« Luci rosse dietro le sbarre »

E' accusata di falso e atti osceni con alcuni detenuti. Ma la donna nega: è una vendetta E' accusata di falso e atti osceni con alcuni detenuti. Ma la donna nega: è una vendetta « Luci rosse dietro le sbarre » Imperia: manette alla direttrice del carcere IMPERIA DAL. NÒSTRO INVIATO" Scena di ordinaria giustizia, da un carcero della Repubblica. Una volante che viene a prendere la direttrice nel cortile del carcere: semplicemente, por portarla in carcere. A volte, si perde il senso delle coso a far corti mestieri, e si può perdere il senso del dolore e della pena, e di direttori finiti nei guai ce ne sono tanti nella storia giudiziaria del nostro Belpaese. Onesta volta, però, dev'essere un po' diverso. Flavia Pignanelli, «dirigente degli istituti di pena», ha gli occhi rotondi come il suo volto, uno sguardo intimidito da una dolcezza quasi rinascimentale dei lineamenti, quell'aria un po' da suonila, anche adesso, che se la vengono a prendere come un detenuto qualsiasi con il suo abitino bianco e blu, i capelli castani sulle spalle, sotto i flash dei fotografi e le occhiate incredule dei reclusi affacciati allo finestre. L'hanno arrestata al suo posto di lavoro, nel carcere di Imperia che lei dirige, e l'accusano di un po' di roba: calunnia, abuso d'ufficio, falso ideologico e atti osceni, pure, porche qualcuno si sarebbe messo a raccontare che lei s'intratteneva con un detenuto «nelle cucine e nello lavanderie», e scambiando | baci tra le sbarre e chissà dove, in quale angolo o in quale stanza della prigione. Lei nega tutto, ma questi torse non sono tempi, a volte non serve; lei nega tutto, «sdegnata affranta e disperata», comela racconta con distacco burocratico il suo avvocato, Mario Leone, come so anche i sentimenti e le emozioni fossero diventati articoli e comma di legge, materia di codice e non dell'animo. Sul far della sera, poi, alla direttrice del carcere arrestata in carcere con tanto di show dei fotografi, hanno con- cesso gli arresti domiciliari, in premio al suo figlio di tre anni. Non per lei. Per lei, come contrappasso della vita, l'inchiesta riserva solo quell'aridità e quella durezza che la signora Flavia aveva cercato di attenuare nelle pene degli altri. La chiamavano «la direttrice del volto umano», e i testimoni la descrivevano «una donnetta semplice, talmente semplice», «cosi buona da sembrare ingenua». E se dalle facce giudichiamo le persone, diciamo che Flavia Pignanelli avrebbe dovuto fare l'assistente sociale, e non la direttrice di un carcere. Se questa poi al giorno d'oggi è una colpa, non sappiamo. Magari, anche a sbagliar mestiere si finisci! male. Ma alla signora Flavia, 45 anni un po' dimossi e anche un po' sciatti, da Travo, provincia di Piacenza, nessuno glielo potrebbe dire mai: dev'essere convinta di non aver sbagliato e neppure di averlo fatto male. Il carcere di Imperia, in ogni caso, avvertono gli addetti ai lavori, «non dà problemi». Quindi funziona. Quindi lei lavora bone. Un po' di tempo fa disse soltanto che tutto quello che lo era successo l'aveva cambiata nel carattere: «Ero una piena di cuore. Mi hanno dimostrato che la cattiveria vince». E quando la processarono una prima volta (perché già una volta era finita nelle grane, senza essere arrostata) si presentò in aula con un grande mazzo di rose rosse: «Meno male che c'è qualcuno che mi vuole bene». Qualcuno lo troviamo tutti. Non è mica questo il problema. Il suo problema sta nella sua storia. Di lei un tempo parlavano i giornali per portarla come esempio, porche portava al cinema i detenuti, credeva noi loro recupero, vedeva il carcero «non come un sistema oppressivo, ma rieducativo» (dal Corriere della Sera). Viveva il suo lavoro «come una missione» (dal Giornale). Permise ai suoi detenuti di fare una rivista, Oltre il muro, che raccontava le loro storie un po' incredibili, come quella del pastore sardo che chiedeva di essere lasciato ad accudire il suo gregge, se no se lo mangiavano i lupi. Ebbe la grazia. Poi, por la signora Pignanelli cominciarono i guai. Venne messa sotto inchiesta a Cremona, accusata di aver fatto regali ai detenuti, televisioni a colori, champagne, di aver permesso a uomini e donne di stare insieme durante la messa, e altre cose ancora. Fu assolta. Ma tlovette trasferirsi «por incompatibilità ambientale». Arrivò a Imperia nel '92. Nuovo scandalo nel '94. In un rapporto della polizia penitenziaria alla direzione degli Istituti di pena si raccontava elio ora stato visto un detenuto uscire dal suo appartamento privato nel carcere. Quell'anno nacque suo figlio e dissero che era il figlio di un detenuto, come so questa fosso una colpa, o come se una donna non potesse scegliersi per suo figlio il padre che vuole. Lei negò. Quel figlio è senza padre. Poi, un'altra inchiesta su Flavia Pignanelli è stata riaperta nel '96. E' stata sospesa sei mesi, e aveva ripreso a lavorare da appena cinque giorni. In questa ultima indagine lei viene accusata di aver avuto rapporti con un recluso, «nelle lavanderie e nelle cucine del carcere»; «di aver indotto alcuni detenuti a fare regali a suo figlio», e di aver insognato ad altri come intercettare con una radio le telefonate del comandante del carcere. E infine di aver calunniato alcuni agenti di custodia. Ieri quando il procuratore capo d'Imperia, Luigi Carli, le muoveva le accuse, lei si sbracciava, scuoteva la testa, si agitava come se cercasse l'aria: «ma li avete sentiti bene?, ma siete sicuri, ma chi avete ascoltato?». Dicono che ce ne sono tanti, di detenuti, che l'accusano. E per la legge i numeri contano. Non importa sempre che numeri siano. Dicono, alcuni degli inquirenti, che c'è anche un pentito, Donato Pighetti. Forse gliel- 'hanno detto anche a lei, che si faceva sempre più sconvolta e sempre più atterrita: «Ma non vi rendete conto che io ho a che fare per il mio lavoro con gente che può non pensarci due volte a dire cose false su di me, che a loro può non costar niente, ve ne rendete conto?». Le hanno detto degli atti osceni: «Non esiste, proprio non esiste. E' impossibile», avrebbe ribattuto lei. Racconta l'avvocato Leone che l'accusa di calunnia deriverebbe dal fatto che in un ricorso presentato al Tar per una precedente denuncia, lei avrebbe accusato alcune guardie carcerarie di aver detto il falso nei suoi confronti. Se fosse vere (ma stentiamo a crederlo), un imputato non avrebbe più diritto a difendersi da chi l'accusa? Era sconvolta, la poverina, dice l'avvocato. E perché l'arrestano? Perché ha ripreso a lavorare e può inquinare le prove, visto il suo ruolo. E' un po' kafkiana come spiegazione, ma ci si può credere. Allora, lei dice: «Vuol dire che se io rientravo a Chiavari, anziché a Imperia, lei non mi faceva arrestare?». E il magistrato le avrebbe fatto capire di sì. «E non poteva dirmi di chiedere il trasferimento?». Così, la direttrice del carcere è finita in carcere. Sono le 11 del mattino, a Imperia tira il vento e il sole abbaglia. Arriva una volante, si ferma nel cortile, le portiere spalancate, gli agenti con le divise sudate e le pistole nelle fondine bianche, il codazzo di fotografi in agguato. E' tutto ordinarissimo, preciso, come in un'istantanea ricostruita. Il suo ufficio, ricordano quelli che l'hanno visto, sembra la camera di una mamma che ha mille cose da fare, con le carte che cadono dal tavolo, qualcosa che svolazza alla finestra e un canarino che canta nella gabbia. Oggi era il compleanno di suo figlio. Ma forse se l'è inventato un giornalista. L'avvocato non lo sapeva. Pierangelo Sapegno Concessi gli arresti domiciliari: così potrà accudire il figlio STORIE DI CARCERI ALLEGRE Alfredo Granito direttore del carcere di Forlì, una sera di maggio del 1985, tirò tardi insieme a tre detenute in un «piano bar». L'uomo rispose alle accuse, sostenendo di aver agito a scopo «rieducativo, secondo lo spirito della riforma carceraria» e la Cassazione gli diede ragione. Carcere «a luci rosse» a Brindisi nella cui sezione femminile, nel gennaio del 1996, gli inquirenti scoprono amori saffici, droga party, e «incontri» con i detenuti della sezione maschile. A finire rinviata a giudizio è la direttrice, Caterina Cirasino. Di amore in carcere si parlò anche, nel '96, per Renato Vallanzasca. Il suo legale, Simonetta Pinna fu sospettata di averlo aiutato ad organizzare un tentativo di fuga dal carcere di Badu 'E Carros. Nella cella del bel René fu trovata una lettera d'amore forse della Pinna. ìiMMmmmm Il ministro della Giustizia Flick A destra Flavia Verardi Pignanelli, direttrice del carcere di Imperia mentre viene portata in cella