« Gli 007 dietro la bomba agli Uffizi»

E il pentito Avola: «Santapaola decise di fare un attentato contro Di Pietro» E il pentito Avola: «Santapaola decise di fare un attentato contro Di Pietro» « Gli 007 dietro la bomba agli Uffizi» Brusca: lordine arrivò ai boss PALERMO. Ha esordito il «dichiarante» Giovanni Brusca: «A Berlusconi ho fatto sapere che la bomba a mano agli Uffizi di Firenze l'aveva messa Cosa nostra su suggerimento dei servizi». Ha rilanciato il pentito catanese Maurizio Avola: «Nel 1992 la famiglia mafiosa di Nitto Santapaola aveva deciso di compiere un attentato contro l'ex pm Antonio Di Pietro. Alle riunioni preparatorie partecipava anche uno 007». Fuoco incrociato contro i servizi segreti. Parole roventi che ieri, dall'aula bunker di Palermo e di Firenze, hanno scritto l'ennesimo capitolo del libro nero delle collusioni tra Cosa nostra e apparati «deviati», stavolta addirittura complici in mi progetto stragista. Ma che non hanno affatto convinto Bruno Contrada, l'ex numero 3 del Sisde condannato dal tribunale di Palermo a 10 anni di reclusione con l'accusa di essere proprio una «talpa» delle cosche: «I servizi segreti di cui ho fatto parte non avrebbero mai commesso un gesto destabilizzante», ha detto l'ex poliziotto, «e poi mi chiedo: perché i servizi, per deporre una bomba negli Uffizi, si sarebbero dovuti servire di un Brusca o di un mafioso?». Il perché, Giovanni Brusca non lo ha spiegato affatto. E peraltro la sua clamorosa dichiarazione, resa ieri mattina in video-conferenza nel processo palermitano contro l'ex fattore di Arcore Vittorio Mangano, è stata immediatamente stoppata dal pm Marno Terranova. «Vi sono indagini in corso», ha spiegato il rappresentante dell'accusa al presidente della Corte d'assise Salvatore Vigna, «quest'argomento non può essere trattato». La versione di Brusca, peraltro, non coinciderebbe con quella fornita nel '96 dal collaboratore Antonino Gullotta secondo cui l'episodio non avenne agli Uffizi, ma nel giardino dei Boboli, a Palazzo Pitti, e non fu usata una «bomba a mano» ma un proiettile di artiglieria. Nessun top secret, invece, sulla rivelazione del pentito Avola, ascoltato a Firenze nel processo per le stragi del '93. Il suo racconto è stato registrato con il corredo dei dovuti particolari: l'uccisione di Di Pietro sarebbe stata decisa «per fare un favore a persone importanti a quell'epoca e che potevano servire successivamente nel momento in cui si parlava della nascita di un nuovo partito, con nuove alleanze». Quale partito? Avola ha spiegato che quella forza politica, ancora in via di costituzione, si sarebbe chiamata Forza Italia. Poi ha aggiunto che Marcello Dell'Utri, l'ex manager di Publitalia, avrebbe avuto contatti in Sicilia con il superboss Nitto Santapaola e che fra le «persone importanti» a cui si doveva fare il favore di ammazzare Di Pietro, c'era anche l'ex leader del psi Bettino Craxi. Nel bunker di Palermo, però, Brusca non è stato meno prolifico. Prima ha rivelato il progetto di Cosa nostra che prevedeva il rapimento dell'esattore Pippo Cambria (socio dei cugini Nino e Ignazio Salvo, ndr) e del direttore-editore del Giornale di Sicilia Antonio Ardizzone, un piano ideato nel '92 e accantonato nel '94 «perché con Salvatore Cucuzza e Leoluca Bagarella avevamo pensato che non era il momento adatto perché si sarebbero create tensioni all'interno delle carceri». Poi ha raccontato di aver chiesto, dopo le stragi del '93, a Vittorio Mangano di contattare Berlusconi «per avere favo- reggiamenti sul 41 bis», per strappare cioè concessioni sul regime carcerario. «Non so - ha detto Brusca - attraverso chi faceva arrivare i messaggi a Berlusconi, ma lo stesso Mangano mi disse che il Cavaliere riceveva i.messaggi». Sui presunti rapporti con il leader di Forza Italia, infine, Brusca ha sottolineato: «Mangano mi disse che aveva preso contatto con Berlusconi. Se mi ha raccontato una bugia non so dirlo. Ma non c'è stato il tempo di poter portare a termine un progetto, l'arresto di Mangano ha bloccato tutto». Puntuale, come sempre, la smentita del collegio di difesa di Dell'Utri: «Il collegamento tra l'episodio riferito e la nascita di Forza Italia dimostra inesorabilmente la falsità dell'indicazione e la rispondenza ad una precisa strategia destabilizzatrice, stipendiata dallo Stato. Non si bada alle menzogne ormai prodotte in quantità industriale». Sfumato il piano ideato per ottenere un alleggerimento del 41 bis, comunque, Cosa nostra pensò di tornare all'attacco con un'ennesima sfida alle istituzioni. «Volevamo rapire il figlio del giudice Piero Grasso (sostituto procuratore nazionale, ndr) - ha ammesso infine Brusca - non per ucciderlo ma per mandargli un segnale». Grasso, già al corrente del piano criminale, ha commentato così le parole di Brusca: «Ho informato io stesso mio figlio. La scelta più difficile, in questi casi, è quella di andare avanti, per mostrare che queste pressioni non possono incidere sul nostro lavoro in alcun modo». Sandra Rizza L'ATTENTATO «A Berlusconi ho fatto sapere che l'esplosivo usato a Firenze fu messo dalla mafia su suggerimento dei servizi segreti E Cosa nostra voleva rapire il cugino dei Salvo» L'EX MAGISTRATO «Alle riunioni preparatorie per eliminare il giudice di Mani Pulite era presente anche un uomo dei servizi» «Quella strage era un favore che si doveva fare anche a Craxi» Gli Uffìzi a Firenze. In alto, da sinistra, Giovanni Brusca e Antonio Di Pietro

Luoghi citati: Arcore, Firenze, Palermo, Sicilia, Uffizi