Predatore del Congo

Predatore del Congo personaggio il padre padrone dell'exzaire Predatore del Congo jjn saccheggio lungo trentanni OBUTU Sese Seko non ha potuto realizzare il suo sogno. Non è morto a casa sua; non è morto al potere. Lui che amava ripetere «non si dirà mai: ecco qua l'ex presidente dello Zaire, ma sempre e solo: ecco a voi il presidente Mobutu», è spirato esule in un ospedale marocchino. Brandendo il suo bastone di capo e con in testa l'eterno berretto in pelle di leopardo, era fuggito da Kinshasa il 16 maggio scorso. La ribellione nata ai confini col Ruanda nel settembre 1996, foraggiata dai Paesi vicini e dagli Stati Uniti, lambiva ormai le porte della capitale. Le truppe dell'«Alleanza delle forze democratiche per la liberazione del Congo» (Afdlc) di Laurent-Désire Kabila entrarono in città il giorno dopo senza combatterà; Mobutu ebbe appena il tempo di rifugiarsi nel palazzo di Gbadolite, sulle rive deirOubangui, nel feudo equatoriale della sua provincia natale. Al «Grande Leopardo» zairese non restava altra scelta che scappare a Lomé, nel Togo, dove arrivò il 18 maggio. Vi sarebbe rimasto solo fino al 23, quando partì per Rabat, in Marocco, presso il fedele amico re Hassan II. In realtà Mobutu avrebbe voluto recarsi alla sua villa di Roquebrune-Cap-Martin, sulla Costa Azzurra, ma le autorità francesi, dopo lo scioglimento dell'Assemblea nazionale, erano più preoccupate delle elezioni legislative che dell'ex presidente dell'ex Zaire, divenuto un amico piuttosto imbarazzante. Mobutu era giunto per la prima volta a Léopoldville (poi Kinshasa) all'età di 4 anni. Morto suo padre, ritornò con la madre al paesino sull'Equatore. Adolescente turbolento, fu espulso dalla scuola nel 1949 dopo una fuga a Léopoldville e arruolato per sette anni nell'esercito. L'amministrazione coloniale lo invia a Luluabourg (Kananga) dove Mobutu segue un corso da segretario contabile. Distaccato presso lo stato maggiore della Forza pubblica di Léopoldville, diventa capo contabile e responsabile di «Sango ya Bisu», la rivista dell'esercito. Promosso sergente (il più alto grado accessibile agli indigeni) il 1° aprile 1953, è congedato il 31 dicembre 1956 e diventa redattore di «Actualités africaines», dove incontra per la prima volta Patrice Lumumba, il militante anticolonialista che due anni dopo fonderà il Movimento nazionale congolese (Mnc). Mobutu partecipa poi alla «Tavola rotonda economica, finanziaria e sociale» che nell'aprile-maggio 1960 delibererà l'indipendenza. Nominato segretario di Stato presso la presidenza del consiglio, incaricato delle questioni politiche e amministrative nel primo governo di Patrice Lumumba (il Congo è divenuto indipendente a giugno), riceve l'incarico dal presidente della Repubblica Kasavubu di sedare i disordini nelle caserme, dentro le quali spira un vento di rivolta. L'ex sergente assume i galloni: nominato colonnello e capo di stato maggiore dell'esercito l'8 luglio, organizza un'equipe di tecnocrati e compie il suo primo colpo di Stato il 14 settembre 1960 con l'obiettivo di eliminare Lumumba. Questi fugge verso Stanleyville (Kisangani), dove si trovano i suoi fedeli, ma viene catturato, posto agli arresti domiciliari, incarcerato dopo un tentativo di evasione. Nel gennaio 1961 a Elisabethville (Lubumbashi) finisce in mano ai parti- IL TIn SvizzIn BelgiIn Francsulla CoIn PortoAltre pgna, LuCiad e STotale dlari (pa giani di un suo nemico giurato, il secessionista katanghese Moise Ciombé. Il cantore del nazionalismo congolese subisce atroci torture prima di essere assassinato in circostanze mai del tutto chiarite. Una cosa è sicura, la Cia americana - che aveva reclutato Mobutu - paventava i legami che Lumumba aveva cominciato ad allacciare con il comunismo internazionale. Mobutu viene «promosso» maggiore generale, comandante in capo delle Forze armate. Restituisce il potere ai civili nel febbraio, ma la sua posizione al¬ la testa dei militari si consolida sempre più. I rapporti fra il presidente Kasavubu e Ciombé, succeduto a Lumumba nella carica di premier, si logorano. Nell'ottobre del 1965 il presidente destituisce il primo ministro. Ciombé prende la via dell' esilio. Niente si oppone più all'ambizione di Mobutu. Il 24 novembre il generale rovescia Kasavubu. Mobutu si insedia al potere dove resterà per tre decenni. Mai potrebbe immaginare che Laurent-Désire Kabila, militante lumumbista della prima ora, uscirà nell'ottobre 1996 dall'oblio della storia per costringerlo a prendere, a sua volta, la via dell'esilio... Mobutu è «eletto» presidente della Repubblica il 6 gennaio 1966, e instaura nel giugno '67 un regime di partito unico, dopo aver creato il «Movimento popolare della rivoluzione» di cui tutti i congolesi sono «membri dalla nascita». Il 30 settembre 1970 è «rieletto» alla testa del Paese, come sarà regolarmente in seguito ogni sette armi. Dieci anni dopo l'indipendenza lancia la campagna per l'«autenticità» per «ripulire il Paese dalle scorie del colonialismo» e trasforma il Congo-Kinshasa in Zaire nell'ottobre 1971. Gli zairesi non si chiameranno più l'un l'altro «signore», ma «cittadino», e non sarà più permesso vestire all'occidentale. L'abito maschile con cravatta è sostituito dall'«abacost», una sorta di tunica chiusa fino al collo e indossata sopra i pantaloni. I nomi cristiani vengono africanizzati. Joseph Désire Mobutu diventa Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu wa Zabanga, che significa in «ngbandi», la lingua della sua tribù: potentissimo guerriero che grazie alla sua tenacia e alla sua inflessibile volontà passa di vittoria in vittoria seminando la desolazione al suo passaggio. Un nome che però ha anche una traduzione volgare meno pomposa: gallo invincibile che copre tutte le galline del pollaio. Nel 1974 la «zairizzazione» dei beni delle imprese porta alla nazionalizzazione delle compagnie minerarie che sfruttano le risorse del sottosuolo del Paese. Le riserve sono colossali. Rame, oro, diamanti, cobalto, manganese, argento, uranio, petrolio e gas naturale: non manca niente. Il Paese, così ben dotato, viene talvolta definito «uno scandalo geologico». Ma la distribuzione della ricchezza non beneficia i «cittadini» zairesi. Il maresciallo-presidente è il predatore numero uno delle ricchezze nazionali. Utilizza le casse della banca centrale come conti personali. I suoi parenti lo imitano appropriandosi delle ricchezze del Paese. Nel 1984 Mobutu è il numero 2 nella classifica degli uomini più ricchi del mondo. Sarebbe in grado di ripagare tutto il debito estero del Paese. Lui stesso si vanta, intervistato da una rete tv americana, di possedere 8 miliardi di dollari su un solo conto svizzero. La classe dirigente zairese lo imita e saccheggia sistematicamente il Paese trasferendo all'estero altri miliardi di dollari. Alla fine, Mobutu Sese Seko abbandona un Paese esangue, senza Stato né infrastrutture. Niente più funziona, tutto va a rotoli tranne che nelle ville dei quartieri residenziali, corollario della corruzione e del saccheggio dello Zaire. La democratizzazione annunciata il 24 aprile del 1990 è rimasta lettera morta. Mobutu promette il multipartitismo e contemporaneamente crea, o fa creare dai suoi sostenitori, una costellazione di partitini e una moltitudine di giornali. Specula sull'anticomunismo viscerale degli americani e approfitta delle regole dettate dalla guerra fredda per accattivarsi i favori dell'Occidente. E' il baluardo incrollabile, l'estremo bastione contro il progredire dell'influenza sovietica in Africa. Ma la caduta del Muro di Berlino provocherà anche la sua. Mobutu dichiarò una volta: «Non c'era lo Zaire prima di me, e non ci sarà più dopo di me». Questo, allo zenit del potere. Fródéric Fritscher Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» IL TESORO DI MOBUTU ALL'ESTERO In Svizzera 4 miliardi di dollari e una tenuta In Belgio 5 castelli, 4 case e una tenuta In Francia un appartamento a Parigi e 4 ville sulla Costa Azzurra In Portogallo una tenuta di caccia Altre proprietà Immobiliari in Italia, Spagna, Lussemburgo, Senegal, Costa d'Avorio, Ciad e Sud Africa Totale dei beni all'estero: 7 miliardi di dollari (pari al 70% del debito estero del Congo) Mobutu, Mandela e Kabila nell'ultimo tentativo di mediazione