La comunicazione ultimo tabù dell'Ulivo di Filippo Ceccarelli

=1 8 ir PALAZZO La comunicazione ultimo tabù dell'Ulivo nuovo peccatuccio veniale che sempre più spesso disturba lievemente i sogni e un po' forse anche i sonni dei potenti: «l'errore di comunicazione» - talvolta rimpiazzato dal suo ancor più innocente fratellino, «l'errore d'immagine». Veniva da pensarlo, anche senza malizia pregiudiziale, leggendo e rileggendo un'intervista a Repubblica del ministro della Pubblica Istruzione, Berlinguer. Domanda: pensa di aver sbagliato qualcosa da quando si è insediato? «Sì, la comunicazione - rispondeva -. Sono un liberal, e vengo presentato come un indottrinatore, sono un pragmatico e vengo descritto come un ideologico». E perché? «Forse non so utilizzare i media - insisteva il ministro con dubbiosa malinconia - non vado nei talk-show». Vero è che nei giorni seguenti, complice l'apertura delle scuole, Berlinguer rompeva tale orgogliosa astinenza parlando per ore alla radio e in tv. Ma a parte la lamentazione iper-personalizzata-i» io liberal, io pragmatico - non c'è dubbio che l'assai intensa ...attività della Pubblica istruì zione, e in paftfeòlMtelé'tàri'te iniziative, anche intelligenti e di buona volontà, del suo ministro (riforma dei cicli didattici, della maturità, autonomia degli istituti, parità, commissione sui «sapeii indispensabili», «debito formativo» e così via); ecco, il pericolo è che alla lunga tutti questi progetti siano presi per quello che non vorrebbero essere: meri annunci per raccattare una facile ed effimera popolarità, oppure incaute promesse, finti decisionismi, suggestioni narcisistiche. Queste ultime con l'aggravante della recidività, se si ritorna con la memoria ad alcune foto dell'album della famiglia Berlinguer per cui, insomma, il ministro è apparso su un rotocalco come tenero bimbo nudo e capellone, in versione fauno, in costume da bagno e folkloristico sardo e perfino allegramente impegnato nel «ballo della mela» ad una festa privata Niente di grave: così fan ormai. Ma a maggiorvaia., Nie I tutti, ragione, allora: è giusto, è sensato, è opportuno, è carino, per un responsabile politico, appellarsi all'«errore di comunicazione»? Non sarà, piuttosto, un confortevole alibi autoassolutorio? O forse un modo per scaricare la colpa sul portavoce? Un errore a metà, quindi? Un non-errore che consente di seguitare a «sbagliare» in nome di poco confessabili ragioni politiche? Certo insospettisce l'uso e l'abuso di una formula di per sé fin troppo ambigua e onnicomprensiva, quasi un espediente lessicale per nascondere, infiocchettare o dire altro. Così, a novembre, D'Alema ha segnalato un «errore di comunicazione» del governo sull'eurotassa: ma perché «le tasse si mettono, non si annunciano». Mentre ad agosto ha riconosciuto un errore più personale - stavolta «d'immagine» - a proposito della cena deU'inciucio a casa Letta: «Era meglio un panino» ha spiegato. Aggiungendo tuttavia: «Ci sarebbero stati meno articoli sui giornali». Come se quella dei giornali fosse la vera questione. Lo stesso Prodi, a gennaio, ha prima auto-denunciato un difetto comunicativo: «Il nostro principale problema è informare la gente delle cose buone che riusciamo a fare». Per poi rettificare, qualche giorno dopo: «I problemi dell'immagine e della comunicazione sono cose che premono a Berlusconi. A noi interessano i numeri». «Forse - incalzava un Andreatta penitenziale sull'economia - abbiamo peccato di scarsa analiticità nella comunicazione». Forse poteva chiedere conferma al suo collega Berlinguer. Filippo Ceccarelli

Persone citate: Andreatta, Berlinguer, Berlusconi, D'alema, Prodi