Berisha in Parlamento volevano assassinarmi di Angelo Conti

Intervista dopo la sparatoria in aula Intervista dopo la sparatoria in aula Berisha: in Parlamento volevano assassinarmi Isuoifans in piazza, bomba a Scutari «I socialisti puntano alla dittatura» TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Un tentato omicidio in Parlamento può diventare un test per una giovane democrazia. Capita in Albania dove i cinque colpi di pistola esplosi dal socialista Mazreku contro il democratico Hajdari hanno rischiato di mandare per aria, in poche ore, il sottile equilibrio costruito attraverso mesi di accordi diplomatici, di pressioni internazionali, di presenza militare. L'iniziale sbandamento ha portato a dimostrazioni di piazza a Tirana ed all'esplosione notturna di una bomba a Scutari, contro lo sede del partito socialista. Si avverte da un lato la volontà di circoscrivere l'episodio, dall'altro quello di utilizzarlo come un elemento di denuncia. Lo stesso Sali Berisha, nel suo ufficio al primo piano della sede del Partito Democratico, ieri mattina ha alternato parole di fuoco ad altre più distensive, denunciando però l'esistenza di un complotto. «Mi vogliono morto. Quanto è accaduto giovedì in Parlamento era stato tutto preparato a sangue freddo. Volevano uccidere me, dopo aver ferito Hajdari. Lo hanno capito tutti quando Mazreku è entrato nell'aula con la pistola in mano e si è diretto verso il mio posto. Per caso non c'ero, per caso mi sono salvato». Un complotto? Il governo parla semplicemente di un gesto criminale, inserito nel contesto di un odio personale fra i protagonisti della sparatoria. Come può sostenere questa tesi? «Con le prove. Giovedì mattina c'è stata una improvvisa riunione dei deputati socialisti. Quando è finita, una guardia della sicurezza ha sentito un alto esponente di quel partito (e qui Berisha ne fa nome e cognome, ndr) dire a Mazreku di eseguire il piano che era stato concordato. Un attimo dopo Mazreku sparava contro Hajdari, poi la sua apparizione in aula per cercare me, poi la fuga in strada, con l'appoggio di misteriose persone che attendevano il feritore su una Toyota rossa. Anche la sua apparizione all'agenzia Ata ha una logica: lì avrebbe dovuto incontrare la persona (altro nome e cognome, ndr) in grado di spianargli la strada per fuggire. Non l'ha trovata perché il piano era fallito, perché io ero vivo e perché era decisamente più comodo, a quel punto, sostenere la tesi di una banale faida personale». Colpi di pistola in Parlamento, due giorni dopo una violenta rissa. Perché il confronto politico in Albania diventa così facilmente scontro fisico? «E' un male diffuso nelle giovani democrazie, ma qui a Tirana viene adesso esasperato dal sistema usato dai socialisti per governare. Loro hanno rifiutato due volte di aderire ad un patto di conciliazione nazionale che avrebbe consentito di camminare tutti insieme verso il risanamento del nostro Paese. Hanno preferito percorrere una strada individuale, confidando in una ipotetica pioggia di dollari ed in un nuovo piano Marshall. E cominciando presto a calpestare anche diritti sanciti dalla Costituzione, avviandosi sulla strada di una vera dittatura». La battaglia politica spesso è uscita dal Parlamento. «L'attentato contro la mia persona a Durazzo, quello contro il sindaco di Lushnia, i colpi di mitra contro il giornalista di Rilindja, l'uccisione di quattro democratici a Scutari, le palesi connivenze fra i socialisti e le bande di Valona, con Zani e con i suoi compagni: sono tutti segnali di una strategia politica che fa della violenza e dell'eliminazione fisica degli avversari uno strumento di azione». E l'Italia? Lei l'ha accusata, subito dopo le elezioni, di essere stata troppo dalla parte dei socialisti. La pensa ancora così? «Io sono amico dell'Italia, lo sarò sempre. Ho espresso solo riserve perché il partito socialista non deve essere contemporaneamente appoggiato dalle bande e dal vostro governo. Avrei preferito una maggiore equidistanza, tutto qui. Ma non avere compreso questa scelta, non può ovviamente cambiare quel che provo, dal profondo del cuore, per l'Italia: un Paese che ha il pregio raro di mettere in pratica la solidarietà». Angelo Conti