Architettura anno zero

Architettura anno zero DISCUSSIONE. Basta scatole e cubi, sì all'ecologia e alla gioia creativa: un convegno a Modena disegna le città del Duemila Architettura anno zero Addio incubi di vetro-cemento CMODENA IOME sarà l'architettura del I nuovo millennio? Escluse le doti di preveggenza, tra gli I architetti prevale la riflessione critica sull'ultimo mezzo secolo. Fatte salve singole opere di autori al di sopra della mischia (capolavori ed anche oggetti di controversie ma ineludibili) il giudizio negativo si estende alla produzione ai serie. Quella che sotto diverse etichette di stili, scuole, tendenze, ha lasciato la sua impronta uniforme e pesante sulle città europee, americane, asiatiche, dalla Défense a Singapore: torri di vetro e cemento, scatoloni e cubi, macchine per abitare, paesaggi urbani senza empatia, incapaci di comunicare sensazioni ed emozioni. La critica della modernità di serie introduce l'incontro intemazionale che si apre venerdì a Modena, «Paesaggistica e linguaggio zero dell'architettura». Il titolo può apparire un po' enigmatico, ma provvede a chiarirne il significato il suo ispiratore, Bruno Zevi: archiviati i rigidi canoni del passato, l'architettura deve ritrovare la gioia della libertà creativa. Architetti italiani (con esclusioni o defezioni di alcuni grandi, forse hanno preferito defilarsi! e di dieci altri Paesi discuteranno fino a domenica su due temi di fondo: la fine dei manierismi di ogni tipo, la possibilità dell'avvento di un'architettura portatrice di nuove forme di modernità. Non più ripetizione di formule razionaliste adattate a esigenze commerciali, né arrangiamento di modelli formali derivati dall'insegnamento di Gropius o dal purissimo disegno di Mies van der Rohe (l'esasperata ricerca di semplicità nel motto «less is more»). Ma Zevi corre molto più in là: «Regole, precetti, sono gettati nell'immondizia. No al programma edilizio fissato a priori, alle simmetrie, alle scatole chiuse, alla discontinuità tra edificio, città e paesaggio». L'americano James Wines, fondatore nel 1970 del Gruppo Site (Sculpture in the Environment) è più prudente: «Sono d'accordo con la condanna di megastrutture ecologicamente irresponsabili e oppressive. E' esagerato l'entusiasmo per l'architettura nuova. Molte opere recenti sono ecologicamente oscene». Benché il Site abbia alle spalle edifici bizzarri, James Wines sembra oggi orientato in senso fortemente ecologico: case basse concepite per abitare e non per stupire, paesaggi ricchi di verde. Sogna addirittura «foreste urbane»; «Un solo albero assicura la respirazione sana di tre esseri umani». Wines non cita esempi negativi, non fa nomi. Ma affiora la domanda: l'architettura del Duemila dovrebbe scaturire dalle opere di architetti quanto meno sconcertanti per la loro poetica dell'imperfetto e del casuale? Possiamo immaginare per le nostre città invenzioni brutalmente autonome dal contesto storico e naturale come quelle dei nuovi divi (anche l'architettura antiaccademica ha i suoi divi, vedi gli americani Eisenman e Gehry) che incidono in misura pesante il segno della loro individualità su un bene di tutti? Facciamo uno dei casi più noti, quello del Museo di Bilbao disegnato da Frank 0. Gehry (invitato al convegno, assente perché in lite con Disneyland). Lo stesso autore ammette che fa pensare al film Metropolis di Lang. Con le sue forme da incubo è simile a un complesso di navi spaziali coperto da una gigantesca lamina di titanio. C'è anche chi scatena l'immaginazione in senso tecnologico. Il lettone Gunnar Birkerts propone un' urbanistica sotterranea per la città del Duemila. Reti di mezzi pubblici, officine, centrali elettriche, smalti¬ mento rifiuti, tutto nel sottosuolo. I terreni di superficie, così liberati, diventano di proprietà pubblica (a Stoccolma il 75 per cento appartiene alla città) euminando la speculazione privata e diffondendo le aree verdi. Davvero una proposta controcorrente, nel tempo del predominio del privato e delle leggi del mercato. Gunnar Birkerts se ne rende conto e avverte con palese ironia: «Se non siete d'accordo fatemelo gentilmente sapere». Un convegno provocatorio, non senza rischi. Un architetto studioso e scrittore, l'inglese Peter Blundell Jones, avverte: «C'è il rischio di riprodurre i modelli dell'architettura organica (quella di F.L. Wright, per intenderci) senza averne capito il significato». Altri due rischi: offrire una copertura culturale al tentativo di abolire regole e vincoli per dar via libera a costruzioni selvagge, continuare a discutere del futuro della città e dell'architettura tra architetti senza rimettere l'uomo al centro dei loro discorsi. Mario Fazio Foreste urbane, case più basse, smaltimento dei rifiuti contro il caos dell urbanistica Le provocazioni del lettone Birkerts: mezzi pubblici, officine, centrali elettriche, tutto nel sottosuolo mmmmm Bruno Zevi. A sinistra, l'American Center di Parigi, opera di Frank O. Gehry. A destra, una realizzazione di James Wines nel Galles del Nord

Luoghi citati: Bilbao, Galles, Modena, Parigi, Singapore, Stoccolma