VATICANO La sfida italiana

Federalismo, questione meridionale, mafia: perché la Chiesa interviene sempre più spesso sui temi politici e sociali VATICANO la sfida italiana Federalismo, questione meridionale, mafia: perché la Chiesa interviene sempre più spesso sui temi politici e sociali LA Chiesa cattolica in Italia ha portato avanti negli ultimi anni, con decisione e successo, una grande __J trasformazione, ma non tutti se ne sono accorti. Oggi esiste una Chiesa italiana ed essa si esprime doverosamente sui maggiori problemi sociali e culturali e quindi anche, di riflesso, su quelli economici e ovviamente politici che via via emergono nel dibattito che agita la nostra società. Nelle Conferenze episcopali a livello regionale e in quella nazionale che le raggruppa, la Chiesa italiana si è data un'organizzazione vivace ormai collaudata; divenuta un soggetto ben identificabile, non disgiunto, ma distinto dalla Chiesa universale, dalla Santa Sede e quindi dalla Curia. Anche la Curia, cioè la Segreteria di Stato, sempre autorevolissima, e accanto a essa le Congregazioni (in termini laici i Ministeri) che costituiscono il governo della Santa Sede e ne dirigono i rapporti diplomatici con gli Stati e quindi con l'Italia, hanno, secondo me, guadagnato da questa evoluzione verso la chiarezza per quanto riguarda gli intensi rapporti con il nostro Paese. Questa evoluzione è dovuta a molti fattori, che hanno cominciato a potersi manifestare dopo la soluzione concordata della questione romana, con la Conciliazione del 1929, dapprima timidamente, per le costrizioni dovute all'assenza di libertà, finché è durato il fascismo. Ancora timidamente si è manifestata nella fase successiva, caratterizzata dall'impegno per la ricostruzione del Paese e dalla dura lotta per la ricostruzione di una democrazia, di nuovo insidiata da una tentazione totalitaria, proveniente questa volta da sinistra, forte dell'appello alla palingenesi sociale e della minaccia espansionistica sovietica, incombente e armata fin nel cuore stesso dell'Europa centrale sottomessa, a pochi chilometri dalle nostre frontiere. Fattori diversi come il Concilio Vaticano II e la fase involutiva, lentissima ma senza rimedio, iniziata nell'impero sovietico, consentirono a Paolo VI, conoscitore delle nostre cose, di dar l'avvio a una graduale responsabilizzazione della Chiesa italiana. Ma ad accelerare decisamente i tempi concorsero l'avvento, dopo più di quattro secoli, di un grande Papa non italiano - abituato per esperienza personale a sentire con immediatezza il profondo legame fra la sua Chiesa e il suo popolo - e l'accordo di revisione del Concordato firmato nel febbraio 1984. A mio avviso, poi, una svolta concreta essenziale per il pieno delinearsi della Conferenza Episcopale come soggetto mehminabile nel dibattito pre- e meta-politico sui grandi temi di attualità, è rappresentata dal varo dell'intesa sul nuovo sistema di finanziamento della Chiesa, una conseguenza del secondo Concordato, voluta con molto coraggio che ad alcuni sul momento parve temerarietà - dai rappresentanti dei vescovi. Con il nuovo sistema di finanziamento (T8 per mille volontario sulla denuncia annuale dei redditi), grazie alla buona accoglienza riservatagli dal contribuente, la Chiesa italia na ha acquisito i mezzi per darsi un'organizzazione efficiente e una autorevolezza molto notevo- le, sia sulle sue stesse strutture che verso l'esterno, e persino la possibilità di una importante azione di volontariato a favore di Paesi in via di sviluppo, che le dà prestigio e attira i giovani. Perché meravigliarsi, allora, che la Conferenza Episcopale e i suoi membri si esprimano non solo sui principi etici e morali che riguardano le coscienze, ma, da essi ispirati e guidati, sulle grandi questioni che riguardano il presente e l'avvenire del Paese: la famiglia, la scuola, il lavoro, l'immigrazione, la solidarietà? Il cristianesimo non è solo fede e preghiera, ma un modo di vita che non rifugge dal mondo che ci circonda, ma che anzi esalta il dovere di guardare a esso con apertura e fratellanza. Fra i grandi temi di discussione ve ne è uno che oggi spicca, che in un certo senso tutti li inquadra e ha perciò assunto in questo periodo una posizione determinante: quello dell'organizzazione dello Stato, dell'aspirazione a un federalismo circa il quale regna peraltro massima la confusione delle ;lingue. Non si tratta certo di untema destinato a rimanere accademico, riservato ai cultori di diritto costituzionale, ma di una questione molto pratica, che concerne la vita quotidiana e il benessere di tutti, a cominciare dai più giovani. E' una questione, inoltre, da esaminare con urgenza anche alla luce del processo di costruzione europea che, dal di fuori, influisce sul modo di essere degli Stati membri e lo modifica sempre più incisivamente. La Conferenza episcopale, i vescovi italiani a cominciare da quello di Roma, che poi è il Primate d'Italia e il Papa, si sono espressi su questo dibattito con crescente frequenza e c'è da attendersi che, se occorrerà, lo facciano ancora. Lasciamo da parte i lazzi e le contumelie che ciò ha provocato da una parte da cui non c'è altro da attendersi, ma credo sia bene venga superata da quanti più è possibile un'esitazione ad accettare come pienamente legittime e anzi doverose, su questo come beninteso su altri temi, le prese di posizione della Chiesa italiana, che sono un contributo che essa dà al libero dibattito nazionale, non certo di carattere imperativo o dogmatico: un contributo, però, pienamente legitti¬ mo, sul quale si può e si deve discutere. Aspirare a una diversa organizzazione, non più centralistica, dello Stato, puntare o ammiccare a forme di federalismo superregionali, regionali o addirittura municipah non dovrebbe dar luogo solo a discussioni astratte e di principio, se si vogliono raggiungere soluzioni ragionevoli e non campate in aria. Questo mi sembra il parere della Chiesa italiana, che non prende posizione, perché non le spetta, né sulle varie ipotesi di nuove sistemazioni dello Stato, né, tantomeno, sulle tendenze politiche che le motivano. Persino alla minaccia di secessione, portata avanti a sbalzi, all'inizio in modo che poteva pare- re soltanto provocatorio, i vescovi italiani hanno a lungo evitato di rispondere con anatemi e alcuni di essi hanno messo in luce anche le buone ragioni del malcontento e l'urgenza di quanto appare indispensabile fare per togliere a quelle minacce ogni giustificazione o supporto: poiché il problema della protesta dei cittadini di fronte a una presenza soffocante ovvero alla latitanza del- lo Stato è nato soprattutto in aree abituate, sì, a lavorare sodo e a fare da sé, ma che per dare sbocco al proprio lavoro hanno bisogno di un minimo di efficienza delle infrastrutture generali. Anche quando alla richiesta di secessione si sono accompagnati vieti insulti anticlericali, rozze protervie e bertoldeschi ricatti, sono state evitate da parte cattolica crociate fuori tempo e la polemica diretta. Ma, pur se è convinta che la causa secessionista è quella sbagliata, capace solo di stimolare, non di rispondere e incanalare un malcontento che essa contribuisce a far rimanere confuso e indistinto, la Chiesa italiana, a mio avviso, è anche sempre più convinta che occorra muoversi con grande urgenza sui problemi concreti, il primo dei quali ha un vecchio nome, ma da centotrent'anni, dall'unificazione del Paese è sempre lì: la questione meridionale. La Chiesa non si nasconde che il Mezzogiorno, anziché costituire come dovrebbe e come in qualche fase è accaduto, ad esempio nei primi decenni del dopoguerra, un volano di crescita per tutto il Paese, rischia di apparire e potenzialmente di diventare, se vi è rassegnazione davanti ai suoi problemi o solo assistenzialismo, un fattore generale di ritardo e anche di contagio. Per tale motivo ha reagito con toni alti, a partire dalla preghiera per l'Italia lanciata da Giovanni Paolo II nel 1994, simbohcamente dalle grotte vaticane ove fu martirizzato Pietro, sottolineando il valore inestimabile e irrinunciabile dell'unità culturale di questa nazione, cui il cristianesimo ha dato, nel corso di due millenni, un contributo che nemmeno i non credenti o i non osservanti possono disconoscere. La Chiesa cattolica ritiene che queste radici debbano essere ritrovate affinché il Paese ne tragga motivo di sicurezza e quel tanto di amor proprio, che è necessario per vivere facendo fronte ai propri doveri. E' un auspicio che ciò valga a distoglierlo dalle lamentazioni e a fargli ritrovare il mondo più serio, pur se certo più duro, delle proprie responsabilità in un'Europa che si sta costruendo, di cui è parte essenziale, e nel mondo. Quando è rivolto allo popolazioni delle regioni settentrionali che hanno saputo operare nel corso degli ultimi decenni una straordinaria riconversione economica, trasformando molte aree in un denso tessuto di imprese industriali piccole e medie, questo appello lo sanno bene i parroci, a stretto contatto con la gente e le sue preoccupazioni - è tutt' altro che teorico o retorico. Innanzi tutto un importantissimo sbocco di vendita per queste imprese è tradizionalmente il Mezzogiorno, dove la concorrenza degli altri Paesi comunitari è ovviamente presente e lavora per espandersi ulteriormente, se sopravvenissero insensa¬ ti eventi traumatici per il naturale e tradizionale «mercato comune» italiano. Ma poi molte di quelle industrie esportatrici sono anche consapevoli di quanto siano facilitate dall'immagine complessiva del marchio-Italia, divenuto per antonomasia quello di una tradizione di eleganza, di bellezza, di semplicità, legato a uno stile di vita che altri continuano ad attribuirci, nonostante che l'ondata di autodenigrazione da cui siamo travolti l'accia di tutto per corroderlo. Tra l'altro, da Odoacre a Napoleone, il Regno d'Italia ha incluso le regioni del Nord e non quelle meridionali ed è incredibile che vi sia chi è portato a svendere questa tradizione storica, barattandola con inesistenti e ridicoli miti padani. E' un sistema-Italia, caso mai più forte e coordinato, liberato dalle pastoie del centralismo, ciò che occorre affinché le capacità economiche del nostro Paese tornino ad avvantaggiarsi pienamente, come ò accaduto per molti anni, dei progressi della costruzione europea. Nel quadro di quest'ultima, perdere l'influenza e il peso che ci vengono dall'essere naturalmente, di diritto, inclusi nel gruppo dei Paesi maggiori e che quindi contano di più sarebbe una follia per la quale il Mezzogiorno, ma ancora di più l'Italia del Nord, pagherebbero un prezzo assai elevato. Questa consapevolezza dei doveri che abbiamo verso l'Europa, per l'apporto irrimpiazzabile che le possiamo dare, è un altro tasto spesso e molto chiaramente toccato nelle prese di posizione della Conferenza episcopale italiana. Non rivelo un segreto: il Papa mi parlò a lungo con speranza e incitamento del ruolo dell'Italia nell'Europa che si sta edificando, quando gli presentai le credenziali di Ambasciatore nel marzo 1994 e me ne ha riparlato pochi giorni fa, quando la mia missione si è conclusa. Gli appelli della Chiesa sono molto concreti e impegnativi anche quando sono rivolti, spesso con accoratezza, alle popolazioni del Mezzogiorno. Il grido di Giovanni Paolo II da Agrigento contro la mafia è l'apice di una sfida incessante che, nella stragrande maggioranza, la Chiesa siciliana e quella di altre regioni afflitte da analoghe piaghe portano avanti quotidianamente, in condizioni sociali e ambientali spesso difficilissime. Chiudo con un ricordo personale. Mi sono trovato a Palermo, a fine novembre 1995, per lo svolgimento del grande, tradizionale convegno della Conferenza episcopale italiana. La scelta di Palermo non era casuale. Migliaia di giovani da ogni contrada italiana, decine di incontri, di convegni in ogni sito possibile, da una modernissima nave da crociera ancorata nel porto, alle cinese, ai teatri, agli stadi. Venne e parlò naturalmente anche Giovanni Paolo II, Da quelle giornate usci un appello forte e severo, rivolto innanzi tutto alla Sicilia e ai Mezzogiorno, protagonisti indispensabili di un proprio rilancio, necessario a tutta la nazione. Il messaggio che partiva da quelle giornate fu a mio avviso adeguatamente valorizzato sul piano nazionale: lo può essere, forse, ancora. Bruno Bottai Ex ambasciatore italiano presso la Santa Sede ese: oro, ? Il de e vita e ci a il con siocca, ino in denizpiraa il a la n si nato rvazioolto quoti, a E' miluce uro sul emnciliana, che non prende posizione, perché non le spetta, né sulle varie ipotesi di nuove sistemazioni dello Stato, né, tantomeno, sulle tendenze politiche che le motivano. Persino alla minaccia di secessione, portata avanti a sbalzi, all'inizio in modo che poteva pare- Negli ultimi anni è cresciuta la chiarezza negli intensi rapporti con il nostro Paese t Ma, pur se è convinta che la causa secessionista è quella sbagliata, capace solo di stimolare, non di rispondere e incanalare un malcontento che essa contribuisce a far rimanere confuso e indistinto, la Chiesa italiana, a mio avviso, è anche sempre più convinta che occorra muoversi // cristianesimo non è solo fede e preghiera, ma un modo di vita che non rifugge dal mondo parie ventardavantassisteneraletagio. Per toni alper l'IPaolo te dalmartirido il nunciquestmo halenni, no i nvanti pLa Cquestetrovatga motanto cessarite ai pche cilamenil monpiù dubilità istruenle, e n // cristianesimo non è solo fede e preghiera, ma un modo di vita che non rifugge dal mondo Paolo VI: negli Anni 60 responsabilizzò la Chiesa italiana Giovanni Paolo II è intervenuto spesso sui problemi del Paese Negli ultimi anni è cresciuta la chiarezza negli intensi rapporti con il nostro Paese

Persone citate: Bruno Bottai, Giovanni Paolo Ii, Paolo Vi