Fausto seduce gli ex compagni

Fausto seduce gli ex compagni Fausto seduce gli ex compagni Alla Festa dell'Unità: referendum sul Welfare REGGIO EMILIA DAL NOSTRO INVIATO Marco Minniti si toglie il chewingum dalla bocca, Bertinotti si schiarisce la voce, Bruno Vespa imbraccia ii microfono: «Buona sera a tutti». Sembra l'abbrivio di una qualsiasi puntata di dibattito televisivo sul tema caldo del momento. E invece no: qui c'è una platea. E la platea di postcomunisti di Reggio Emilia, una delle capitali italiane del (quasi) pieno impiego, una città piccola, ma con venti sezioni del pds, inneggia. Tutti in piedi, dentro lo spazio convegni all'aperto del festival dell'Unità, e tutti bloccati nei prati attorno ai mogaschernii che rimandano video e sonoro del dibattito: Fausto, Fausto, Fausto, Fausto sei tutti noi. Bertinotti, che poco prima aveva rilasciato alcuni autografi, si commuove come fosse la Callas, non me l'aspettavo, borbotta al microfono. La «standing ovation» tributata al grande artista del palcoscenico della politica italiana non si placa. E Vespa non si lascia scappare l'occasione: «O questo ò il festival di Rifondazione, o le sinistre in Italia non sono due, ma una sola». I post-comunisti di Reggio Emilia non aspettavano altro, e urlano di gioia, come fosse la prova generale per il concerto degli U2. Minniti sorride, un po' in un angolo, sovrastato da un leader che conosce tutte le crome e biscrome per far suonare al meglio il cuore dell'Emilia Rossa. Sorride anche quando, poco prima di salire sul palco, sguscia via per un pertugio lasciato libero dalla folla e dalle telecamere intorno a Fausto il Rosso. Una signora rischia quello che politici e giornalisti rischiano tutti i giorni, una telecamerata in faccia. Si inviperisce, «Tutto questo casino per Bertinotti». Un ragazzo rimbecca: «Se non ci fosse lui, signora, a difendere i nostri diritti...». Il dibattito non è tutto rose e fiori, l'Emilia rubizza ruggisce, si fa sentire, sottolinea quello che viene detto. Qualcuno ricorda a Bertinotti «eri socialista», e lui si inorgoglisce nel ricordo «del partito di Riccardo Lombardi». A domanda di Vespa, Bertinotti definisce il vis-à-vis con D'Alema «un incontro di calore, come dicevano una volta le vecchie signoro di qualcosa di irriferibile». Abbiamo solo «tolto di mezzo i conflitti da fraintendimento». Ma, aggiunge, c'è un problema grande come una casa, la Finanziaria. E giù l'elenco del sudore e del sangue occorsi per arrivare fin qui, la Finanziaria da centomila miliardi, il deficit pubblico dal 7 al 3 per cento. Bertinotti fa il catalogo come se quelle cose le avesse fatte lui. Poi, piano piano, chiede alla platea: «E i vostri bilanci di famiglia come stan- no?». La platea esplode entusiasta. E così anche quando elenca i disastri della disoccupazione, il disastro di un'Europa fatta contro la gente, la scuola che non è migliorata - e qui pausa ad effetto - e anzi «gli italiani sono tartassati dalle spese per l'università mentre il governo parla di finanziamento alla scuola privata», e la lotta all'evasione fiscale che non è mai stata fatta... Gli argomenti che di Rifondazione sono il cavallo di battaglia, noti e stranoti. Ma qui è un deliquio. Di fronte a tanta sapienza nello scaldare giovani, donne, bambini, scolari, operai, pensionati, Minniti ha proposto gli argomenti della ragionevolezza, le pensioni d'anzianità tolgono il lavoro ai giovani, dobbiamo fare le riforme di cui il Paese ha bisogno. Ottenendo tiepidi consensi, perché contro le emozioni, come disse Segni alla vittoria di Berlusconi nel '94, non si può nulla. Minniti si è beccato anche alcuni fischi e un vistoso «scemo, scemo» quando con tono stentoreo ha detto «...e ricordate che i salari sono cresciuti del 3,5 per cento», subito rimbeccato da Bertinotti che sciorinava uno dopo l'ai- tro il dato dei salari «reali, non nominali». E così Minniti ha anche perso la pazienza. Stufo di fare il buonista, ruolo in fondo inevitabile per il padrone di casa, a un certo punto è tornato se stesso: «Parlare con Bertinotti non è facile, perché lui è uno di quei sindacalisti che sanno fare bene le rivendicazioni, ma non chiudono mai un contratto. Invece noi abbiamo bisogno di una sinistra che chiude i contratti, non di chiacchiere». Bertinotti si è corrucciato, suggendosi a lungo una falange. E quando, poco dopo, Minniti ha riperso la pazienza, «In attesa di fare la rivoluzione, Fausto, possiamo fare le riforme...», Bertinotti ha dato un'unghiata: «Poi mi dici se possiamo fare insieme anche la rivoluzione». Ma qui, non di rivoluzione si tratta. A metà dibattito la platea rossa ha chiesto «entrate al governo», e gli unici applausi a scena aperta, calorosi e vistosi, Minniti li ha avuti quando ha elencato, orgoglioso e paziente, i risultati della sinistra al governo, e l'Europa che è alle porte. Perché il popolo post-comunista dell'Emilia rossa è così, vorrebbe giustizia sociale e modernità economica, piena occupazione e risanamento dei conti dello Stato. Esattamente quello che Bertinotti immagina sia perfettamente realizzabile. Antonella Rampino «Sei tutti noi» e Vespa commenta: «0 è il festival di Rifondazione, o le sinistre in Italia non sono due, ma una sola» Minniti: «In attesa della rivoluzione possiamo fare le riforme...» Bertinotti: poi mi dici se possiamo fare insieme anche la rivoluzione Il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti

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