Un amore nato e smarrito in ufficio

Un amore nato e smarrito in ufficio UN'UNIONE FINITA Un amore nato e smarrito in ufficio Sul lavoro i primi screzi tra Angelo e Rosaria CROMA HE cosa sia realmente accaduto nella mente di Angelo Sinisi, che cosa abbia prodotto quell'attimo di foiba che lo ha condotto a uccidere prima le proprie figlie e poi se stesso, nessuno è, né sarà mai, in grado di dirlo. «E' pazzesco», ripete, sgomento, il portiere della sua abitazione, Pietro Rocchi, senza capire. Eppure, è proprio negli attimi precedenti la chiave del mistero, in una sequenza di istanti durata 46 anni nei quali si indovina un dolore, un'ossessione: l'anticamera della follia. Angelo Sinisi aveva un passato da agente della Squadra Mobile. Per chiunque entri in polizia è il massimo: è l'azione, il fischio degli pneumatici di una volante lanciata negli inseguimenti, lo scatto delle manette intorno ai polsi di un delinquente. E' la strada, la corsa, l'adrenalina, la vita. Angelo Sinisi era esistito di questo fino a una decina d'anni fa, quando un nuovo mondo della polizia si aprì davanti a lui: quello della Polizia scientifica. Era un mondo energico, anche animato, ma procedeva a un ritmo diverso, meno nevrotico. Alla polvere della strada subentrava la polvere degli uffici, dei documenti, degli scaffali. Eppure, proprio la polvere era l'unico contatto con la vita precedente, ma si trattava della polvere da sparo. Per anni Angelo Sinisi l'aveva respirata nei poligoni di tiro, o nei momenti decisivi di un'azione. Ora proprio quella sua grande competenza doveva essere messa al servizio del lato nascosto e segreto del lavoro della polizia, quello delle indagini e degli esami. Angelo Sinisi divenne quello che in gergo viene definito «l'armaiolo». Chi lo ha conosciuto in quel periodo, non può fare a meno di ricordare i suoi racconti, interminabili, a volte persino esagerati, sulla vita precedente, quella della strada, della Squadra Mobile. Era la nostalgia, ma era anche normale: ogni agente passato dalla strada agli uffici porta con sé i mille aneddoti della vita precedente a ravvivare una routine, forse affascinante ma pur sempre routine. I racconti erano1 proseguiti anche nella fase successiva, quella in cui Angelo Sini si aveva ritrovato l'asfalto della strada, e veniva utilizzato come autista della Scientifica. Avevano sempre la stessa verve, e non era soltanto il fatto di avere interlocutori diversi dinanzi a sé a farlo accalorare così tanto con le parole, c'era anche qualcos'altro. Proprio negli uffici della Scientifica, Angelo aveva conosciuto una ragazza, Rosaria Scuderi, addetta alla tutela degli archivi, ai corsi e a una serie di servizi organizzativi. Riservata, silenziosa, seria, serissima: gli era bastato poco per innamorarsene perdutamente. Si erano sposati, erano andati a vivere in via Simone Martini, in un anonimo complesso di cinque palazzine tutte uguab, di duecento appartamenti tutti identici. Lì era iniziata la loro vita, tranquilla. L'ufficio era a poche centinaia di metri di strada, e i genitori di Angelo erano a un palazzo e cinque piani di distanza. La domenica ci si vedeva tutti a casa dei genitori per il pranzo. Gli altri giorni si seguiva il ritmo dettato dai piccoli e grandi eventi di un'esistenza normale: due figlie giunte a distanza di tre anni l'una dall'altra, il trasferimento al magazzino, i saluti scambiati con il portiere, l'amicizia con alcuni vicini di casa, quella pacatezza che fa dire ora a Pietro Rocchi, il portiere: «Era proprio una brava persona. Non riesco proprio a capire come sia potuto accadere un fatto così grave. Io l'avevo visto l'ultima volta sabato e mi aveva accolto, dopo il ritorno dalle mie vacanze, con la consueta gentilezza. Qui non è una cosa che capita spesso. Gli inquilini sono tutti in affitto e non di rado arriva gente nuova». Quella pacatezza che fa scuotere la testa di una vicina per dire «l'ho incrociato qualche volta, non ho mai avuto l'impressione che potesse far male a qualcuno. Povera famiglia». Quella pacatezza che aveva relegato in chissà quale piega della memoria gli anni della Squadra Mobile e la sua vogha di parlarne. Non c'era più verve, non c'era più calore nei suoi racconti, di tanto in tanto affiorava qualche screzio con quella moglie compagna di ufficio. Gli screzi scomparvero quando una disposizione del Viminale decise che marito e moglie non potevano dividere lo stesso luogo di lavoro. Angelo fu trasfe¬ rito alla Centrale Anticrimine. Ma gli screzi scomparvero dalla Scientifica, non 'dalla vita della coppia. Violenti, ossessivi, continuavano dentro casa. Un anno e mezzo fa Angelo andò in pensione. Era la fine di ogni sogno covato in gioventù, l'ammissione davanti a se stesso, alla moglie, alla madre del proprio fallimento. Rimanevano la moglie e le fighe. Sette mesi fa Rosaria, decise di abbandonarlo. Rimanevano le fighe, una volta la settimana. Fino a domenica sera, quando in un attimo di follia, Angelo ha deciso di voler tenere per sempre con sé l'ultimo frutto che la vita gli aveva lasciato. Flavia Amabile Per mettere fine alle incomprensioni nella coppia era intervenuto il Viminale disponendo che lui fosse trasferito Sopra: la babysitter, a sinistra, delle due bambine uccise dal padre poliziotto giunge sul luogo della tragedia. A sinistra: agenti della scientifica compiono i rilievi sulla vettura del dramma

Persone citate: Angelo Sini, Angelo Sinisi, Flavia Amabile, Pietro Rocchi, Rosaria Scuderi