Bertinotti custode della città proibita di Filippo Ceccarelli

=1 F PARADOSSI =1 Bertinotti custode della Città Proibita EROMA adesso sarebbe il colmo se il congresso del partito comunista cinese, o Jiang Zemin in persona, o magari tutti e due, a nome del miliardo e 200 milioni di cinesi, rispondessero prontamente a Fausto Bertinotti che ieri, dopo il pranzo, ha inteso esprimere la sua «forte preoccupazione» per la svolta liberista impressa laggiù. Insomma, sarebbe davvero il colmo che uno dei grandi leader planetari, per giunta alle prese con un passaggio drammatico ed epocale, trovasse il tempo per prendere sul serio le inquietudini ideologiche del segretario italiano di Rifondazione circa le sorti del comunismo. 11 quale segretario italiano, comunque, ci pensa da solo a prendersi sul serio, anzi sul serissimo, affidando alle agenzie questo scarno commento: «Indubbiamente dalla Cina viene oggi per noi un elemento di forte preoccupazione. Io penso che ci siano ora in quel Paese due termini tra loro incompatibili: licenziamenti e comunismo. Le due cose - ha concluso Bertinotti - non stanno insieme». Dal che, magari un po' rozzamente, si sarebbe portati a ritenere che prima della svolta liberista, per il leader di Re, il comunismo cinese fosse un modello di felicità, armonia, equità e buongoverno come del resto sanno bene i tibetani occupati, altre popolazioni deportate, gli intellettuali perseguitati o ;;li studenti ridotti in polpettine dai carriarmati. Altro che licenziamenti. Ma non è questo dei rischi di contaminazione del comunismo cinese l'aspetto più prezioso della chiosa bertinottiana. Anche se sarebbe non tanto sbagliato, ma soprattutto vano pretendere che gli uomini politici si occupino di questioni esclusivamente alla loro portata, ol¬ tre alla più evidente sproporziono, per giunta col rinforzo di un certo tono didattico, del nuovissimo custode dell'ortodossia comunista cinese colpisce senz'altro la sicurezza semplificatoria: senza la quale - è l'impressione - la sparata non riuscirebbe a penetrare i meccanismi dei media. Cosi, anche senza volerlo, si ritorna al punto di partenza: se, come e quando prendere sul serio un politico moderno come il segretario di Re che per esistere, conquistare audience e accontentare la sua nicchia di mercato deve per forza prendersi sul serio. E che forte di questa sua indispensabile autoconsapevolezza [Bertinotti preso sul se rio s'intitola un recente et! illuminante saggio di Edmondo Berselli sul Mulino), ha bisogno di ampliare a dismisura il suo ruolo, anche dicendo e facendo sempre nuove cose, meglio se bizzarre, smodate, eccessive. Per questo scopo - che è io stesso per tutti i politici, ma che Bertinotti esercita con indubbia fantasia - la politica estera si presta a perfezione. L'uscita cinese, d'altra parte, si colloca in ideale continuità con l'appropriazione semielettoralistica del Papa, l'invito a bruciare le cravatte di Hermes contro gli esperimenti nucleari francesi, il turismo nel Chiapas zapatista (con smagatissimo richiamo alla lotta armata e opportuno video), il no a Maastricht e alla Nato, l'abbraccio con Fidei, il Carnei Trophy adolescenzial americano («In Arizona ho seguito le orme di Tex Willer»), l'ormai scontata visita alla City di Londra (meno scontata la Jaguar blu da cui è sceso)... Quasi condannato, Bertinotti, a rifarsi il verso, a recitare la sua parte di estremista-fantasista senza rete e senza ironia. Filippo Ceccarelli

Persone citate: Bertinotti, Edmondo Berselli, Fausto Bertinotti, Jiang Zemin, Tex Willer

Luoghi citati: Arizona, Cina, Città Proibita, Londra