Benevento al via Ecco O'neill all'ultimo suo inferno di Masolino D'amico
Benevento al via Benevento al via Ecco 0/Neill all'ultimo suo inferno BENEVENTO. I due interessanti spettacoli nuovi con cui si è aperto il Festival di Benevento sono in qualche misura, come ora si usa tanto, riscritture: Lars Norèn, di cui non riesco a diventare un ammiratore, ha riscritto, in un certo senso, «Il lungo viaggio verso la notte» di Eugene O'Neill; e il «wunderkind» Ruggero Cappuccio, ma lo aveva già fatto almeno un'altra volta, ha riscritto «Il Gattopardo». In «Nostre ombre quotidiane», dunque, l'autore svedese immagina che O'Neill vecchio, stanco e forzatamente astemio, impegnato in un battibecco continuo con la moglie che lo tiranneggia, riceva la visita dei due figli maggiori, falliti entrambi, buonannulla e alcolizzato il primo, drogato cronico il secondo. Per tre ore e mezzo, nella versione abbreviata e squisitamente curetta da Sandro Secali, il quartetto se ne dice di cotte e di crude, scoprendo altarini reciproci in un gioco che risente oltre che del capolavoro di O'Neill, di quelli rispettivamente dell'epigono Albee e dell'archetipo Strindberg, non senza qualche goffaggine didascalica - questa è infatti una di quelle commedie in cui i personaggi si comunicano quello che presumibilmente sanno già («Tu che non bevi da anni», «Tu che ti droghi», «Tua madre si chiamava Jenkins di cognome», e via dicendo). Eccellente tuttavia la recitazione del quartetto, con Francesca Benedetti come una Andreina Pagnani più crudele, i composti Roberto Trifirò e Pino Censi, e soprattutto un Franco Graziosi finissimo nel suggerire la fragilità e insieme l'ostinazione dello scrittore, al quale riesce anche a somigliare fisicamente in modo impressionante. Economica ma efficace la scenografia di Giuseppe Crisolini Malatesta, riposantemente illuminata, anche, per chi esce dalle tre ore di buio quasi ininterrotto di «Raccontinfiniti», zibaldone-laboratorio concepito e diretto da Cappuccio su testi non solamente suoi. Qui si comincia con un notevole esercizio del mimo Gilles Coullet che esegue una specie di nascita sbucando da un grande bozzolo di tessuto e facendosi spuntare gli arti da una specie di palla informe di carne in cui è riuscito a raggomitolarsi. Seguono parecchi episodi corali, quasi tutti nella penombra, coinvolgenti venti e più attori come popolani meridionali, di volta in volta siciliani e napoletani, che a quanto pare attraversano fasi di storia d'Italia; frasi e sequenze del Gattopardo, come accennavo sopra, segnano i momenti culminanti di questa specie di sabba poco decifrabile, benché suggestivo soprattutto sul piano della sonorità. Le cose non si chiariscono dopo l'intervallo, quando capire risulta sempre più arduo, e anzi a un certo momento una donna issata su di una specie di piedistallo declama con voce sgradevolissima, e in penombra, venti minuti di testi che il programma attribuisce al poeta ravennate Nevio Spadoni: per me e per il resto della sala potevano essere in olandese. Se il teatro è comunicazione, Cappuccio potrebbe presentare .i suoi spettacoli anche a sipario abbassato, magari con ima parete a specchio nella quale contemplare se stesso. Dopo il ravennate tuttavia inizia la discesa, c'è qualche ribobolo toscano a cura degli attori di Ugo Chiti; i morti ai Cappuccini comunicano al sopraggiunto Lampedusa che nell'aldilà si continua a sognare invano; Mimmo Cuticchio esegue un ammaliante assolo-cantilena di puparo. Masolino d'Amico Franco Graziosi Franco Graziosi
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