La cultura digitale tra apocalittici e integrati di Piero Bianucci

La cultura digitale tra apocalittici e integrati La cultura digitale tra apocalittici e integrati di più il posto a ipertesti aperti a molteplici accessi. Ovviamente... Ma siamo lontani dal capire come le cose andranno a finire. Cioè, per essere più concreti, dove ci portano Internet, la telematica, le fibre ottiche, la cultura digitale e ipertestuale. L'appello di Robert Cailliau, l'ingegnere del Cern che ha ideato il Word Wide Web, a non usare Internet come se fosse la televisione evoca un problema profondo, un problema che non è tecnologico ma filosofico. Perché è un problema di senso. Del senso e delle finalità che intendiamo dare al mondo e a noi stessi. Sul senso e sulle finalità di Internet due libri freschi di stampa ci invitano a riflettere da prospettive opposte, che con una semplificazione alla Umberto Eco potremmo ancora definire da «apocalittici» o da «integrati». Portavoce degli integrati è Bill Gates, l'uomo più ricco del mondo, il fondatore della Microsoft. Il suo libro, edizione aggiornata 1997, è «La strada che porta a domani» (Mondadori, 420 pagine, 30 mila lire). Portavoce di una riflessione filosofica è Lorenzo De Carli autore di «Internet. Memoria e oblio» (Bollati Boringhieri, 155 pagine, 24 mila lire). Bill Gates ci presenta un panorama probabilmente molto realistico del futuro a 10-15 anni. Ci accompagnerà un «wallet Pc» grande come un portafoglio tramite il quale comunicheremo con il mondo intero, pagheremo e verremo pagati, spediremo e riceveremo posta elettronica e fax, faremo il punto con la precisione di qualche metro grazie ai satelliti Gps, terremo sotto controllo la nostra salute, lavoreremo, voteremo, giocheremo e studieremo. La società dell'informazione digitale globalizzata, insomma, sarà la migliore delle società possibili. E L'ottimismo di Bill Gates al vaglio critico di un filosofo se anche non lo fosse, peggio per noi, perché il suo avvento è comunque inevitabile. Quindi tanto vale sperare che lo sia. Colpisce, in Bill Gates, l'intelligenza nello scrutare l'evoluzione delle tecnologie telematiche accoppiata alla assoluta incapacità di analizzarne le conseguenze meno superficiali. Proprio questo, invece, è l'obiettivo di Lorenzo De Carli, 37 anni, nato a Ginevra, laureato in filosofia del linguaggio a Pa¬ via, redattore culturale della Radio Svizzera Italiana. La questione del senso della mutazione culturale in corso è al centro delle sue analisi sia che affronti criticamente gli ipertesti o la semiosfera di Internet o i meccanismi della memoria e dell'oblio in un mondo radicalmente digitalizzato, nel quale la cultura analogica sarà archeologia, necropoli sepolta e irrecuperabile. Mi soffermerò soltanto su quest'ultimo aspetto, quello della memoria del digitale e dell'oblio dell'analogico, prendendola un po' alla larga. Borges nel racconto «La Biblioteca di Babele» immagina una biblioteca che contenga tutti i libri possibili combinando i 25 segni ortografici. Questi libri hanno tutti 410 pagine, ogni pagina ha 40 righe, ogni riga 40 lettere. Qual è il numero delle combinazioni, incluse quelle senza significato, di gran lunga le più frequenti? Un nu¬ mero grandissimo ma non infinito, risponde giustamente Borges. Piergiogio Odifreddi, logico matematico dell'Università di Torino, ha fatto il calcolo. I volumi della Biblioteca di Babele sarebbero 25 elevato a 655.000, cioè 10 elevato a 900.000. Cifra immane, se si pensa che tutte le particelle nucleari che formano l'universo sono appena 10 alla 82. Ma, appunto, pur sempre finita. Tuttavia, sostiene Borges, la letteratura rimane qualcosa di infinito, «per la sufficiente e semplice ragione che un solo libro lo è»: ciò che conta «è il dialogo che intavola con il lettore», e «tale dialogo è infinito». Bene. Internet è ciò che più somiglia alla Biblioteca di Babele. Per ora contiene solo qualche miliardo di pagine ma in teoria potrebbe avvicinarcisi. E' realistico pensare che un giorno gran parte dei libri di tutti i tempi saranno memorizzati in forma digitale e richiamabili da chiunque in qualsiasi parte del mondo attraverso la Rete. Sofisticati motori di ricerca potranno scovare tutte le citazioni di qualsiasi parola o concetto. Sarebbe la Memoria Universale? De Carli, pacatamente, ci fa capire che no, non lo sarebbe. Intanto non tutti i testi verranno digitalizzati: chi sceglierà che cosa? Qui svanirà forse una parte importante della nostra cultura. Inoltre, digitalizzando, si perde qualcosa (molto) degli originali analogici. Si perde quel senso che ognuno di noi ci mette dentro, quell'essenza interpretativa nella quale Borges (ma anche i filosofi ermeneutici: sto pensando a Luigi Pareyson) fa consistere l'intrinseca infinità del dialogo opera-lettore. «Ciò che manca allo spoglio elettronico dei testi - scrive De Carli - sono i testi stessi, dei quali non risulta nota che la porzione che incornicia la parola cercata. (...) Manca la nostra esperienza di lettori, che magari hanno durato fatica per approfondire la conoscenza di questo e quel libro, e che - senza saperlo - proprio attraverso quella fatica o quella felicità danno un senso jpayticplare allihra.stesso. (...) Al computer non è concesso di ricordare per contrasto, né di illuminare il senso di un documento con il significato contestuale derivato dal rapporto di tale documento con altri contigui». Come accade per gli «idiots savants», insomma, così per i computer l'eccesso di memoria è causa di oblio. E l'oblio è il nostro destino se affidiamo al digitale la nostra memoria. Il Dizionario Utet fondato da Salvatore Battaglia ci ha fatto capire che nessuna parola ha significato in sé. Ogni parola è definita da tutte le altre del testo che la contiene. L'espressione «selva oscura» o l'aggettivo «galeotto» sono definiti soltanto se inseriti in tutti i cento canti della «Divina commedia». Ma della «Divina commedia» il computer può prendere in esame solo una parola per volta. Digitale e analogico sono irriducibili. Forse bisogna partire di qui (sotto c'è tutta la diatriba continuo-discreto, meccanica classica-meccanica quantistica) per capire dove stiamo andando. Ma non si può pretendere che ci aiuti Bill Gates. Piero Bianucci

Luoghi citati: Ginevra