Lady S, una diva da tribunale di Massimo Gramellini

IL CASO IL CASO lady S, una diva da tribunale Stefania Ariosto, scene da un interrogatorio IL VIDEO SEQUESTRATO HfciiS'i tòt) BDUnoq BSf IH 1J.IU-7).U1LM 11) - ,-'<:n:Jft)H/tA. UESTO è il racconto di un primo piano. Il più lungo primo piano della storia del cinema. Quaranta minuti, quasi come un tempo di una partita di calcio o una dichiarazione ai tg del ministro Bassanini. Quaranta minuti e una telecamera fissa che inquadra il volto scavato e le mani nervose di una diva della nostra epoca, un'epoca dove le dive non vengono più costruite sui set di celluloide ma prelevate direttamente da quelli dei ricchi, purché abbiano i requisiti giusti: influenti, telegeniche, sventurate. Come lady Diana e lady Golpe. E come lei, lady Stefania Ariosto, la testimone Omega che nel 1996 fece perdere le elezioni al Polo e la pazienza e forse anche qualcos'altro a Cesare Previti, accusandolo in anteprima mondiale di corruzione. Il suo interrogatorio più celebre e drammatico, un incidente probatorio durato una settimana intera (24 maggio - 1 giugno 1996) e ripreso dalle telecamere a circuito chiuso del tribunale di Milano, è allegato come gadget al numero di Panorama oggi in edicola contro la volontà della protagonista, che ne ha chiesto il sequestro. Gli amanti del genere giudiziario potranno apprezzare il film, ma finirà per apprezzarlo persino lei, perché non ne esce così male come le accadde sui giornali all'epoca dei fatti e come forse speravano i suoi nemici. Quando alle parole si affiancano le immagini, il fascino corregge i giudizi e quasi sempre li migliora, rendendoli più magnanimi. L'Ariosto in bianco. Il film si apre con un'inquadratura che, a differenza dei vestiti, non cambierà più. La gamba sinistra sotto il sedere, lady Omega è appollaiata su una sedia che a giudicare dai suoi scatti nevrotici sembrerebbe coperta di serpenti o almeno di fotografie con dedica di Previti. Ha una giacca bianca da innocente, un paio di pantaloni alla caviglia e venti esaminatori di fronte, oltre la portata della telecamera ma non dei suoi occhi, che scappano in ogni direzione inseguiti dalle mani, aggrovigliate come i discorsi. La prima domanda dell'avvocato Pecorella le cade addosso con l'effetto soprannaturale delle voci fuoricampo. «E' mai stata condannata per qualche reato?». «Non mi sembra», risponde in fretta, ma si smarrisce quasi subito in una storia di assegni a vuoto e in un «ho anche un'altra cosa per custodia d'animali», dove la cosa parrebbe essere un procedimento penale a carico. Più che infida, l'Ariosto bianca sembra incauta: pur sapendo con chi avrebbe avuto a che fare - i difensori di coloro che lei accusa - ha affrontato l'esame con il candore incosciente degli impreparati. Ne sta pagando le conseguenze. Partita per nascondersi, è costretta a rivelarsi oltre il tol¬ lerabile, indugiando sui debiti e su altre angosce: «Per me giocare al Casino è una patologia. Ci andavo di nascosto, uscendo dalla porta di servizio, dopo la morte di mia figlia». L'Ariosto in giallo. Il secondo atto è una breve apparizione, dove il colore della giacca si intona perfettamente al mistero dei giudici alla corte di Previti «accovacciati sul denaro» in un rapporto «socialmente armonico» col padrone di casa. Lady Omega li descrive in una confusione di appartamenti, di nomi, di date. Le sue mani prensili seguono i pensieri e indugiano sulle gambe, risal¬ gono fino alle guance, tormentano con un paio di colpetti nervosi il petto, massaggiano i piedi, si agganciano esauste alle caviglie. L'Ariosto in blu. L'ultima, la più elegante, la più inquietante. Sicuramente la più intensa. La solita voce fuoricampo le chiede di descrivere la sala del circolo Canottieri in cui Braviti avrebbe allungato una busta al giudice Squillante. Lady Omega sembra un'intervista di Tomba o il ragionier Fracchia sul puff davanti al capufficio. Trascriviamo testualmente: «C'era tanti tavoli c'èeeeee poi una parte adibita io dico una specie di ingresso d'attesa poi cioè si entra in questa grandissima sala, ocg, mi pare». Si arrende: «Io signor presidente non lo ricordo, cosa devo dire?, sono passati dieci anni». Si arrabbia: «Avvocato, se lei mi chiede di che colore erano le salviette, io non ricordo!». L'ultima scena è un inedito. «La busta coi soldi l'ho tenuta in mano anch'io, per un attimo. Me l'ha data Silvana, la moglie di Previti, perché la controllassi mentre lei andava in bagno a far pipì. Non ho voluto dirlo in istruttoria alla dottoressa Boccassini, per dignità». E con una parola così imponente e così poco adatta a questa storia di inciuci, di buste e di toilette, cala il sipario sull'Ariosto in blu. Massimo Gramellini > >»:::. >•:••*• La videocassetta

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