Il trionfo del Deng-pensiero

Non più solo un mito ma un esempio nel congresso del pc cinese Non più solo un mito ma un esempio nel congresso del pc cinese Il trionfo del Deng-pensiero La sua dottrina economica cancella Mao IL CAPITALISMO SENZA CLASSI -ni jtxi olia: PECHINO DAL NOSTRO INVIATO E' l'ora del pensiero di Deng, dopo anni di pensiero di Mao. H congresso del partito comunista apertosi venerdì si sta svolgendo nell'esaltazione di Deng Xiaoping, scomparso nel febbraio scorso. Non è rituale omaggio al defunto leader, ma svolta ideologica verso radicali riforme economiche in un sistema che politicamente resta fermamente autoritario. «Levando alta la bandiera delle teorie di Deng», come afferma nel suo rapporto il presidente del partito Jiang Zemin, tramonta definitivamente «la politica in comando», pilastro di Mao, e sale al primo posto l'efficientismo economico di Deng, condensato nella sua famosa frase del '62, che Mao gli fece pagare cara: «Non importa che il gatto sia bianco o nero, purché prenda i topi». Di fatto era così da anni, soprattutto dalla primavera 1992. Dopo il crollo sovietico del dicembre '91, affinché la Cina popolare non facesse quella fine, Deng rilanciò le riforme superando i contrasti interni e traendo il Paese dallo stallo imposto nell'89 dalla Tienanmen. Ma tutto diventa adesso più formale e impegnativo. Lo statuto del partito verrà modificato per affermare che esso si basa non più solo sul marxismo-leninismo e sul pensiero di Mao, ma anche «sulle teorie di Deng Xiaoping». Non è omaggio al defunto, ma audace atto politico: facendo della spregiudicatezza di Deng in economia la ragione d'essere del partito e il fondamento della sua dottrina, si mettono a tacere gU oppositori di sinistra, che potrebbero avere buon gioco nei tempi a venire. La riorganizzazione della fallimentare industria statale, tema centrale del rapporto di Jiang Zemin, sul piano ideologico rompe il tabù della proprietà di Stato a favore di quella privata e mista: decine di migliaia di aziende verranno chiuse o trasformate in società per azioni; sul piano sociale imporrà decine di milioni di licenziamenti, come annunciato da lui stesso e ribadito nelle discussioni in corso. E' un congresso comunista in cui sui problemi economici si troverebbero a pieno agio i liberisti più oltranzisti. Ha affermato ieri Wang Zhingyu, ministro per l'Economia e il commercio di Stato: «Raddoppieremo gli sforzi per promuovere fusioni, far fallire le imprese in perdita e per ridurre il personale». Dal discorso di Jiang non emergono, apparentemente, contrasti interni, che pure si erano manifestati nei mesi scorsi: l'ala sinistra aveva fatto circolare critiche sulle riforme e sulla svolta che si stava preparando. Egli fa un solo riferimento alla lotta contro le «tendenze di sinistra», ritualmente accompagnato alla vigilanza contro la destra. Ma esalta per 55 volte Deng Xiaoping, e lo farà consacrare, appunto, nello statuto del partito. La risposta agli oppositori è quindi nell'esaltazione del personaggio che ha trasformato il Paese, svilup¬ pando la sua linea. Solo negli ultimi cinque anni il prodotto interno lordo è cresciuto del 77 per cento, con un tasso medio annuale del 12,1 per cento, mentre quello mondiale è stato del 2 per cento. L'inflazione, che aveva superato il 20 per cento, è stata azzerata. Più complessa da decifrare è l'espulsione dal partito per corruzio¬ ne, decretata martedì scorso, dell'ex sindaco e boss del partito di Pechino, Chen Xitong, già membro del Politbjuro e da due anni agli arresti domiciliari, accusato di aver intascato decine di miliardi di lire, e di aver regalato ville e montagne di denaro a parenti e amanti. E' un esempio nella lotta alla corruzione, ma Chen è uno di quelli che, col premier Li Peng, impersona la repressione della Tienanmen, avallata da Deng. Suo fu il rapporto finale sulla strage. Uno dei motivi delle manifestazioni fu la protesta contro la corruzione. Si afferma ora che uno dei grandi repressori era un grande corrotto. Sarebbe azzardato parlare di revisione storica su quegli eventi, ma ciò getta un'ombra sul gruppo che volle la repressione, da cui Jiang Zemin, allora boss di Shanghai, si tenne fuori. Malgrado i sordi contrasti interni, il gruppo dirigente è abbastanza saldo da rompere il tabù della proprietà statale e da annunciare licenziamenti di massa, benché in varie province recentemente si siano avute proteste di lavoratori già licenziati. Con ciò sfida la sinistra, tradizionalmente forte nel proletariato industriale. Le imprese di Stato sono 148 mila, con 113 milioni di dipendenti, e secondo fonti ufficiali contano ora per il 30 per cento della produzione industriale, un crollo rispetto all'80 per cento degli Anni Settanta. Sarebbero da licenziare almeno venti milioni di persone. Fernando Mozzetti Sopra, il presidente del partito comunista cinese Jiang Zemin A destra, il congresso del partito, ieri a Pechino

Luoghi citati: Cina, Pechino, Shanghai