L'Ulivo e la paura del sindacato di Gad Lerner

ènsioni scontro L'Ulivo e la paura del sindacato ènsioni scontro LA prima domanda, allora, è di quelle che innervosiscono parecchio il leader di.Botteghe Oscure, Massimo D^lema: contro le proposte di contenimento e riassetto della spesa previdenziale del governo, in cui siedono nove ministri del pds, potrebbe scatenarsi un movimento di lotta guidato dalle organizzazioni sindacali? Insomma, ci sarà una raffica di scioperi, assisteremo a un conflitto vero tra i vertici dell'Ulivo e la parte più organizzata della sua base sociale? Al punto in cui si sono messe le cose nessuno, ma proprio nessimo, può prevedere cosa succederà in Italia tra dieci giorni, diciamo a partire da domenica 21 settembre, quando Prodi non avrà più scuse e dovrà finalmente scoprire le sue carte. Chi lo avrebbe detto, per esempio, fino alla primavera scorsa, che contro la riforma si sarebbe saldato un inedito asse di irriducibili con alla testa, accanto a Fausto Bertinotti, niente meno che l'imprevedibile Pietro Larizza. C'è chi sostiene che il segretario della Uil voglia imitare l'omologo francese Marc Blondel, leader di Force Ouvrière: cavalcando la protesta contro i fondi pensione, quest'ultimo è passato da signor nessuno a protagonista della scena politica francese. Fatto sta che da mesi Larizza non perde occasione di dichiararsi ad alta voce contrario a qualsiasi intervento sulle pensioni d'anzianità, proprio come Bertinotti che in lui ha trovato una sponda preziosa. Per come è organizzato il vertice sindacale italiano, infatti, il potere di veto di una confederazione sulle altre risulta pressoché invalicabile, soprattutto quando si tratti di sottoscrivere intese tutt'altro che popolari. Sergio Cofferati e Sergio D'Antoni osservano un po' stupefatti l'esuberanza del mite Larizza, loro che a un'intesa sanno di doverci arrivare per cause di forza maggiore. Ma poi, a complicare le cose, anche i due Sergi si guardano in cagnesco fra loro, perché il tipo d'intesa che può risultare sopportabile alla Cgil non lo è per la Cisl e viceversa. Per Cofferati sarebbe sopportabile un'intesa che salvaguardasse il diritto alla pensione anticipata degli operai entrati in fabbrica non ancora diciottenni: qualche centinaia di migliaia di cinquantenni quasi tutti concentrati in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Ma D'Antoni teme l'eccessiva penalizzazione dei «suoi» dipendenti pubblici. Su questo punto è anche lui schierato con Bertinotti. Non parliamo poi delle associazioni di artigiani e commercianti, pronte anch'esse a gridare forte non appena il governo stabilisca l'aumento dei loro contributi pre¬ videnziali, oggi molto bassi e denunciati come inaccettabili dai confederali. Il bello è che con tutte queste forze in campo, e con tutte le sollecitazioni provenienti dagli industriali così come dalle più varie istituzioni dell'economia europea e mondiale, il governo non ha ancora tirato fuori la sua proposta. Sappiamo solò quel che sta scritto nel Dpef, peraltro votato anche da Rifondazione che però non se ne ritiene vincolata: la spesa previ¬ denziale non dovrà crescere più del Pil. Quindi, se ne deduce, andrà contenuta rispetto alle sue dinamiche attuali, ma soprattutto rimodellata nelle sue future modalità di erogazione. Anzi, a Palazzo Chigi fanno sapere di essere interessati a una razionalizzazione strutturale del sistema, più che a un forte risparmio immediato. Per ora, diciamolo, si tratta solo di parole e niente più. Il sindacato è infatti riuscito a spostare il recìde ratìonem al 21 settembre, cioè all'indomani della sua manifestazione antileghista indetta fin da luglio per sabato 20 settembre. Visti i modesti risultati della campagna anticonfederale di Bossi, tale mobilitazione appare per la verità esagerata e inutile. Ma ormai non la sposta più nessuno. E dopo? Al di là delle noiose diatribe sulla necessità di varare o meno la riforma del welfare entro il 30 settembre, data di presentazione della Finanziaria '98, cosa succederà in pratica? Succederà che finalmente il governo non potrà più sottrarsi e ci dirà che cosa intende fare delle nostre future pensioni (oltre che della lotta alla disoccupazione, dei nuovi ammortizzatori sociali, del- la politica per la famiglia). Già, sembra facile, ma come ce lo dirà? Potrebbe usare, ahimè, un linguaggio cifrato, indicando soltanto le somme che nel '98 s| vogliono risparmiare alla voce previdenza (dai 3 ai 5 mila miliardi), lasciando «coperte» le conseguenze pratiche e avviando una trattativa tutta sotterranea con i sindacati. Oppure viceversa potrebbe dire chiaro e tondo ai cittadini, oltre che ai sindacati, quali provvedimenti il governo dell'Ulivo ritiene necessari per garantirci e autofinanziarci la protezione sociale nel futuro. E' chiara la differenza. Nel caso di una proposta cifrata - solo numeri - assisteremmo poi a una lunga trattativa «coperta», a una discussione del tutto extraparlamentare, il cui destino sarebbe affidato a variabili di scambio più o meno politico tra le parti. E' lecito pensare che tale ipotesi non dispiaccia al pds e alla Cgil, portati a vivere traumaticamente un eventuale momento di conflitto generalizzato su questioni materiali. Mentre indurrebbe Rifondazione a rompere la maggioranza a dicembre, quando per forza un testo d'accordo si dovrà ben mettere per iscritto. Se invece il governo scoprirà prima le sue carte di fronte a una cittadinanza in trepida attesa, ne deriverà anche un confronto più lineare con i sindacati. Quasi certamente si passerà attraverso lo sciopero generale, Prodi dovrà concedere qualcosa ai lavoratori in lotta, ma alla fine il pallino delle trattativa resterà nelle mani delle confederazioni, costringendo Rifondazione a farsi portavoce delle istanze sindacali senza occupare il centro della scena. Probabilmente ne uscirebbe un pds sofferente, ma al governo sarebbe risparmiato l'ultimo ricatto dei rifondatori. Inutile aggiungere che tale ipotesi piace di più a D'Antoni e allo stesso Bertinotti. E poi ci sono Larizza, la protesta degli autonomi, i vari Cobas, le lobbies dei pensionandi d'oro... A questo punto è chiaro perché la crisi di governo che nessuno si aspetta e nessuno vuole potrebbe invece arrivare all'improvviso sconvolgendo la dinamica delle troppe forze in campo. L'unica ipotesi esclusa per ora da tutti i protagonisti della trattativa è proprio quella che era parsa così logica all'avvocato Agnelli: che la riforma del welfare passi con il voto decisivo di Berlusconi, oltrepassando il no di Bertinotti. Dare un segno così esplicitamente conservatore a provvedimenti che modificano le aspettative di milioni di persone, in Italia di sicuro condannerebbe tale riforma alla bocciatura nelle piazze e in Parlamento. E se invece alla fine non se ne facesse proprio niente? Se il governo, a furia di rinviare la presentazione dei suoi prowedimenti in materia di welfare, rinunciasse di fatto al riordino della spesa sociale? Tutto può darsi nell'Italia finora abituata piuttosto agli exploit straordinari che non alle riforme strutturali. Ma Prodi ha così platealmente legato il proprio destino a questa scommessa, di fronte all'opinione pubblica e di fronte alla comunità internazionale, che stavolta, a partire dal 21 settembre, è più probabile che gli tocchi proprio giocare il tutto per tutto. Gad Lerner Bertinotti e Larizza un inedito «asse» di irriducibili a eso chao il problema che lo assilla: non mi condizionerà il sì dei sindacati all'accordo sulla ri¬ Guerra dche ProdL'UlIl segretario del pds Massimo D'AJema Il segretario del pds Massimo D'AJema

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