Gorizia la piazza contro la Lega

Il presidente della Repubblica aveva appena finito di parlare. E' la prima contestazione anti-Carroccio Il presidente della Repubblica aveva appena finito di parlare. E' la prima contestazione anti-Carroccio Gorizia, la piazza contro la Lega La gente difende il tricolore e scaccia i «padani» GORIZIA DAL NOSTRO INVIATO Gli insulti ritmano gli scatti della furia: «Leghisti buffoni», «Leghisti all'ergastolo». E, poi, culminano nell'ingiuria più sanguinosa in una terra che ha vissuto una tragedia ancora viva: «Bossi bandito, bastardo come Tito». Si grida e si piange e si maledice e si canta l'Inno di Mameli: tutto con lo stesso fuoco che divampa dall'amara rabbia di vecchi profughi costretti a vivere come esuli in patria. E prende vigore da una «italianità» che, qui, le pagine della storia hanno impastato con termini come «martirio» e «redenzione». Così, nella giornata in cui Gorizia celebra il 50° anniversario del suo ricongiungimento con l'Italia, il Carroccio è costretto a subire la sua prima contestazione di massa. Di più: la gente che assiste alla cerimonia si lancia, a «rito» terminato, contro gli uomini del senatùr cercando di passare dalle grida ai fatti. Molti anziani, parecchie donne, a rinforzo alcuni simpatizzanti di Fiamma Tricolore guidati dal consigliere comunale Cosma. Ed è subito il caos: agenti che si schierano in triplice fila per separare i gruppi antagonisti, tensione al calor bianco, sbandamenti a causa di un poliziotto che perde, per qualche attimo, il controllo del suo cavallo imbizzarrito dal gran accorrere di manifestanti: l'animale si impenna e scarta e si impenna di nuovo rischiando di travolgere chi contesta e chi osserva. Detonatore di questo scontro, che è probabilmente la prima vera, pubblica sconfessione delle camicie verdi, la volontà da parte di una ventina di leghisti di infrangere un tabù sinora mai violato: fischiare sulle note dell'Inno nazionale che, con l'arrivo di Scalfaro nel Parco della Rimembranza di Gorizia, aprono la festa tricolo- re. Un diluvio di sibili che, con qualche pomposità, un uomo del senatùr definisce «il primo atto ufficiale della Repubblica padana»: evidentemente l'invito, elargito domenica da Umberto Bossi a sistemare «la bandiera italiana nel cesso», era solo un suggerimento informale. , Impassibile, il Presidente, appena giunto, attraversa tra le note e i fischi il viale su cui incombe l'angoscioso monumento ai Caduti con le sue colonne spezzate e scomposte. Discorsi di commemorazione, briglia sciolta ai ricordi di chi ha vissuto gli anni della disperazione e della paura. Ci si attende che il Capo dello Stato, prendendo la parola, afferri questa profusione di italianità per coniugarla al presente. Dieci giorni fa, a Novara, aveva quasi sollecitato l'intervento della magistratura contro gli ukase della Lega raccogliendo anche non poche critiche, comprese quelle di Fini che lo esortava a non prendere troppo sul serio Bossi e i suoi. Oggi, nel capoluogo isontino, il presidente sembra scegliere la via dell'irrisione nella condanna di certi atteggiamenti del Carroccio. Ed eccolo, allora, stigmatizzare l'ignoranza di chi si appropria di certi miti senza conoscerne il significato o distorcendolo a proposito. Nel mirino quel «Va' pensiero» che la Lega ha eletto a inno della sua Padania secessionista: «Solo la non cultura può portare a ritenere che questo possa essere un canto di divisione e non, piuttosto, il canto verdiano dell'aspi¬ razione all'unità della patria sì bella e perduta». Scalfaro, certo, non dimentica però il «Va' pensiero» intonato domenica scorsa a Trieste dai parlamentari di An e Forza Italia che ha fatto da velenosa colonna sonora alla contestazione dei profughi istriani nei confronti del ministro Maccanico. E, allora, ecco il richiamo «a fare attenzione a non servirsi del patriottismo pei oscurare i problemi di oggi. Il patriottismo vorrei non usarlo, ina ricordare quello vero, legato a quanti "'hanno pagato veramente». In questo giorno in cui si ricordano le vicende di ieri, la Storia rimanda anche all'attualità dei nostri giorni. E Scalfaro la annoda a quel bisogno di verità che ogni evento ed ogni episodio portano con sé: ((Alterare la storia è un gioco da bambini. Ma dire bambini non basta: bambini insipienti, insipidi. Persone alle quali, nella parte alta del corpo, manca il sale». Una frase sibillina, un'enigma che un'altra considerazione, poco dopo, forse disvela rimandando ancora una volta ad Umberto Bossi e a certe sue disinvolte interpretazioni storiche: «Chi non rispetta la verità, condanna se stesso. A volte assume posizioni che, in un primo momento, sono truculente, poi soltanto vuote». Un richiamo al quale sembra far eco, poco dopo, anche il presidente della Camera Violante che, da Roma, auspica la costruzione «di un sentimento condiviso d'unità nazionale, di appartenenza comune alla storia, all'identità, alla cultura del nostro Paese». Renato Rizzo LA PROTESTA Qi di lhiti ift t LA PROTESTA. Qui sopra, un gruppo di leghisti manifesta contro la visita del presidente Scnlfaro. E per la prima volta il Carroccio viene contestato in piazza: la gente si lancia contro gli uomini del Senatùr cercando di passare dalle grida ai fatti. Molti anziani, parecchie donne, a rinforzo alcuni simpatizzanti della Fiamma tricolore guidati dal consigliere comunale Cosma. Gli insulti ritmano gli scarti della furia: «Leghisti buffoni», «Leghisti all'ergastolo», «Bossi bandito, bastardo come Tito». Si grida e si piange e si maledice e si canta l'Inno di Mameli. Ed è caos. IL SALUTO. A destra, il Presidente della Repubblica saluta i profughi dell'Istria ed esalta il «Va' pensiero»: «Solo la non cultura può portare a ritenere che questo possa essere un canto di divisione e non, piuttosto, il canto verdiano dell'aspirazione all'unità della patria sì bella e perduta». Solo l'intervento della polizia salva i seguaci di Bossi

Luoghi citati: Bossi, Gorizia, Istria, Italia, Novara, Roma, Trieste