E il tricolore batte anche il Che
E il tricolore batte anche il Che E il tricolore batte anche il Che Nelle piazze più pensionati che ragazzi sacrosanta». Inseguono persino Carla Fracci che sul palco danzerà la «Patetica» di Beethoven avvolta nel tricolore: «Io sono milanesissima, ma mi sento anche tanto italiana», dice. Ma poi aggiunge: «Sono qui anche per difendere il lavoro... Trovare lavoro in Italia è diventato imbarazzante». Imbarazzante? Vabbè. La mattinata è uno splendore. I cinque concentramenti accerchiano il centro città svuotato dal week-end. Volano i palloncini. Lo striscione d'apertura dice: «L'Italia non si rompe». Ma ce ne sono decine d'altri sobri e geografici: «I lavoratori della Campania». Oppure: «Basilicata». Oppure «Cgil Firenze». Ci sono mascheroni di Bossi. E bimbi con la coccarda. Avan¬ zano spezzoni che cantano a squarciagola l'inno di Mameli. E altri - del neonato partito comunista padano - che scandisce: «Hasta la Cassola siempre». A colpo d'occhio la metà del popolo in piazza è fatta di pensionati e perciò non c'è adrenalina nè tensione, semmai un rilassante procedere al ritmo della passeggiata. Pensionati Sergio Cusani ha approfittato del corteo anti secessione per portare sulla piazza il problema del disagio nelle carceri italiane che hanno camminato - più o meno su questo stesso asfalto per i contratti degli Anni Settanta e contro i governi Andreotti. Hanno dimestichezza con tutto il rito, un po' meno con le ragioni per cui sono qui. «Mi sembra di sognare - dice un ex operaio di Taranto -. Con tutti i problemi che abbiamo, ci tocca occuparci anche di Bossi». E un altro: «E' un pericolo vero, anche se a pensarci bene mi viene da ridere». E un altro: «Non lo so, magari gli facciamo un favore a prenderlo così sul serio». E un altro: «E' vero dovremmo sfotterlo e basta». Però si cammina e si canta. Un'intera fabbrica di Modena (per esempio) intona la soil'a di Toto Cutugno: «Lasciatemi cantare/ con la chitarra in mano/ lasciatemi sognare/ io sono un italiano». E un intero quartiere di Napoli alterna «'0 sole mio» con «O mia bela madunina». Va a ruba una maglietta che dice così: «Dio creò la Padania. Quando si accorse dello sbaglio creò la nebbia». Una botta di vita arriva dallo spezzone immigrati: tamburi, trombe, colori, salti e passi di danza. E un rumore assordante di fischietti e bidoni sale dai cordoni di Brescia. Ma quel che stupisce è l'assenza di slogan, come se la parola d'ordine: «Stop alla secessione», fosse altrettanto scontata quanto la riuscita di questa esibizione di potenza sindacale. Una esibizione (dicono i maligni) che va in scena nell'imminenza della trattativa più temuta da Cofferati-LarizzaD'Antoni: la famosa riforma dello Stato sociale. «E' meschino solo pensarlo», proverà a dire Larizza a fine manifestazione. Ma Cofferati, indirettamente, lo conferma: «Lo Stato sociale è un esempio di equità e di solidarietà, quindi niente affatto estraneo a una manifestazione come questa». A fine marcia tutti soddisfatti. Ci sarà musica per metà pomeriggio e spunteranno ragazzi sui pratoni verdi del Parco Sempione. La Questura non azzarda cifre: forse 700 mila, forse un milione. Ma la vera anomalia ce la racconta un venditore di magliette e bandiere: «Di magliette ne ho ancora un tot, ma le bandiere le ho esaurite». Mai sentito prima: il tricolore che batte il Che.
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