Splendori e paure del Clinton-boom

Splendori e paure del Clinton-boom Le imprese sono diventate flessibili e produttive, ma ci sono segnali che non durerà Splendori e paure del Clinton-boom II segreto: debolezza sindacale e immigrati ELLE grandi nazioni il successo genera, insieme alla soddisfazione e al compiacimento, un irritante sentimento di angoscia. L'America ha paura dei suoi trionfi economici e comincia a interrogarsi sul futuro. Le cifre, per la verità, restano eccellenti. Nel secondo semestre il prodotto nazionale lordo ha smentito le previsioni conseivatrici degli analisti (2,2%) ed è cresciuto del 3,6%, promettando di assestarsi, alla fine dell'anno, sul 2,7 per cento (da noi non supererà di molto l'I percento). Le esportazioni vanno bene. L'indice di fiducia dei consumatori è cresciuto di tre punti: da 126,3 a 129,1. Diminuisce leggermente la domanda deile automobili, ma cresce quella dei frigoriferi. Dimuisce la richiesta di prodotti elettronici, ma cresce quella del macchinario industriale. L'inflazione ha le briglie sul collo e il nuovo contratto della United Parcel Sei-vice, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa, non suscita preoccupazioni inflazionistiche. Il dollaro gode di buona salute e Alan Greenspan, presidente della Federai Reserve, non sembra avere l'intenzione, per il momento, di ritoccare i tassi di sconto. Parafrasando Pangloss, maestro di Candido nell'indimenticabile romanzo di Voltaire, si potrebbe sostenere che l'economia americana «è la migliore delle economie possibili». Qualcuno, tuttavia, ne dubita e comincia a chiedersi quali siano le ragioni dei successi registrati negli scorsi anni. La tesi corrente vuole che siano dovuti a uno straordinario aumento delia produttività individuale, provocato dalla concorrenza internazionale e dall'introduzione di nuove tecnologie. Se l'analisi è giusta, i salari aumenteranno, i prezzi subiranno variazioni fisiologiche, i consumi cresceranno e il valore del denaro resterà sostanzialmente stabile. Ma Stephen S. Roach, capo economista della Morgan Stanley Dean Witter, grande banca d'affari, non è convinto. La vere ragioni dello sviluppo sono, a suo giudizio, nel modo in cui l'industria americana e riuscita a «strozzare» il costo del lavoro. E se egli avesse ragione, naturalmente, le prospettive sarebbero alquanto diverse. Con la disoccupazione intorno al 5% il mercato del lavoro ha perso buona parte della sua vecchia elasticità. Lo sciopero dei Teanisters dimostra che i sindacati ne sono consapevoli e che cercheranno di sfruttare a loro vantaggio i nuovi rapporti di forza. Vi saranno altri scioperi e le aziende, a differenza di quanto è accaduto negli ultimi quindici anni, l'i- ninnino per cedere. Se le cose sono in questi termini, aumenteranno i salari, i costi, i prezzi, il tasso d'inflazione e, prima o dopo, il tasso di sconto. Può darsi che Roach non abbia torto. E' vero, ad esempio, che i sindacati stanno cercando di riconquistare il potere perduto all'inizio degli Anni Ottanta. Ma la tesi secondo cui Reagan e la signora Thatcher avrebbero stroncato le rappresentanze sindacali per favorire il «grande capitale» a danno della «classe lavoratrice» è assurda. Considerata in prospettiva l'era aperta da Ronald Reagan e Margaret Thatcher coincide con uno straordinario processo di trasformazione economica e sociale. La cibernetica ha soppresso alcune decine di vecchi mestieri manuali e ha creato, rimescolando le carte, nuove professioni. Grazie al vertiginoso aumento della produttività individuale e all'apertura dei mercati mondiali, sono nate nuove aziende, pronte a soddisfare bisogni di cui nessuno, vent'anni fa, avrebbe immaginato l'esistenza. Le vecchie imprese, dal canto loro, sono state sollecitate a inventarsi nuove ragioni sociali. Una banca, per esempio, non è più soltanto uno sportello a cui ci si rivolge per aprire un conto corrente o chiedere un prestito. Se il suo business è il «credito», perche non dovrebbe vendere automobili, frigoriferi, prodotti assicurativi? 1 migliori si accorgono che vi sono nuovi mercati e che occorrono, per conquistarli, nuove dimensioni. 1 piccoli finiscono prima o dopo nelle braccia dei grandi. Il copione più recitato sul grande teatro finanziario degli Stati Uniti s'intitola «Mergers and acquisitions», fusioni e acquisti. Un amico americano mi spiega che cosa accadrà, fra qualche settimana, in una banca che è stata appena comprata da un partner maggiore. Il primo passo consisterà nella sostituzione dei programmi informa¬ tici con un nuovo programma centralizzato. Privati del proprio software i dipendenti della vecchia banca saranno ciechi e muti. Qualcuno resterà, qualcuno andrà in pensione, molti cambieranno lavoro. Alla fine dell'operazione la nuova banca sarà più efficiente, più produttiva, meno costosa delle due ban¬ che precedenti. I suoi servizi ai clienti saranno prevalentemente informatici e telefonici, lo schermo del computer prenderà il posto dello sportello. Per favorire la tendenza verso le grandi concentrazioni l'America è disposta a chiudere un occhio e a permettere la violazione delle vecchie norme antitrust. E' accaduto qualche mese fa nel campo delle telecomunicazioni. E' accaduto più recentemente in quello delle costruzioni aeronautiche. La fusione Ira Roeing e McDonnell Douglas ha creato un gigante quasi monopolista e ha suscitato negli scorsi giorni una tagliente denuncia di Ralph Nader, grande avvocato dei consumatori americani. Nader ha ragione, ma gli Stati Uniti, pragmaticamente, ritengono che la conquista dei mercati mondiali meriti qualche eccezione. Ricominceranno a parlare di antitrust quando avranno tagliato le gambe ai concorrenti internazionali della nuova Boeing. Ma tutto questo può accadere soltanto perché il mercato del lavoro americano è stato negli ultimi anni, grazie a Reagan, docile e flessibile. E' difficile rivoluzionare il mondo delle professioni, ridimensionare, fondere e razionalizzare se tutti cercano di restare incollati alla propria scrivania. I due fattori che hanno maggiormente contributo a questa straordinaria modernizzazione americana sono la debolezza dei sindacati e l'immigrazione. I novecentomila stranieri che entrano ogni anno negli Stati Uniti - molti legalmente, parecchi clandestinamente sono un grande polmone a cui le industrie e i servizi possono ricorrere per i lavori più pesanti e meno remunerati. Grazie alla debolezza dei sindacati e all'immigrazione le imprese sono diventate fisarmoniche, capaci di espandersi e di restringersi a seconda delle circostanze. Le pa role magiche sono «outsour cing» (trasferimento di attività a imprese esterne), «downsizing» (riduzione del personale), «parttime» (lavoro a tempo parziale). Ogniqualvolta un'impresa annuncia di volere ricorrere a queste formule le sue azioni, in Borsa, fanno un balzo in su. Resta un altro fattore di rigidità: una norma, cara al partito democratico, adottata per garantire un certo equilibrio razziale nelle istituzioni pubbliche e nelle aziende che lavorano sulla base di commesse statali. Si chiama «affirmative action» ed è obiettivamente discriminatoria perché in molte circostanze offre una possibilità di lavoro al rappresentante di una minoranza di colore anche quando è meno qualificato del collega bianco. Il caso più clamoroso è quello che si è discusso nelle scorse settimane di fronte alla Corte Suprema. Vi erano in una scuola del New Jersey due insegnanti, una bianca e l'altra nera. Quando si vide costretto a ridurre il personale insegnante, il consiglio scolastico decise, in omaggio ai principi dell'affirmative action, di licenziare la bianca. Ne nacque un contenzioso giudiziario che si e trascinato per otto anni e che ha fortemente contribuito a rimettere in discussione il valore di una norma così evidentemente contraria alle leggi della meritocrazia e del mercato. L'importante, ovviamente, è che i conti, alla fine, tornino. Se il numero delle nuove imprese supera quello delle imprese fallite, se i nuovi mestieri compensano la soppressione dei vecchi, se l'occupazione cresce, se gli «esuberi» trovano nuovo lavoro, se ì figli degli immigrati vivono meglio dei loro genitori, tutto, come direbbe Pangloss, «va per il meglio nel migliore dei mondi possibili». Così è accaduto finora e così, verosimilmente, potrebbe continuare ad accadere. Ma l'aumento dell'occupazione, come si è visto nel caso della United Parcel Service, ha modificato i rapporti di forza tra l'azienda e i suoi dipendenti. In un mercato del lavoro meno elastico i sindacati saranno più forti e riusciranno probabilmente ad attenuare il rigore liberista che ha caratterizzato in questi anni la società degli Stati Uniti. Così funziona il pendolo americano. Ma prima di rallegrarsene i socialisti europei faranno bene a osservare che il pendolo torna a sinistra soltanto quando l'economia degli Stati Uniti ha già tratto il massimo beneficio dallo spregiudicato liberismo degli Anni Ottanta e Novanta. Grazie a ciò che è accaduto in questi quindici anni l'America può sostenere, meglio dell'Europa, le sfide dell'economia mondiale. Sergio Romano Le organizzazioni dei lavoratori stanno rilanciando strategie di lotta Novecentomila stranieri l'anno sono una riserva per lavori pesanti e meno remunerati, mentre si chiude un occhio sulle concentrazioni che violano le leggi antitrust Le norme contro la discriminazione sono un altro fattore di rigidità Un immigrato al lavoro Sotto, il presidente della Federai Reserve Alan Greenspan a sinistra e l'ex capo della Casa Bianca Ronald Reagan a destra

Luoghi citati: America, Europa, New Jersey, Stati Uniti