I due leader lanciano l'allarme rosso

Voci vere o false veicoli di ricatti e di minacce «Sembra di essere ritornati nel 1993» I due leader lanciano l'allarme rosso E ammettono: la situazione può sfuggirci di mano LA REAZIONE DEI POLITICI SROMA PIEGAVA ieri Massimo D'Alema ai suoi collaboratori sull'aereo che lo riportava da Bari a Roma: «Dobbiamo stare attenti, valutare bene ogni cosa. Se il Parlamento rimanderà a Milano la richiesta d'arresto di Cesare Previti, e questa ci ritornasse con la firma di un Gip autorevoli;, noi saremo ancor più in imbarazzo. Infatti, non sarebbe più la procura a chiedercelo ma un giudice terzo, non è il giudice dell'accusa, non è il pool... Sono preoccupato». Si sfogava, invece, a settecento chilomentri di distanza, un Silvio Berlusconi nero, chiuso con i suoi collaboratori nella villa di Arcore: «lo continuo a dare, ad avere pazienza, a essere aperto sulla riforma del Welfare come sulla Bicamerale e, invece, mi vedo ritratto come un mafioso dai pentiti, perseguitato dalle procure e da chi, invece, sarà contento solo quando mi vedrà in manette...». Si tormentano, si sfogano quei due che vorrebbero tutto meno che rompere. Ma timore dopo timore, calcolo dopo calcolo, sfogo dopo sfogo, sembrano in balia degli eventi, di un qualcosa che credono di padroneggiare e che invece non controllano fino in fondo. Ancora due colpi alla roulette russa, ancora un altro turno di gioco rischioso. Giuliano Ferrara dopo una telefonata con Silvio Berlusconi scende in campo per contendere il collegio del Mugello ad Antonio Di Pietro ed e subito scontro all'arma bianca: l'exdirettore di Panorama, già solo per come ha annunciato la sua decisione, si becca una querela dall'ex-magistrato (rimane da vedere se Di Pietro la presenterà davvero). A Reggio Emilia, invece, il capogruppo dei deputati pidiessini Fabio Mussi dichiara davanti alla folla della Festa dell'Unità che se il gip confermerà la richiesta di autorizzazione all'arresto per Cesare Previti lui «personalmente» voterà a favore. Inutile dire che su entrambi i fronti, nelle dichiarazioni del «dopo», i due fatti vengono circoscritti. Silvio Berlusconi, almeno ufficialmente, fa sapere al Bottegone che «il vero unico bersaglio e Di Pietro» e che per il Polo quella di Ferrara è stata quasi «una scelta obbligata», un modo per garantire un candidato unitario e di peso. Dall'altra parte si tenta di ridimensionare subito la sortita di Mussi: è solamente un dazio pagato alla base del partito che non è immune dalgiustizialismo; una sparata oggi per equilibrare domani il «no» all'arresto di Previti da parte di almeno due terzi del gruppo pidiessino (questi sono i numeri con cui lo stato maggiore della Quercia correda l'intenzione di lasciare ai suoi parlamentari la libertà di voto). Ma questo è un fatto - dell'uscita a Reggio Emilia del suo capogruppo D'Alema è venuto a conoscenza ieri solo a cose fatte, mentre scendeva le scalette dell'aereo che lo riportava a Roma da Bari. E, manco a dirlo, l'ha commentata in negativo con un aggettivo irripetibile. Anche perché un'ora prima aveva detto in pubblico che il «caso Previti» era «una questione minore». Con una sparata oggi e un'altra domani, con la complicità di un «infortunio» o di una «dichiarazione sopra le righe», complice la presunzione di molti politici no- strani che pensano di calcolare anche l'imponderabile, l'escalation continua, il clima si arroventa. C'è la netta sensazione che tutti stiano giocando con il fuoco e che il pallino da poco tornato nelle mani della politica in realtà è di nuovo passato nelle mani di altri. Forse è solo un'impressione, ma è comune a tanti. «Sembra di essere tornati nel '93» è il paragone a cui si lascia andare senza nascondere la delusione il commissario di Forza Italia in Bicamerale, Marcello Pera. L'aria è proprio quella: la giustizia, o meglio i fatti giudiziari, tornano dopo tanto ad essere oggetto di polemica politica e, come un tempo, il tam-tam delle procure torna a farsi sentire nel palazzo. Il Transatlantico, in cui la notizia della richiesta di arresto di Cesare Pre¬ viti circolava due giorni prima della notifica, continua ad essere investito da tante voci. Si dice che stia arrivando da Milano un'altra bordata a Berlusconi sul filone delle inchieste riguardanti Previti. Si blatera di nuove deposizioni nell'inchiesta di Perugia sulla tangentopoli romana che potrebbe lambire qualche ministro pidiessino. Si parla di nuovi pentiti che chiamerebbero in causa Marcello Dell'Utri e lo stesso Berlusconi a Palermo. Si prevede, sempre dalla Sicilia, un altro polverone che potrebbe investire, tra i tanti, anche le «coop». Voci vere o voci false, veicoli di ricatti e di minacce. Insomma, piano piano si torna a respirare l'atmosfera di un tempo. «E' nelle cose», spiegano da settimane personaggi schierati in prima fi¬ la nella battaglia per il «garantismo» come Marco Boato. Addirittura, all'inizio del'estate, «un autunno rovente sul fronte della giustizia» era stato preannunciato da Romano Prodi al segretario del ecd, Pierferdinando Casini. L'approvazione delle modifiche al «513», l'ipotesi di rivedere la legislazione sui pentiti, le critiche delle procure ai provvedimenti legislativi sulla giustizia e al Parlamento, tutto ma proprio tutto quello che è accaduto negli ultimi due mesi, preannunciava solo l'ultimo scontro. Anche la scelta del «caso Previti» come terreno di battaglia - sia frutto di calcolo o no - sembra fatta apposta per mettere nell'angolo la politica. «Rispetto alle accuse che sono rivolte a lui diceva nei giorni scorsi un personaggio come l'ex-deputato so¬ cialista Giusy La Ganga - noi della prima Repubblica siamo degli angioletti». Cosa potevano fare D'Alema e Berlusconi, Fini e Marini per evitare un ritorno indietro? Probabilmente «sterilizzare» ogni conseguenza delle inchieste sulla politica, dividere i due piani: quello politico da quello giudiziario. Garantire le inchieste e verificare se Previti davvero avesse intenzione di fuggire o di inquinare le prove (questi sono i motivi plausibili per un arresto). Evitare, però, in ogni caso di far diventare l'inchiesta elemento di polemica politica. Cosa che i Poli sono riusciti a fare per qualche giorno. Poi, però, è arrivata l'intervista di Borrelli, forse qualcos'altro, e il patto ha cominciato a vacillare. «Avranno pure criticato Borrelli - si dispera Pera - ma hanno mangiato lo stesso il suo boccone avvelenato». Augusto Minzolini Voci vere o false veicoli di ricatti e di minacce «Sembra di essere ritornati nel 1993» L'escalation continua, il clima si arroventa. C'è la netta sensazione che tutti stiano giocando col fuoco Fabio Mussi