«Alla larga da Teheran» di Ibrahim Refat

«Alla larga da Teheran» «Alla larga da Teheran» La Albright a Mubarak «No al riavvicinamento» IL CAIRO NOSTRO SERVIZIO Dopo gli scarsi risultati ottenuti nelle tre tappe precedenti della sua missione mediorientale iniziata mercoledì, ieri alla quarta in Egitto il segretario di Stato americano Madeleine Albright ha raccolto i primi consensi agli sforzi da lei compiuti. Il padrone di casa, il presidente egiziano Mubarak, si è profuso, al termine dei colloqui ad Alessandria d'Egitto, in elogi per l'illustre ospite. Il «raiss» si è mostrato persino più ottimista della stessa Albright sull'esito della mediazione volta a rimettere sul binario giusto il processo di pace. «Ciò che la Albright ha compiuto durante questa missione era inatteso - ha dichiarato -. E' incoraggiante e invita a sperare nel successo delle prossime visite». E ha ammesso che in Egitto, prima dell'arrivo del segretario di Stato, non si nutriva tanto entusiasmo. Per Mubarak quella piccola concessione ottenuta l'altro ieri dalla Albright dai palestinesi e dagli israeliani, ossia l'impegno a riprendere i colloqui a Washington a fine mese, sotto l'egida degli Usa, è sufficiente per riattivare il processo di pace. Perché questo cambiamento di umore del Cairo? In primo luogo perché è piaciuto il linguaggio franco con cui la Albright si è rivolta ad entrambi i contendenti. Prima che arrivasse nella regione i «media» arabi mettevano in risalto le sue origini ebraiche, e quindi insinuavano sulla sua ostilità preconcetta verso gli arabi. Si temeva che sposasse in toto la causa del premier israeliano Benjamin Netanyahu, limitandosi con la controparte araba a dare assoluta priorità alla sicurezza di Israele. Il richiamo della Albright al leader del Likud affinché rinunciasse alla politica del fatto compiuto in materia di insediamenti ebraici nei Territori, e i suoi ripetuti appelli al rispetto dei diritti dei palestinesi e degli accordi di Oslo (lo ha ribadito ieri ad Alessandria) hanno invece dissipato ogni dubbio. Non solo. Con Mubarak la Albright si è impegnata sul ruolo degli Usa come garante del processo di pace. Così questa donna dal piglio deciso e dalla lingua tagliente piace adesso all'Egitto. Certo, l'inviata di Clinton non ha discusso soltanto di processo di pace con gli egiziani. Nell'agenda dei colloqui c'erano altre questioni, tra cui l'isolamento dell'Iran, un argomento che sta a cuore all'amministrazione Clinton. Mubarak, da quando è ai ferri corti con Netanyahu per via dei ripetuti sgambetti di quest'ultimo, agita la carta iraniana. Adesso minaccia un avvicinamento tra i Paesi arabi moderati e l'Iran che non viene più additato come culla del terrorismo dopo l'elezione a presidente del moderato Khatami. I segnali di disgelo ci sono. Su questo sembra che ci sia un'intesa con l'Arabia Saudita (dove è giunta ieri pomeriggio la Albright). Il tutto con la benedizione di Damasco, alleato di vecchia data di Teheran. E non a caso la Siria e i Paesi del Golfo guidati dall'Arabia Saudita (ad eccezione del Qatar) hanno deciso di disertare la prossima conferenza economica mediorientale di Doha (Qatar), caldeggiata invece dagli Usa per mettere fine al boicottaggio nei confronti di Israele. Mubarak ha lasciato la porta aperta subordinando tutto ai progressi del negoziato tra palestinesi e israeliani. Ibrahim Refat