Un principe saudita in Vaticano

Timido dialogo con un Paese dove è reato perfino ascoltare la messa per radio ECUMENISMO Timido dialogo con un Paese dove è reato perfino ascoltare la messa per radio Un principe saudita in Vaticano Giovanni Paolo II ha ricevuto il vicepremier Al Saud CITTA' DEL VATICANO". Al termine della sua visita in Italia, il vice primo ministro dell'Arabia Saudita Abdul Aziz Al Saud (nonché principe e nella linea di successione di re Fahd), ha chiesto udienza al Papa. E Giovanni Paolo II è stato «ben lieto» di incontrarlo. La prassi è normale, solo che stavolta l'ospite è decisamente insolito, perché l'Arabia Saudita è un Paese islamico, dove per i cristiani non c'è libertà di culto, le funzioni religiose si svolgono nelle case private e sempre con il rischio di veder irrompere la polizia; anche ascoltare trasmissioni religiose cristiane per radio è un reato. Le fonti vaticane hanno taciuto sul contenuto del colloquio, limitandosi appunto a far sapere che il principe aveva chiesto di incontrare il Papa e che comunque il colloquio, durato meno di mezz'ora, è stato cordiale e sereno. Tra i temi passati in rassegna, quelli relativi alla situazione mediorientale e allo status di Gerusalem- me. Giovanni Paolo II dal canto suo non avrà mancato di sollevare la questione dello status dei credenti. Il Papa ha tutte le carte in regola per farsi ascoltare: in Marocco nel 1985 esortò al dialogo tra tutti i credenti in un Paese musulmano; nel giorno dell'inaugurazione della moschea di Roma, nel giugno 1995, osservò che in Occidente c'è libertà religiosa per i musulmani, augurandosi lo stesso nei Paesi della mezzaluna; anche in Tunisia, l'anno dopo, ripetè l'invito alla colla¬ borazione fra credenti. < Dalle autorità saudite, niente di più di una cortese ricezione della richiesta. Incassarono senza apparenti reazioni anche la critica del Capo dello stato, Oscar Luigi Scalfaro, qualche mese fa, quando si lamentò di non aver potuto assistere alla messa domenicale, appunto vietata come ogni manifestazione religiosa non islamica. La distanza tra le due parti è evidenziata dal fatto che non esistono rapporti diplomatici e il rappresentante pontificio altri non è che il nunzio del Libano, che ha l'incarico di capo della «delegazione apostolica» della Penisola Arabica, che esiste sulla carta. Dal punto di vista islamico tanta rigidità è del tutto ovvia, poiché l'attuale regno saudita è la terra dove l'Islam si è sviluppato e sarebbe impensabile favorire altri culti. In secondo luogo, la patria di Maometto è il più ricco tra i regimi e finanzia le attività filo-islamiche in tutto il mondo, dalla costruzione di moschee ai centri cultu¬ rali. Terzo, il regnò saudita si ispira al «wahhabismo», dal nome di un teologo islamico integralista del XVIII secolo, iniziatore di una delle più antiche scuole puritane, che interpreta nel senso più letterale e ristretto il Corano. Nel 1930, la dottrina wahhabita venne adottata come regola dalla dinastia saudita: applicazione rigida della legge islamica, rifiuto di ogni innovazione e discussione teologica come invece accade in altri Paesi pure intransigenti come l'Iran. In più, in Arabia esiste una polizia religiosa che ha l'incarico di far rispettare la legge musulmana nei luoghi pubblici; per le donne è severamente proibita ogni concessione alle mode occidentali. Il colloquio di ieri sembra lasciare per ora immutata la realtà, ma Giovanni Paolo II non rinuncia mai quando si tratta di libertà religiosa, una delle bandiere del suo pontificato. Luca Tornasi II vice primo ministro dell'Arabia Saudita, Abdul Aziz Al Saud, fotografato durante il colloquio di ieri in Vaticano

Luoghi citati: Arabia, Arabia Saudita, Iran, Italia, Libano, Marocco, Roma, Tunisia