Con il riccometro finisce l'età d'oro dei Bot di Alfredo Recanatesi
Con il riccometro finisce Vetà d'oro dei Bot Con il riccometro finisce Vetà d'oro dei Bot redditometri, o riccometri che dir si voglia, non hanno certo un buon nome dalle nostre parti. Dalla vecchia imposta di famiglia, il cui principale strumento di accertameno erano le informazioni attinte dai portieri (che allora ancora esistevano quasi in ogni stabie), ai moduli concepiti dall'amministrazione finanziaria al tempo del ministro Formica, quelli degli aerei e delle riserve di caccia, il meglio che si possa dire è che non sono mai serviti a niente se non a dimostrare la realtà di una amministrazione costretta ad abbaiare per nascondere la mancanza di denti per mordere. Finzioni, insomma, alle quali ricorreva un sistema politico che doveva comprarsi una legittimazione elettorale, e questa ligittimazione si è comprata per molti anni anche.astenendosi da ogni politica fiscale seria ed incisiva. Notiamo per inciso che corollario di quella politica fu la scelta di finanziare la spesa statale ingigantendo il debito, altro strumento di acquisizione del consenso perché assicurava, e tuttora assicura, rendimenti reali cospicui ed esentati da una vera progressiva tassazione. Il nuovo riccometro, però, si delinea come tutt'altra cosa, certamente più seria e probabilmente più produttiva. E' più seria soprattutto perché è indice del rifiuto di arrendersi di fronte alla impossibilità di tassare il reddito derivante dal possesso di titoli pubblici. La esenzione del reddito di questi titoli dall'imponibile è sancita dal patto tra debitore e creditori, e comunque è imposta dalla forza contrattuale dei possessori dei titoli stessi i quali hanno sempre la possibilità di rivolgersi ad altri impieghi finanziari in Italia e soprattutto all'estero. Anche con un disavanzo compresso al 3% del Pil, l'esigenza di collocare nuovi titoli per rimborsare quelli che.: vengono a scadenza rimane impressionante. L'esenzione dalla tassazione progressiva, unita alla dimensione raggiunta dal debito e dei relativi frutti, pone problemi di enorme rilevanza. Intanto sotto il profilo fiscale perché comporta una spesa in gente che impone allo Stato di accentuare la pressione fiscale su ogni altro cespite con l'esclusione proprio del reddito di quei titoli. Inoltre, pone problemi di equità perché col tempo quelle rendite finanziarie hanno distorto la distribuzione del reddito, moltiplicando sempre più la ricchezza di chi ha avuto modo di costituirsi un gruzzolo iniziale di titoli, ed impoverendo sempre più chi questa opportunità non ha avuto. La novità dello strumento che il governo sta mettendo a punto sta nel fatto che in qualche misura questi redditi vengono ricondotti nell'ambito della fiscalità. Non potendolo fare dal lato delle entrate, lo fa dal lato delle spese. Se non è possibile che quel reddito con corra alla formazione delle en- trate attraverso la normale applicazione dell'Irpef, non fa grande differenza se concorrerà, sia pure indirettamente, al contenimemto delle spese: quelle sanitarie, in particolare, ma non è detto che, se funziona, l'applicazione di questo strumento debba fermarsi qui. L'autocertificazione non è molto diversa dalle screditate dichiarazioni e dagli inutili redditometri del passato. Ma l'autorizzazione ad indagare sui conti bancari (compresi i titoli a custodia, naturalmente) può fare effetto ed induce a prevedere che sarà ampia la quota di chi, possedendo titoli e percependo altri redditi da non mettere in piazza, rinuncerà - e spontaneamente - a beneficiare delle prestazioni sanitarie pubbliche. Il risparmio di spesa che ne deriverà potrà essere dunque consistente. Sotto un profilo di equità fiscale, certo, il metodo non è esente da critiche. All'atto pratico finirà per doversi pagare da sé analisi e farmaci chi ha risparmiato ed investito in attività finanziarie, mentre continuerà a cavarsela con un ticket chi si è dato a viaggi e bella vita. Ciò nondimeno è pur sempre un passo avanti, anche sul piano dell'equità, una qualche limitazione di questa spesa sociale almeno nei confronti di chi da lunghi anni, ed in parte tuttora, pesa anonimamente sul bilancio pubblico con interessi reali che, a conti fatti, rii sultano elevatissimi. Per questo motivo il nuovo riccometro si prospetta più serio dei suoi più o meno diretti predecessori. Più serio e, come già detto, più incisivo. Data la riluttanza degli italiani - come di tutti i popoli di cultura cattolica - a consentire possibilità di indagini sulla propria ricchezza personale, la rinuncia a questi benefici dello Stato sociale sarà comunque spontaneamente più consistente di quella oggettivamente imposta dai limiti di reddito che verranno fissati. Il risparmio di spesa che ne deriverà sarà, inoltre, strutturale perché l'abbattimento della spesa sanitaria che così verrà ottenuto rimarrà acquisito anche per gli esercizi futuri. Del resto, almeno finora, questo nuovo strumento non ha sollevato critiche o proteste di qualche rilevanza. Deve aver colto nel segno: si può protestare contro uno Stato che, per concedere un beneficio, chiede di essere autorizzato a verificare se uno è ricco, o almeno agiato, oppure no? Alfredo Recanatesi
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