«Stringevo e non riuscivo a fermarmi»

«Stringevo e non riuscivo u fermarmi» Bergamo, ha strangolato la giovane immigrata dopo un rapporto sessuale: «Ma è stata l'unica volta» «Stringevo e non riuscivo u fermarmi» La confessione del frate: «Lei mi ricattava» BERGAMO DAL NOSTRO INVIATO La verità di frate Fabrizio - da 48 ore in carcere per omicidio volontario - sta tutta nella sua ultima immagine da uomo libero, scolpita, nel buio del bilocale, dal fascio di luce della potente torcia elettrica dei carabinieri che stanno per catturarlo. E' nudo, seduto sul letto, sta piangendo. Alza la testa, grida: «Non sparate, Dio mio, sono un frate». Ha appena strangolato Aminata Harding, 24 anni, arrivata da Freetown, Sierra Leone, vita dura d'immigrazione, cameriera saltuaria, due bambini affidati all'ex convivente, e permesso di soggiorno scaduto. «Da settimane viveva nell'ansia di dover ritornare in Africa», dicono i vicini in questa casa di Alzano Lombardo, sette chilometri da Bergamo, imbocco della Val Seriana. Il corpo di lei è a pochi metri dal fascio di luce, steso sul pavimento. La scena conserva i segni dell'amore e poi della lotta. Il letto sfatto, la specchiera rotta, l'armadio spostato. Dirà l'autopsia: «La vittima ha avuto un rapporto sessuale poco prima di morire». Diranno i carabinieri: «Abbiamo ragione di credere che tra i due fosse la prima volta». E il medico legale: «E' stato un rapporto consenziente. Con certezza non ci sono segni di violenza». La violenza è arrivata dopo. Dice un inquirente: «Lei lo voleva ricattare. Voleva usare quel rapporto sessuale per impegnare il frate a farle ottenere un nuovo permesso di soggiorno». E chi lo dice questo? «Lo dice il frate». Gli credete? «A questo punto sì, gli crediamo». Quindi? «Lui ha avuto una specie di raptus. Le è saltato addosso, hanno lottato, l'ha uccisa». Tutto già scritto nella lunga confessione, ore tre del mattino caserma dei carabinieri di Bergamo. Dice così: «L'ho uccisa, l'ho soffocata...». E poi: «Vedevo le mie mani che stringevano il suo collo, ma una forza esterna mi impediva di fermarmi. Una forza esterna mi impediva di togliere le mie mani dal suo collo». E ancora: «L'ho uccisa perché voleva ricattarmi, mi ha detto: conosco il tuo nome, se non mi aiuti racconterò tutto alla Curia. Così io mi sono sentito perduto». La verità di frate Fabrizio Fabrizio Moretti, 32 anni, nato e vissuto a Cremona, vocazione intensa, carattere estroverso, temperamento allegro, fisico imponente, un metro e ottanta di altezza - sta esattamente nel buio che lo circondava quella notte e lo circonda adesso, nella cella d'isolamento del carcere di Bergamo. Al suo avvocato ha ripetuto: «Sono colpevole. Sarò per sempre colpevole». Le guardie del carcere lo hanno messo in isolamento. Viene controllato a vista perché è «disperato, avvilito, distrutto». Perché: «Ha già scritto la pro¬ pria condanna». E aggiungono, con lingua carceraria: «Potrebbe compiere un gesto inconsulto». Cioè il suicidio? «E' un rischio, sì». Dunque l'intreccio - di gesti e destino - è sciolto. Ma il buio resta. Tutto cominciò tre settimane fa, quando il frate incontra Aminata. Li ha fatti conoscere lo zio dell'ex convivente: Fabrizio è un buon frate, lavora agli Ospedali Riuniti di Bergamo, è amato da tutti, e perché mai non potrebbe aiutare questa ragazza nera senza soldi, senza più figli e senza più permesso? Lui la incontra, la ascolta, le dice: farò quello che posso, ma ci vorrà tempo. Intanto devi tornare a Freetown, perché se ti trovano verrai espulsa e l'Italia ti sarà preclusa per sempre, non vedrai più i tuoi figli. Lei non vuole, non si fida. Gli dice: tentiamo qualunque cosa, ma io resto. Dicono i vicini: «Era una ragazza forte. Però lavoro non ne trovava abbastan- za». Dicono i carabinieri: «Ha sempre cercato e svolto solo lavori legali». Però in quelle ultime tre settimane le era cresciuta «un'ansia disperata». Ecco perché sabato scorso finisce al pronto soccorso degli Ospedali Riuniti, accusa vertigini, depressione, difficoltà respiratorie. E al pronto soccorso chiede di frate Fabrizio. Lui arriva. La riaccompagna a casa. Era già successo? ((Andava a trovarla, sì». Ma c'era una storia tra loro? «Non ci risulta». Eppure quella ultima loro serata comincia con un invito a cena, ore 21,30. Lui arriva in vestiti borghesi, niente saio. Suona, entra. Lei - secondo la confessione di Fabrizio - lo accoglie in vestaglia, slip e reggiseno. «Era bella, molto bella», dicono al bar Emy's cento metri da casa di Aminata. «Era allegra, magari anche un po' matta, ma sorrideva sempre». Così la cena entra nella penombra degli abbracci. Certo lui aveva fatto voto di castità. Certo la sua vocazione era salda. Eppure succede. Vista da occhi lontani e laici è una notte veniale. Ma quel che resta inspiegabile è il dopo. Quando lei - sempre secondo la verità di Fabrizio - avvelena la sua voce con le minacce. Il ricatto, la vergogna, i confratelli, il futuro. «Mi sono sentito perduto» dirà ai carabinieri. «E' possibile - azzarda Giovanni Borsella, che gli è stato amico negli anni di Cremona che tutto il suo mondo gli sia crollato addosso. Fabrizio è cresciuto con i miei figli e ho visto come ha scelto la strada durissima del convento. Conosco il suo carattere e la sua forza religiosa. Per questo non mi spiego la tremendità di quello che ha fatto». Secondo la ricostruzione: grida del litigio; rumore di lotta; oggetti che cadono; il tonfo; lei che grida aiuto; il silenzio. E' l'una di notte quando Denise Tombini, dall'appartamento di sopra di Aminata, chiama il 112. E' l'una e dieci quando sfondata la porta - la torcia elettrica dei carabinieri fruga nel buio del bilocale, inquadra il corpo di lei (morto) e a un paio di metri quello di lui (vivo). Dicono i suoi amici che progettava di farsi missionario. Dicono che la sua vita era pregare, curare i malati, benedire i moribondi. A Cremona lo ricordano negli anni del noviziato. A Bergamo in quelli della pratica quotidiana. Dicono vivesse nella luce. Eppure, nello scarto improvviso di una sola notte, ha scelto il buio. E anzi ci è cascato dentro. Pino Corrias Si erano conosciuti tre settimane fa. Lui l'aiutava ad avere il permesso di soggiorno, ma lei aveva fretta Quando ha visto i militari ha urlato: «Non sparate, sono un frate». Gli amici: «Sognava di diventare un missionario» Dopo il delitto i carabinieri l'hanno trovato nudo sul letto LE MINACCE «L'ho uccisa perché mi diceva che voleva dire tutto alla Curia Mi sono sentito perduto» IL RAPTUS «Vedevo le mie mani che soffocavano il suo collo, ma una forza esterna mi impediva di smettere» IN CARCERE Secondo le guardie «è disperato e distrutto C'è il rischio che possa tentare il suicidio» ti tre utava so di fretta Aminata Harding la donna Aminata Harding la donna Da sinistra la palazzina dove viveva la vittima e un ospedale dove il frate prestava servizio

Persone citate: Denise Tombini, Fabrizio Fabrizio Moretti, Giovanni Borsella, Harding, Pino Corrias