Addio a un mito della cucina italiana
Addio a un mito della cucina italiana E' morto Guido Alciati, a Costigliole il suo ristorante è un tempio della gastronomia Addio a un mito della cucina italiana NON l'avevo fatto apposta, ma ero riuscito a fargli mettere la giacca. Fino ad allora non c'era stato verso. Girava nella sala raffinata del suo celebre ristorante con un maglione blu, elegante, di grande firma, ma sempre un golf. Lo avevo amabilmente criticato in un mio articolo. Mi aveva detto, qualche giorno dopo: «Lo sa che mi è costata mezzo milione?». Guido lo diceva sorridente, scherzando e, intanto, mi faceva vedere quanto gli stesse bene, sui fianchi, il panno scuro. Era stata l'ultima volta che avevo visto sorridere Guido Alciati, classe 1931, sessantasei anni il 18 agosto passato, simbolo gastronomico del Piemonte e dell'Italia intera. Ieri sera, all'ospedale di Asti, il cuore, quel cuore ballerino che l'angosciava da undici anni, ha cessato per sempre di battere. Non era uno del mestiere; non aveva tradizioni famigliari. Guido Alciati faceva il rappresentante della Galbani quando conobbe la moglie, Lidia. Lei mandava avanti il bar dei genitori. Trent'anni fa l'a¬ pertura, nella piazza centrale di Costigliole, anonima, quadrata, brutta e gelida, accanto alle mura secolari ed affascinanti del castello: un locale senza pretese, un posto di cucina semplice. In pochi anni la svolta: Guido andava alla ricerca del meglio della produzione vinicola italiana, i tartufi più belli e profumati erano per il suo ristorante, la cantina diventava un immenso gioiello. Faceva follie Guido: anche 50 chilometri al giorno solo per andare a procurarsi i grissini nell'ultimo, grande forno a legna sperduto nelle Langhe o in Monferrato. Il figlio Ugo, bambino prodigio che puliva le fragole accanto alla mamma, diventava grande e l'affiancava ai fornelli; il figlio maggiore, Piero, e il più piccino, Andrea, aiutavano il papà in sala. Era la grande cucina dell'Italia del Nord fatta di funghi, tartufi, burro, Barolo e Barbaresco, Una cucina grande in primavera ed estate e somma con le nebbie e con le nevi. Ai tavoli arrivavano piatti dove la tradizione più vera e sincera si univa, qua e là, a qualche tocco di fantasia: le frittelle di riso allo zafferano si affiancavano nell'apertura al paté di fegati misti o al fiore di zucchina farcito, il meraviglioso peperone ripieno si accostava al vitello tonnato solare e straordinario nella sua semplicità. Gli agnolotti al sugo di stinco erano, nel loro piccolo involucro, un assaggio di stupefacente equilibrio e poi le tagliatelle ai funghi porcini, il brasato al vino rosso, il capretto che andava a prendere a Roccaverano e che Livia faceva e fa al forno. Bisognava venire da lui per mangiare il più straordinario dei gorgonzola. Trent'anni di lavoro e vent'anni ai vertici della gastronomia italiana: la Michelin gli assegnava le due stelle (e gliele riconfermava ininterrottamente per due decenni), la guida dell'Espresso esordiva nel 1979 con il massimo di allora: 17/20. Poi, undici anni fa, la prima operazione al cuore a Montecarlo e, tre anni fa, un secondo intervento. Poi le sue apparizioni in sala sono diventate sempre più rare. (Edoardo Raspolli
Persone citate: Edoardo Raspolli, Galbani, Guido Alciati
Luoghi citati: Italia, Montecarlo, Piemonte, Roccaverano
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