«Un nuovo Rinascimento per l'Italia» di Fabio Martini

PERSONAGGIO Il ministro dei Beni culturali traccia il bilancio dopo la riapertura della Galleria Borghese «Un nuovo Rinascimento per Pituita» Veltroni: così rilanceremo il Paese dell'Arte PERSONAGGIO IL MIMERÒ DUE DI PALAZZO CHIGI OROMA UELLA notte neanche le scaloppine dello chef di Palazzo Chigi riuscivano ad addolcire l'espressione di Romano Prodi e di Fausto Bertinotti. Al culmine della tensione Walter Veltroni guardò negli occhi il leader di Rifondazione: «Fausto, togliti dalla testa che facciamo un pasticcio!». Il piglio del buonista Veltroni nella famosa cena del 3 settembre può sorprendere, ma è un'altra prova dello scatto psicologico che nelle ultime settimane ha reso meno prudenti il capo del governo e il suo vice. Certo, Prodi ha impiegato parecchi mesi per scollarsi quel soprannome - «mortadella» così appiccicoso e inelegante. Da qualche settimana sono arrivati gli editoriali ammiccanti, le battute-slogan («moriremo tutti prodiani?»), il «soccorso» di opinion-leader come Maurizio Costanzo che, alcune sere fa, ha insistito (invano) pur di far dire al presidente del Consiglio che per una volta almeno l'Italia era stata più brava della Germania. Ma anche «il povero Walter» come lo definì D'Alema nei mesi del «coprifuoco» - non ha intenzione di restare indietro. Il vento è girato dopo i riconoscimenti internazionali per la riapertura della Galleria Borghese, al punto che la severa Frankfurter AUgemeine è arrivata a titolare «Veltroni, un ministro come Superman». E anche diversi sondaggi di casa nostra - sul Corriere della Sera ma anche sul Tempo - hanno cominciato ad indicare Veltroni in cima ai gradimenti. Ma dal punto di vista dei giochi politici il numero due del governo ha deciso di passare al contrattacco. E' l'8 settembre e il comitato politico del pds è chiamato a replicare al Bertinotti crisaiolo di quelle ore. Veltroni si presenta a Botteghe Oscure e chiede «una presa di posizione chiara». In un partito che ancora qualche mese prima aveva oscillato, si schiera unanime sulla tradizionale linea veltroniana: dopo il governo dell'Ulivo ci sono soltanto le elezioni. «Sì, quel giorno sono tornato da Botteghe Oscure più sereno di altre volte», racconta Veltroni. Un modo soft per dire che altre volte era andata peggio. Nelle riunioni a Botteghe Oscure, ma anche sulle pagine dei giornali. Quando dirigeva l'Unità ne era diventato il beniamino, appena è entrato a Palazzo Chigi, è iniziato il cannoneggiamento. E da Botteghe Oscure soffiavano sul fuoco, con la «Velina rossa» che spargeva veleno ogni giorno. Sugli incontri del vicepresidente del Consiglio con i cantautori. Sul lotto. Sui pomeriggi al cinema con lo sconto. Sui viaggi all'estero del ministro mentre la casa bruciava. E Veltroni, a volte, prestava il fianco, con dichiarazioni del tipo: «Come le isole Mauritius sono il simbolo mondiale per le spiagge, così l'Italia lo dovrà diventare per l'arte». Ma il vero handicap di Veltroni è apparso (e in gran parte resta) il doppio lavoro: capo della delegazione pds al governo e ministro dei Beni culturali. Lavori inconciliabili? Lui rove- "i scia il ragionamento: «A me non è mai piaciuta questa definizione del capo-delegazione. Ricorda molto la Prima Repubblica. Questo è il governo dell'Ulivo. E la gente se ne sta accorgendo: nessun giornale ha potuto raccontare sgambetti e baruffe tra ministri. Non so a che posto sia questo governo nella graduatoria della durata, sicuramente è al primo posto per l'armonia interna». Tutto vero, ma nei momenti-clou D'Alema si presenta a Palazzo Chigi e parla direttamente con Prodi, raramente è Veltroni a fare la mediazione tra la Quercia e il presidente del Consiglio. Veltroni ha scelto il tandem con Prodi e il capo del governo ricambia. A Costanzo che gli chiedeva chi si portereb¬ be sulla canna della bicicletta, Prodi ha risposto senza esitare: «Veltroni». Una sintonia confermata anche lontano dai riflettori. Durante il pranzo agostano con Tony Blair a Bologna, il premier inglese ha confessato a Prodi e Veltroni di essere tentato dall'idea di «cambiare la legge elettorale». Gli hanno chiesto: «Scusa Tony, ma in percentuale quanto ha preso il Labour?». E Blair: «Circa il 46 per cento». Veltroni e Prodi, quasi con le stesse parole: «Come l'Ulivo, soltanto che noi abbiamo una maggioranza di 7 deputati e voi di 150. Pensaci...». Certo, Veltroni ha rinunciato a fare il «capo-cellula» a Palazzo Chigi e soltanto ora il suo peso politico comincia a risentir- ne meno. Soprattutto per un motivo. Fin dal primo giorno, il prudente Veltroni ha scommesso tutto sulla durata del governo. E così, ad ogni bivio, ha scelto sempre la strada che favoriva la governabilità e alla fine i fatti gli hanno dato quasi sempre ragione. Il Welfare? Un anno fa, da Capri, è stato Veltroni a lanciare il tema, accolto dalle polemiche anche dei suoi. La Lega? Dentro il pds non si erano mai esauriti gli ammiccamenti, lui in piena estate ha scritto sul Corriere della Sera un articolo di chiusura netta e proprio due giorni fa D'Alema ha dovuto riconoscere: «La mia strategia tesa a favorire un'evoluzione democratica della Lega fino ad oggi non ha dato risulta- ti positivi. Da questo punto di vista mi sento sconfitto». E Bertinotti? «Pur essendo tra i più distanti da lui - racconta Veltroni - non ho mai rotto il filo del dialogo e così, quando sul Dpef si è sfiorata la crisi, io lavorai per evitare una rottura, che avrebbe messo il Paese in ginocchio». Certo, ha pagato la scommessa sull'autoconservazione, ma intanto sono arrivati - assieme ai riconoscimenti di personaggi come Ralf Dahrendorf o Federico Zeri - anche i primi risultati del lavoro da ministro: il raddoppio dei finanziamenti per la cultura, i 300 miliardi per i restauri con i proventi del lotto, l'apertura notturna dei musei, i piani di riforma per la Biennale, per il teatro, per la musica, per la tutela delle città storiche. E il duello a distanza con D'Alema nell'approccio ai potenti della Terra? A fine ottobre Veltroni sarà a Washington per la festa della Niaf e in quella occasione potrà stringere la mano a Clinton. Ma in questi giorni, il pensiero fisso resta Bertinotti. Dice Veltroni: «Difficile comprendere se Bertinotti coltivi il retropensiero di andare alla crisi di governo per mettersi poi all'opposzione di un governo dal pds ad an. Oppure se l'avere allargato il campo del dissenso, alla fine, non possa favorire una soluzione positiva». Ma a Palazzo Chigi restano ottimisti: «La sinistra italiana - dice Veltroni - è ad un passo da una grande occasione storica, quella di portare l'Italia fuori dalla lunga stagione dell'instabilità. Ad un passo dal traguardo che facciamo? Un governo con La Russa e Buontempo?». Fabio Martini Il vice di Prodi «Niente baruffe nel governo di centrosinistra» Intanto sono raddoppiati i finanziamenti per la cultura Nella foto grande a sinistra il vicepremier e ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni Qui accanto il premier Romano Prodi con il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti

Luoghi citati: Bologna, Capri, Germania, Italia, Washington