Massacro di turisti al Museo del Cairo di Ibrahim Refat

Bombe e mitra, morti 9 tedeschi e un egiziano. Un arrestato aveva già ucciso un italiano nel '93 Bombe e mitra, morti 9 tedeschi e un egiziano. Un arrestato aveva già ucciso un italiano nel '93 Massacro di turisti al Museo del Cairo «Non ultra ma squilibrati» IL CAIRO NOSTRO SERVIZIO Una nuvola nera si leva dal pullman bianco fermo nel parcheggio davanti al Museo Egizio nella sterminata piazza al-Tahrir. Sono passati pochi minuti da mezzogiorno. Il fumo diventa sempre più denso e a un tratto si odono pure delle detonazioni secche: una, due e tre, poi un crepitio di colpi. I tassisti davanti all'Hilton, gli autisti dei pullman di turisti accendono i motori e fuggono; la gente corre smarrita sui marciapiedi. Così mi accorgo di essere incappato in una sparatoria. Sono ad appena quindici metri dal giardino del museo e con una corsa sono dentro. Dietro un chiosco mi imbatto in una trentina di turisti ed egiziani terrorizzati e rannicchiati per terra. Nessuno fiata. Si sentono solo le urla e le imprecazioni dei poliziotti. C'è chi aggiusta il tiro, mirando tra le inferriate della siepe, contro un pullman bianco parcheggiato vicino a quello in fiamme a due passi dal museo; c'è chi corre col fucile verso il lato estremo del giardino e spara altrove. Un'impiegata egiziana è in preda a una crisi isterica. Da fuori di tanto in tanto giunge una voce per correggere il tiro: «E' lì sotto, nascosto tra i mezzi, sparagli». E i colpi echeggiano, mentre l'ululato delle sirene delle ambulanze si fa sempre più vicino. Khaled Abdel Menem, la guida della comitiva dei 33 sfortunati turisti tedeschi intrappolati sul pullman della Spring Tours divorato dalle fiamme, si dispera. Piange. Ha la camicia lacera e sporca. Mi dice che uno dei terroristi lo ha scaraventato dal pullman dopo averlo colpito col calcio della pistola e poi ha lanciato dentro un ordigno incendiario dopo aver gridato: «Allah akhbar», Dio è grande. La polizia invece precisa che un altro terrorista ha lanciato un.secondo ordigno sotto il pullman. «Erano in due, i terroristi. Con tutta questa gente sopra il pullman adesso cosa faccio?», singhiozza Menern e guarda il mezzo in fiamme. Nel frattempo il rogo ha trasformato il pullman in una carcassa nera fumante. A ben poco servono gli idranti dei pompieri. Adesso dopo che i vigili del fuoco hanno forzato lo sportello anteriore del pullman incenerito, si intravede bene il corpo bruciato di un uomo con la schiena riversa all'indietro e le braccia alzate, rigide. Dalla bocca sgorga ancora sangue. Potrebbe essere l'autista. Una mano pietosa gli copre il membro con un pezzo di carta. Due sedili dietro a sinistra si notano le membra rigide di un altro: sicuramente stava cercando di fuggire attraverso il finestrino. «Eccellenza, ci sono sette corpi davanti e due nel retro», riferirà un ossequioso ufficiale della sicurezza al ministro dell'Interno, generale Hassan Al-Alfi venuto poco dopo per un sopralluogo. Più tardi il bilancio verrà ritoccato: i morti sono dieci (nove tedeschi e un egiziano) e i feriti 19 di cui 4 tedeschi. L'eco delle anni non cessa. Assiepata sul marciapiede a fianco del museo, la folla di curiosi segue la sparatoria e incita gli agenti. Si spara a casaccio su un nemico invisibile. Dai balconi dell'Hilton e dai tetti delle case vicine c'è chi assiste imperturbabile allo spettacolo. Ma il muro umano si disperde per un attimo quando un agente urla che a bordo del pullman a fianco di quello incendiato c'è un ordigno. Finalmente un terrorista viene scovato sotto un pullman, nella piazza. Lo trascinano dentro il museo sotto una gragnuola di pugni e calci. E' giovane, ha circa 25 anni, capelli ricci, grasso, la pelle chiara, suda. Un ufficiale afferma che lui è il pazzo massacratore dei sei turisti dell'Hotel Semiramis, al Cairo, nel '93, fra i quali anche un italiano. Questa infatti è la tesi ufficiale fornita dopo dalla polizia. Fu giudicato infermo di mente e per questo evitò la forca, ma riuscì ad evadere dal manicomio nel quale era rinchiuso (in realtà, ieri correva anche voce che fosse stato semplicemente dimesso). Anche il suo complice viene preso pochi minuti dopo. Risulterà essere fratello del primo. Per portarli via li caricano su un'autoblindo. Un terzo viene acciuffato dopo. Manca il quarto. Si parla di un commando di quattro uomini, infatti, uno dei quali è riuscito a fuggire. Chi li ha armati: la Jamaa Islamiya oppure la Jihad? Loro sostengono: nessuno. «Abbiamo fabbricato le bottiglie molotov in casa e avevamo pianificato un attacco da soli - sosterranno poi i due fratelli, Sader e Mahmud Farahat Abu Eia -. Non siamo minimamente legati né agli integralisti della Jamaa Islamiya né ai Fratelli Musulmani. Abbiamo deciso l'azione per protesta contro il regime». Cosa che ha permesso al ministro degli Interni di dire che «non è stato un atto politico né terroristico, ma un'azione criminale di uno squilibrato mentale scappato dal manicomio». Ibrahim Refat Qui sopra il museo di fronte al quale è avvenuta la strage e a sinistra l'autobus bruciato [FOTO REUTERJ

Persone citate: Hassan Al-alfi, Khaled Abdel Menem, Mahmud Farahat, Sader

Luoghi citati: Cairo, Il Cairo