Su Belgrado l'ombra di un nuovo Duce di Giuseppe Zaccaria

Su Belgrado l'ombra di un nuovo Duce Su Belgrado l'ombra di un nuovo Duce E' stato il regista degli squadroni della morte in Bosnia: io non credo alla pace Seselj, fanatico nazionalista, sfiderà l'uomo di Milosevic BELGRADO DALL'INVIATO Un cetnico per la presidenza. Il teorico di una serbità sprezzante e arroccata che sempre più agguerrito si propone alla guida del Paese. Il primo turno delle elezioni di Serbia si è chiuso su un risultato sorprendente. Zoran Lilic, candidato del regime è il più votato ma il professor Vqjslav Seselj, radicale, ultranazionalista, capo di bande armate lo segue ad appena tre o quattrocentomila voti di distanza. E' un distacco che nel ballottaggio di domenica prossima potrebbe colmarsi. Man mano che i conteggi si completano l'apparato di Milosevic, l'onnivora burocrazia statale si scopre sotto choc. Fra i tre maggiori candidati solo Vuk Draskovic, il monarchico, è fuori. Adesso dice «faremo fallire il ballottaggio, nessuno dei miei sostenitori andrà a votare». Se però non andasse così, se una parte dell'elettorato tradizionalista di Draskovic puntasse sul candidato che in fondo gli è più vicino, le cose potrebbero prendere tutt'altra piega. I risultati definitivi si conosceranno solo oggi. Fino a ieri sera Lilic guidava la corsa con un milione e 200 mila voti mentre Seselj lo incalzava intorno ai 940 mila. Una distanza minima, in un un Paese in cui solo il 61 per cento degli elettori è andato alle urne. I sostenitori di Draskovic invece sono stati circa 800 mila. Sufficienti, se si astenessero in blocco, a far fallire il ballottaggio per mancanza di «quorum». Dopo aver guidato le dimostrazioni dell'inverno scorso, Draskovic sembra essersi alquanto avvicinato al regime. Adesso il suo atteggiamento sarà decisivo per consentire alla Jugoslavia di avvicinarsi al prossimo turno senza lo spettro di un capobanda alla guida del Paese. Pochi giorni fa, chiudendo la campagna elettorale Seselj aveva annunciato: «La mia prossima conferenza stampa sarà convocata nel palazzo della Presidenza». Sembrava l'ennesima sparata di un guascone, adesso quella frase ha il sapore di una minaccia. Sarebbe una catastrofe, in ogni senso. Fin dalla gioventù, trascorsa a Sarajevo, da un arresto per anticomunismo accompagnato da innominabili violenze subite in carcere, Seselj si porta dentro volontà di rivalsa e livore. Le sue bande paramilitari hanno seminato morte e violenze prima in Croazia poi in Bosnia, a Bijeljina, Brcko, Prjiedor. La sua era l'unica formazione armata a prendere nome direttamente dal Capo, e «seseljovi» è stato per anni sinonimo di violenza cieca. Anche oggi, a guerra finita, il professore non rinnega uno solo degli atti compiuti. Se un rimpianto esprime, è quello di aver mal giudicato l'Iraq. «Nel '90 - dice - i nostri rapporti con Baghdad erano pessimi. Ma eravamo noi a non aver capito, e adesso abbiamo cambiato posizioni. Anche gli iracheni come i serbi sono vittime dell'imperialismo americano: manteniamo ottimi rapporti con loro e con tutti i Paesi arabi (la Libia, la Siria) che non si sono sporcati le mani nella nostra guerra». Converrà ripeterlo ancora: Seselj è l'uomo che tre anni fa minacciava l'Italia: «Se dalle vostre basi partiranno aerei Nato che vengono a bombardarci, vi lanceremo contro missili riempiti di scorie nucleari». E' un gelido teorico che dell'estremismo ha continuato a fare una carta vincente. «Sono un nazionalista serbo, un patriota, e ne sono fiero. Non m'interessa come mi vedono all'estero. Non credo nel processo di pace: è manipolato dagli americani, loro si comportano così in ogni parte del mondo». Martellando gli elettori con questi slogan, appena una settimana fa aveva ottenuto ottimi risultati nella «Republika Srpska», fra i nipotini di Karadzic. «Io appoggio Karadzic non in quanto politico ma come uomo della storia», ha ripetuto appena subito dopo. «Adesso è fuori dalla scena, ma resta persona che ha combattuto per la libertà del popolo serbo. Per questo lo difenderò da qualsiasi attacco e dal tentativo di mandarlo di fronte al tribunale dell'Aia». Non si può dire che esprima idee confuse, il ducetto. La questione del Kossovo? «Si risolverà facilmente. Lì i socialisti sono ancora più corrotti ed incompetenti dei nostri. Basta partire dal registro delle cittadmanze, riprendere tutto quel che ci è stato tolto. Gli albanesi? Quelli che sono leali cittadini della Repubblica serba non hanno nulla da temere. I separatisti non hanno che da andarsene: non forziamo nessuno a vivere qui». Questo è il personaggio che la Serbia rischia di ritrovarsi come presidente. Anche alle elezioni politiche il suo partito va forte: i socialisti dovrebbero aver raggiunto i 115 seggi, Seselj i 90. Giuseppe Zaccaria L'ultranazionalista Vojslav Seselj capo del Partito radicale serbo Il candidato della sinistra appoggiato da Milosevic Zoran Lilic