisi. Ma la discussione in commissione Giustizia si annuncia difficile e potrebbe causare uno «strappo» nella maggioranza. Contrari a questa modifica anche il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick e il senatore del pds Guido Calvi, che siede in commissione Giustizia al Senato. «Vietare espressamente - spiega - la possibilità di utilizzare le testimonianze incrociate di pentiti potrebbe rivelarsi un boomerang per chi è impegnato nella lotta alla mafia. Dobbiamo ricordare a Follieri che la criminalità organizzata non tiene verbali delle proprie sedute e quindi spesso trovare riscontri obiettivi, oltre alle testimonianze dei pentiti, è molto difficile». Dalla Rete Giuseppe Scozzali giudica «pura follia modificare l'art. 192 del codice di procedura penale». «Se dopo la riforma dell'articolo 513 si trasformerà l'articolo 192 - dice il parlamentare -, l'Ulivo avrebbe la grave responsabilità di aver smantellato la lotta alla mafia». Ma sono molte le novità contenute nel ddl governativo. Prima di tutto non sarà più lo Stato a pagare per la protezione dei pentiti e dei loro familiari. I soldi necessari ai programmi di protezione si prenderanno da un fondo creato con i beni e il danaro confiscati. Una quota del «tesoro» messo insieme dai collaboratori quando erano in «attività» dovrà essere destinata ad un fondo di solidarietà necessario per ripagare le vittime di mafia nel caso in cui il pentito o il mafioso non possieda beni sui quali rivalersi. Reni che serviranno anche a pagare alle persone offese una efficace difesa processuale. Una risposta del governo all'insofferenza di parte della società che non tollera il peso del costo dei programmi di protezione per i pentiti e i loro familiari. La nuova disciplina stabilisce poi che il pentito non potrà beneficiare delle agevolazioni di pena se non avrà prima scontato un quarto della sua condanna, dieci anni in caso di ergastolo. E si è cercato anche di rendere più trasparente D rapporto dei pubblici ministeri con i collaboratori di giustizia prevedendo interrogatori senza «ombre» e, per chi decide di collaborare, il termine di 180 giorni entro cui ricordare tutto. Su queste «chiacchierate» - che il popolare Follieri vorrebbe si svolgessero non con il pm ma con il gip - dovrà essere redatto un verbale che conterrà anche l'inventario dei beni che il pentito ha accumulato nella sua attività illecita. La «verità» dei pentiti verrà valutata in maniera rigorosa e se le confessioni saranno ritenute indispensabili al fine delle indagini, saranno concessi i benefici e sarà anche deciso un programma di protezione finanziato con i beni confiscati. I pentiti dovranno anche impegnarsi a sostenere in aula le accuse mosse e le rivelazioni fatte. Maria Corbi Un pentito depone ad un processo protetto dal paravento

Persone citate: Antonio Lisi, Follieri, Giovanni Maria Flick, Guido Calvi, Luigi Follieri

Luoghi citati: Roma