Sulla strada, la povera più povera di Igor Man

Sulla strada, la povera più povera Sulla strada, la povera più povera E il suo popolo la stringe con un assedio d'amore E: invece s'è mutata in un funerale di Stato a metà tra uno show mediatico in concorrenza col funerale di Lady Di, «eccessiva e vulnerabile» principessa di complemento, e un documentario (esotico) in technicolor degli Anni 50. Un uomo così, il signor Gomez, dico, ha risposto come ha risposto non per fare una battuta ma perché sapeva come sarebbero andate le cose. Non che ci fosse nulla di male nella decisione (per altro controversa) del Governo di Delhi di onorare una monaca angelicamente povera, duramente umile, col carro-affusto di cannone che portò alla pira Gandhi il mitico padre della patria scalzo e Nehru, l'aristocratico costruttore di quell'India moderna che proprio adesso celebra i suoi cinquant'anni. Solo che, ieri, i poveri di Calcutta, vale a dire la maggioranza della popolazione, loro, gli amici sinceri di Madre Teresa poiché lei era, appunto, «una di loro», erano stati messi da parte. Così accade che a un certo momento il popolo buono, mite, il popolobue, si ribelli e travolga le transenne, i cordoni dei ringalluzziti soldati dei reparti speciali, lascito militarfolkloristico dell'Impero britannico, e correndo s'affolli intorno al carro funebre, stringendolo d'assedio con rabbioso, dolcissimo amore. Madre Teresa per loro, per gli indiani indiani, era jivan-mukta, «li¬ berato/a in questa vita» giusta la teologia indù. Teresa, al pari di Gandhi «era nel divino già in vita», insomma Madre Teresa, efficace e pietosa com'era, rammentava agli indiani Gandhi, «santo vivente»: Mahatma, e per tanto cadeva «in quel subconscio in cui si viene considerati come simboli di sacralità». Di più: la «casa» dove le suore della Carità accolgono i moribondi, i bambini abbandonati, i reietti della terra, fa angolo con il tempio a Kali, la Dea Madre - non sono pochi gli indiani indiani che considerano Teresa una avatar, incarnazione, della Dea Kali. Il vecchio cronista che sfiorò Madre Teresa a Calcutta, nel lontano 1965, e successivamente l'incontrò, a Roma, vorrebbe azzardare mi interrogativo. Come mai e perché, in questa fine di millennio che vede l'Europa disfarsi anziché farsi, milioni di giovani acclamano un Papa vecchio, stanco ma severo che li esorta alla modestia, al sacrificio e al tempo stesso piangono una giovine principessa ribelle suicidata da un autista sbronzo in gimkana coi paparazzi, e infine Madre Teresa? I sociologi ci hanno già spiegato che quando il tempo della vita porta confusione, delusione, separazione (dagli altri) il dolore, l'emozione per un qualche accadimento forte (specie se veicolato dalla tv) fanno da collante, uniscono: i giovani, ci vie¬ ne ripetuto, hanno fame di sogni, di ideali, di romanticismo addirittura. Bene, e se avessero fame di religione? Al vecchio cronista sembra che salga, dai giovani, una grande domanda di fede. Che spesso viene disattesa ed ecco, allora, il perché della santificazione in vita di una piccola suora albanese, dura, scontrosa, persino deliberatamente scortese, però capace «di far sentire agli sconfitti della vita la tenerezza di Gesù». (Sono parole del Papa). «E' morto solo come un cane», si sente dire, ogni tanto, di qualcuno. Ebbene, Madre Teresa i moribondi, i malati terminali che raccoglieva on the road li portava nella sua «casa». E lì quei disgraziati sfuggivano all'atrocità della morte in solitudine perché lei e le sue sorelle gli davano da bere, gli facevano i bagnoli, gli sussurravano parole affettuose: per aiutarli a trapassare: dalla vita miserabile, ingrata, all'aldilà, forse sereno, attraverso il passaggio difficile, ahi quanto, della morte. Per questa sua «terapia» esclusivamente spirituale, Madre Teresa venne spesso attaccata ma lei non si curò mai di difendersi. Diceva: «Il mio non è un lavoro sociale, e poi non sono una santona che fa guarire bensì cerco di far sentire ai poveri tra i più poveri che Dio li ama, che sono persone non underdogs». A me, in quel lontanissimo 1965, era settembre e sembrava dovesse scoppiare la guerra fra India e Cina, lassù, sul Sikkim, nell'inferno di Calcutta la Madre che s'affannava appresso a relitti da aiutare a morire, appresso a bambini da salvare dalla morte nella spazzatura, appresso a ragazze madri da sottrarre all'aborto, lei, Teresa, disse d'esser certa «che la tragedia più grande per un uomo è sentirsi spaventosamente solo perché non amato». Coi lebbrosi, invece, affermava, la medicina giusta era il «cameratismo»: e infatti li carezzava, li baciava, gli dava pacche sulla spalle «per non farli sentire diversi». S'è detto che Madre Teresa aveva un «bel caratterino», intendendo con ciò un pessimo carattere. Certamente era inflessibile nel praticare una vita dolorosamente francescana, senza conforto mondano alcuno, e nel farla seguire alle sue eroiche sorelle. Trattava i potenti della Terra con prepotente fermezza, riuscì a farsi dare soldi per i suoi fratelli bisognosi anche da un criminale come Papa Doc (Duvalier), da un dittatore sanguinario come Menghistu. «Non m'importa da dove vengono i soldi perché so dove vanno». Quel giorno che la incontrai a San Gregorio al Celio, era furibonda. Ce l'aveva con certe signore del generino romano che in cambio dei soldi che estraevano dalle «borsette di coccodrillo» pretendevano la grazia. De Cuellar, quand'era segretario generale dell'Orni, la definì «la donna più potente del mondo». Lei che possedeva due sari soltanto (di quelli che costano meno di tutti), due paia di mutandine, un golfino di lana nero: e nulla più. Potente non so, ma certamente carismatica. Pare sia stata lei a dare una mano agli amici di Sant'Egidio, nel convmcere Berisha a lasciare «per 0 bene dei suoi fratelli». «Così dura, così dolce», dice di lei il creatore di Médecins sansfrontières. Ma quanta fatica Madre Teresa, per diventare Madre Teresa. Maurizio Blondet dell'Avvenire, grazie al signor Gomez di cui ho detto, ha scoperto un brano medito del diario di Madre Teresa quando lottava per andare on the road. «28 febbraio 1949: oggi, mio Dio, che tortura di solitudine. Mi domando se il mio cuore potrà sopportarla. Ho pianto tanto. Lacrime su lacrime. Tutti vedono la mia debolezza. Dio mio, dammi il coraggio di vincere il mio io e il tentatore. Fa' ch'io non rifiuti il sacrificio che ho fatto con profonda convinzione. Mamma dal Cuore Immacolato, abbi pietà della tua povera bambina. E' per amor tuo, Madre Celeste, che voglio vivere e morire missionaria della Carità». La Bambina è tornata a casa della Mamma. Definitivamente. Igor Man

Luoghi citati: Calcutta, Cina, Europa, India, Roma, San Gregorio, Sant'egidio