Va avanti un progetto russo-tedesco

Va avanti un progetto russo-tedesco Va avanti un progetto russo-tedesco SEI maggio 1937: durante l'atterraggio a Lakehurst, negli Stati Uniti, s'incendia il grande dirigibile tedesco Hindenburg, pieno d'idrogeno: in 32 secondi diventa un mucchio di rottami fumanti. Il disastro segna la fine per la navigazione aerea affidata al galleggiamento. Sessantanni dopo, l'idrogeno viene riproposto non perché è più leggero dell'aria, ma perché può essere usato come combustibile. Già nel 1956 gli Stati Uniti progettarono un bombardiere B57 a idrogeno: allora, però, la disponibilità di petrolio scoraggiò sviluppi concreti. La situazione oggi è diversa: lo spettro della crisi energetica e i timori per un aumento dell'effetto serra (legato al consumo d'idrocarburi) incombono sulle prospettive del secolo venturo. L'idrogeno diventa perciò allettante, perché può derivare da fonti non fossili, e perché bruciando non genera biossido di carbonio. Non elimina tuttavia la formazione di vapor d'acqua, che pure ha un effetto serra; anzi, un jet a idrogeno ne scaricherebbe di più di quelli convenzionali. Bisogna però ricordare che, se vediamo nel cielo le scie degli aerei a reazione, ciò significa che a quelle quote il vapor d'acqua si trasforma in cristalli di ghiaccio: neppure le nuvole, del resto, sono ammassi di vapore (se lo fossero, sarebbero invisibili). Anche il ghiaccio ha un effetto serra, che però diminuisce con l'aumentare della grandezza delle particelle: quelle formatesi nello scarico d'un motore a idrogeno dovrebbero essere più grosse e quindi poco importanti. Queste le previsioni della Daimler-Benz, impegnata nel progetto insieme con ricercatori russi. Ma, considerazioni ecologiche a parte, voi ci salireste su un aereo che avesse fatto il pieno d'idrogeno? Bene: sembra che il nuovo combustibile non rappresenti un problema, quanto a sicurezza, almeno con i mezzi oggi disponibili. A differenza del cherosene, l'idrogeno, che in volo deve essere trasportato come liquido per ovvie ragioni di spazio, se fuoriesce per un incidente, evapora in fretta e, se s'incendia, brucia verso l'alto, anziché dar luogo a tappeti di fiamme. Soltanto se si mescola con l'aria in un ambiente chiuso può provocare esplosioni: i 200 mila metri cubi d'idrogeno dell'Hindenburg bruciarono senza esplodere. Di più: del calore sviluppato da una fiamma a idrogeno non viene irraggiata lateralmente che una minima parte; se i serbatoi fossero sopra la fusoliera, in caso d'incendio questa basterebbe a isolare le persone al suo interno. L'idrogeno liquido, se usato nell'aviazione civile, imporrebbe grossi sforzi per la produzione, la conservazione e la distribuzione. Esso bolle a 253 gradi sotto zero; sicché evapora in pochi istanti da recipienti che non siano ben isolati. Le pareti che lo contengono devono dunque essere assai spesse, con aumento dell'ingombro. Inoltre il peso specifico dell'idrogeno Uquido è molto basso: per trasportarne un certo peso occorre un volume grosso. Quest'inconveniente è compensato solo in parte dall'alto contenuto energetico, che a parità di peso è maggiore di quello del cherosene. Tutto sommato, per non diminuire l'autonomia del velivolo si richiedono serbatoi quattro volte più ingombranti di quelli tradizionali. Il Cryoplane, così si chiamerà l'aereo, avrà dunque per tutta la sua lunghezza una gobba abbastanza vistosa. La Daimler-Benz punta a voli dimostrativi nell'anno 2000: cinque anni dopo dovrebbe entrare in servizio. Per l'approvvigionamento del combustibile c'è fm dal 1986 un programma di ricerca euro-canadese. L'obiettivo è sfruttare, allo stadio di progetto pilota, cento megawatt d'energia idroelettrica (cioè pulita e rinnovabile) prodotta nel Quebec, immagazzinandola sot¬ to forma d'idrogeno ottenuto per elettrolisi dell'acqua. Quest ultimo può essere convenientemente conservato e trasportato in due modi: o come idrogeno liquido o come prodotto temporaneo d'una reazione chimica. Con catalizzatori opportuni si può sommare idrogeno al toluene (abbondante idrocarburo della serie aromatica), ottenendo un nuovo idrocarburo, che poi, con altri catalizzatori, può restituire l'idrogeno nel posto e al momento in cui serve. Se si farà la prima delle due scelte, occorreranno navi adatte: si pensa a scafi che ospitino ciascuno cinque serbatoi da tremila metri cubi, isolati termicamente in modo che le perdite per evaporazione siano trascurabili fino a cinquanta giorni di stivatura. L'istituto federale tedesco per i materiali ha dichiarato che non avrebbe nulla in contrario al traffico di navi del genere: dal punto di vista della sicurezza, non ci sarebbero rischi maggiori che nel trasporto dei gas liquidi ora largamente impiegati (propano e gas naturale). La World Energy Network, sostenuta dal Giappone, progetta navi idrogeniere gigantesche, in grado di trasportare duecentomila metri cubi. Tornando all'impiego dell'idrogeno liquido nella propulsione, è interessante sapere che il centro europeo di ricerche di Ispra lavora a un battello da provare sulle acque del Lago Maggiore, mentre sulle strade circolano due autobus prototipo (uno tedesco e uno belga). La francese Air Liquide ha già in funzione condutture per trasportare idrogeno liquido a grande distanza in Francia, Belgio e Stati Uniti. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa

Persone citate: Gianni Fochi

Luoghi citati: Belgio, Francia, Giappone, Ispra, Stati Uniti