A Pechino una nuova eresia

Prodi e Aznar: siamo tra i promossi d'Europa REPORTAGE Per la prima volta mancano i capi carismatici, sarà consacrata la leadership di Jiang Zemin A Pechino una nuova eresia Pc a congresso, parola d'ordine: privatizzare PECHINO DAL NOSTRO INVIATO Propaganda politica e pubblicità in concorrenza nel panorama della città. Per il XV congresso del partito comunista che si apre oggi, ai giganteschi cartelloni e pannelli pubblicitari al neon che dominano dall'alto di grattacieli, si sono affiancati striscioni con slogan per l'evento, ma senza furore ideologico: «Unirsi al comitato centrale e al suo nucleo», «Edificare il socialismo con caratteristiche cinesi». Toyota, McDonald, Sanyo, Remy Martin hanno chiaramente la meglio. Ancor meno attraenti le scritte della campagna per la «civilizzazione spirituale»: siate cortesi tra voi, non sputate, tenete pulito il quartiere. La propaganda in perdente concorrenza con la pubblicità è la rappresentazione visuale di una Cina in crescente sviluppo grazie all'abbandono dell'ideologia. Il partito comunista, 58 milioni di iscritti, mantiene ferma la presa autoritaria ma invece che dogmi rivoluzionari ammannisce lezioni di buone maniere. E si presenta al congresso con una crescita economica di oltre il 10 per cento negli ultimi 5 anni, e inflazione ridotta quest'anno a zero. Su Pechino soffia un vento di riforme economiche che trascina anche ipotesi di riforme politiche. Alcuni studiosi e politologi, senza essere dissidenti, hanno reso pubbliche proposte per introdurre il pluralismo, con rinuncia del partito al monopolio del potere: «Le leggi di mercato, con libera scelta per i consumatori, dovrebbero valere anche in politica». Non sarà cosi, il sistema non cambia. Ma è stupefacente che tali proposte vengano espresse, e che nulla accada ai loro autori. «La lotta di classe non è più l'obiettivo», scrivono i giornali in un Paese in cui una sterminata società fino a dieci anni fa senza classi, uniforme nella miseria, si è rapidamente diversificata: decine di milioni di ricchi imprenditori, agiata classe media di centinaia di classe media di centinaia di milioni, sottoproletariato di centinaia di milioni, decine di milioni di disoccupati. Sotto silenzio è passata la ricorrenza della morte di Mao, avvenuta il 9 settembre 1976. Nessuna cerimonia, nessun ricordo ufficiale. Ventun anni lunghi come secoli, smisurati nella trasformazione avvenuta. Dalla scomparsa di Deng Xiaoping nel febbraio scorso, il congresso odierno è il primo senza immortali, veterani della Lunga Marcia dalle glorie posticce o costruite in vite di battaglie e di sangue. E' il primo dal ritorno di Hong Kong, il 30 giugno, alla sovranità cinese, a chiusura della lunga ferita coloniale. Ed è il primo in cui Jiang Zemin, 71 anni, messo da Deng alla testa del partito nel giugno '89 e divenuto poi anche capo dello Stato e delle forze armate, brilla di luce propria. Dopo il congresso, che lo confermerà nella posizione di vertice, andrà a fine ottobre negli Stati Uniti: prima visita ufficiale di un capo di Stato cinese, consacrazione della sua statura. L'assise si svolge all'insegna dell'avanzamento sulla linea di Deng, «socialismo dalle caratteristiche cinesi», formula escogitata per spiegare la ri- escogitata per spiegare la ri nuncia all'economia pianificata e lo stimolo all'iniziativa privata, con largo spazio a tutti gli strumenti di un sistema capitalistico. Il congresso viene presentato come «terza tappa della liberazione del pensiero». La prima fu l'avvio delle riforme a fine '78; la seconda, nel '92, il ricorso a strumenti e tec- niche capitaliste per l'avanza- niche capitaliste per l'avanzamento del socialismo. Nel rapporto che presenta oggi Jiang Zemin, secondo molte indicazioni, esporrà l'impensabile: privatizzare. Non userà questa parola, ma il succo è questo. Il partito si concentra sui problemi dello sviluppo, in cui la dottrina poco aiuta. Non sarà privatizza- zione alla Thatcher, né i zione alla Thatcher, né generalizzata e allo sbaraglio come in Russia. Si punterà invece all'esperienza di Bonn con la Germania Est, per la quale fu creato un ente come Treuhand, responsabile della riorganizzazione e liquidazione delle imprese di Stato. Nato 15 anni fa dalla tabula rasa maoista, il sistema privato contribuisce per oltre il 50 per cento al prodotto interno lordo. Il settore pubblico, che conta per il 47 per cen^ to, è un peso per lo Stato, che ne ripiana i deficit. Due terzi delle, centinaia di migliaia di imprese, con'cento milioni dì dipendenti, sono in perdita. «Il dilemma ideologico deve essere affrontato», titolano i giornali, trattando delle privatizzazioni, finora tabù, confermando contrasti interni per le implicazioni dottrinarie che esse comportano. In un discorso a fine maggio, che dovrebbe costituire la base del suo rapporto odierno, Jiang Zemin ha proclamato che la Cina è «allo stato primario di socialismo», echeggiando il suo predecessore Zhao Ziyang al congresso del 1987. Ciò vuol dire che il socialismo non c'è ancora, e se Dio non c'è, tutto è permesso. A cominciare dalle privatizzazioni. Perciò i giornali spiegano che proprietà pubblica non va identificata con proprietà di Stato: pubblica nei senso che non appartiene a un solo individuo, ma a più azionisti, nel senso di «public company» all'americana. Privatizzare con azionariato diffuso; per le principali imprese, una «golden share» riservata allo Stato. Fino ad ora già 240 mila aziende medie e piccole sono state silenziosamente messe sul mercato, riorganizzate tramite fusioni. Migliaia sono state trasformate in società per azioni. Alla vigilia congressuale, l'altro giorno, il comitato centrale ha espulso dal partito per corruzione l'ex sindaco e boss di Pechino, Chen Xitong, che impersonò la linea dura nei fatti della Tienanmen nell'89. E' la misura più severa contro un alto dirigente dai tempi della rivoluzione culturale. Accusato di aver arraffato decine cu miliardi di lire, di elargizioni ad amanti e parenti, Chen, che era membro del Politbjuro, e agli arresti domiciliari da due anni, e sarà processato. E' la conclusione di una lotta politica interna, ma anche la conferma di una lotta alla corruzione, cresciuta con lo sviluppo economico. La commissione di disciplina ha reso noto di aver punito dal '93 a oggi oltre 600 mila funzionari per corruzione e abusi. Un altro personaggio della Tienanmen dovrebbe uscire di scena: il premier Li Peng, che per Costituzione non può avere un altro mandato. Il congresso sceglierà il suo successore tutto indica il vice premier Zhu Rongji, per anni bollato come destrista - e a primavera il tutto sarà formalizzato dall'Assemblea del popolo. Lascia anche, dopo oltre dieci anni, il ministro degli Esteri, Ctìan Qichen. Al suo posto dovrebbe andare una donna, Wu Yi, per anni ministro del Commercio estero: farà da contraltare, sulla scena mondiale, al segretario di Stato americano, Madeleine Albright. Fernando Mozzetti La riforma è presentata come la «terza tappa della liberazione del pensiero» In deficit due terzi delle imprese pubbliche, lo Stato non può più pagare Esce di scena per fine mandato Li Peng, nuovo ministro degli Esteri forse una donna