Il boia saudita per due inglesi di Fabio Galvano

Le infermiere accusate dell'omicidio d'una collega a Dhahran: sarebbe la prima esecuzione di un occidentale Le infermiere accusate dell'omicidio d'una collega a Dhahran: sarebbe la prima esecuzione di un occidentale Il boia saudita per due inglesi Una condannata a morte, l'altra a500frustate LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La spada di Allah si leva minacciosa sul capo di Deborah Parry, l'infermiera inglese processata dai sauditi per l'assassinio di una collega australiana. Manca qualsiasi conferma ufficiale della condanna a morte che sarebbe stata pronunciata ieri dal tribunale di Al-Khobar; anzi si levano da più parti inviti alla cautela e ipotesi di una pena non capitale. Ma la notizia del verdetto è stata data dagli avvocati che rappresentano la famiglia della vittima, Yvonne Gilford, l'infermiera australiana di 55 anni trovata morta nel dicembre scorso nella sua cameretta all'ospedale Re Fahd di Dhahran: gli stessi che hanno annunciato - e di questa sentenza si è invece avuta conferma anche dal Foreign Office - la condanna a 8 anni di carcere e 500 frustate per l'altra imputata, Lucilie McLauchlan, ritenuta colpevole di complicità. Da tutta l'Inghilterra e dalle organizzazioni umanitarie internazionali si levano proteste e appelli alla clemenza, in un emotivo show di sdegno per il processo a porte chiuse e per la segretezza delle deliberazioni. Le famiglie delle due infermiere e i loro avvocati inglesi si dicono esterrefatti e accusano il sistema giudiziario saudita di non aver voluto accogliere certe prove in difesa delle imputate, di avere invece dato fede alla loro confessione (poi ritrattata). Ma nell'incertezza delle notizie il ministro degli Esteri britannico Robin Cook, che nei prossimi giorni dovrebbe incontrare il suo omologo saudita principe Saud, non ha avuto altra scelta che dirsi «allarmato» dalla sentenza, in particolare per quanto riguarda le 500 frustate per la McLauchlan, tacendo invece le prospettive di condanna a morte per la Parry («non ci risulta che sia stata pronunciata una sentenza a suo carico», ha detto un portavoce del Foreign Office) L'ambasciatore saudita a Londra ha cercato di gettare acqua sul fuoco, ricordando che questo era soltanto il processo di primo grado, che ora ci sarà l'appello e che comunque ogni sentenza capitale dev'essere approvata da re Fahd in persona. Ghazi Al-Gosai bi, colto mentre nel giardino del l'ambasciata celebrava con un gruppo di dignitari una festa na zionale saudita, ha addirittura affermato che Frank Gilford, fratello della vittima, in nome del diritto riconosciutogli dalla legge islamica, la Shari'a, rinuncereb be a chiedere la condanna a mor te. «Se questo accordo sarà fina lizzato - ha detto l'ambasciatore - non ci sarà più questione di condanna a morte». Frank Gilford ricompare quindi come figura chiave; soprattutto se è vero - sono notizie saudite della notte - che ieri il tribunale si è occupato soltanto della McLauchlan e delle sue frustate. Camionista di Jamestown, nel l'Australia del Sud, nella scelta fra la condanna a morte e il paga mento di un forte indennizzo non aveva mai avuto dubbi: «Per l'uccisione di mia sorella - aveva detto - quelle due devono morire». Forse ora ha cambiato idea. Forse ritiene di poter trarre un utile dalla vicenda. O forse anche lui comincia ad avere qualche dubbio su un delitto che non è certo dei più limpidi. L'assassinio era avvenuto il 12 dicembre: la Gilford era stata pugnalata 13 volte, malmenata, infine soffocata. I sospetti erano caduti quasi subito sulle due infermiere che lavoravano nello stesso ospedale: Debbie Parry, 38 anni, di Alton nello Hampshire, e Lucilie McLauchlan, 31 anni, scozzese di Dundee. Una storia di rapporti lesbici e di gelosie - è stato sostenuto dall'accusa durante il processo - nell'ambito della piccola colonia occidentale, attratta dai generosi salari, che popola quello e altri ospedali del regno saudita. Durante gli interrogatori le due, che sarebbero cadute in trappola usando le rarte di credito della Gilford, avevano confessato, salvo poi ritrattare al processo affermando di avere ceduto alla minaccia di violenze anche sessuali. Ora comincia la grande attesa della verità: fra le perplessità di Frank Gilford, l'esame dei precedenti (molti stranieri sono stati decapitati sulla pubblica piazza, anche fra i 107 già giustiziati quest'anno, ma mai un occidentale), le ipotesi degli avvocati inglesi e il furore dei media britannici, che si sono appropriati della vicenda. «Non ci sono prove contro di loro», dice il padre della McLauchlan; e l'Inghilterra è con lui. Fabio Galvano La notizia viene dagli avvocati della famiglia della vittima. L'ultima speranza è la grazia concessa, secondo l'usanza, dal fratello dell'uccisa. La Gran Bretagna si mobilita Foto grande: decapitazione in Arabia Saudita A sinistra l'infermiera condannata, a destra la vittima

Persone citate: Deborah Parry, Dundee, Frank Gilford, Gilford, Parry, Robin Cook, Yvonne Gilford

Luoghi citati: Arabia Saudita, Australia, Gran Bretagna, Inghilterra, Londra