COMPAGNI D'AMORE IN CERCA DEL PADRE

LA LETTERA LA LETTERA GENTILE Direttore, nelle cronache dei fatti accaduti quest'estate sulla Riviera Romagnola, La Stampa si è distinta per la precisione dei resoconti e l'equilibrio dei toni. Grande è stato dunque il nostro stupore nel trovare, nelle pagine di Tuttolibri, una vignetta di Maramotti dove Riccione passa come luogo rinomato per gli stupri. Ora, voler precisare che nessuno dei fatti in questione si è svolto nel territorio di Riccione, ci renderebbe forse meritevoli di una satira dalla grana tanto spessa. E d'altronde sappiamo bene che non esiste legge a sanzione del cattivo gusto. Ma siamo certi il suo giornale vorrà per il futuro, come peraltro aveva fatto finora, dare conto nel modo più corretto di quanto avviene, mentre saprà anche farci sorridere con forme di umorismo più consone alla vostra grande tradizione. I più distinti saluti. Mi Mii Massimo Masini sindaco di Riccione Solo un turista modaiolo in cerca di avventure yemenite poteva confondere Riccione con Rimini. Del resto non si può stare tranquilli nemmeno in Maiella. Forse quel giorno avevo mangiato un bombolone di troppo, ma i romagnoli sono eccellenti battutisti e sanno che ci vuol altro per modificare l'immagine della loro riviera. Sono lusingato che qualcuno abbia letto con tanta attenzione una mia vignetta. E perdi più prendendola sul serio. } ■*■ [d.m.] colte e introdotte da Ossola, con versioni e note di Linda Bisello, in un libro straordinario già a partire dall'avventuroso e fortuito reperimento dei testi che lo compongono, a documentare l'Itinerarium mentis in nihilo compiuto dalla coscienza barocca: dal Nihil di Iean Passerat alla Metafisica del niente di Emanuele Tesauro. Qui tra sottigliezza e arguzia, gioco e smarrimento la verità del nulla è colta con una esattezza che il nichilismo più storicamente noto (romantico, nietzscheano, novecentesco), perturbato dalla décadence e dalla complessità tecnologica, non potrà più raggiungere. E in ciò è il vero paradosso, perché facendo del nulla anzitutto un gioco logico e retorico, il Seicento ne fa affiorare come niente tutta la complessità ontologica, la parentela profonda con Dio, la familiarità inequivocabile con il pensiero. L'avventura inizia con alcuni testi dedicati a Nessuno, personaggio straordinario. Come sottolinea Théodore Marcile giocando sulla duplice valenza semantica del nome e del pronome negativo che già confuse Polifemo, «Nessuno è in nessun luogo e dappertutto contemporaneamente», «Nessuno ignora anche le cose che sa: a tal punto è silenzioso», «Nessuno ad un tempo è sazio ed ha fame, ha caldo e freddo: con nessun aiuto Nessun può tutto»; si vedano anche i ringraziamenti profusi da Emilio Porto, che ricorda: «Quando Porto giunse per la prima volta in Germania Nessuno lo condusse con tutti gli onori nelle più belle e fortificate dimore dei principi... Nessuno appena udì il suo nome e la sua venuta, allestì sontuosi palazzi». Lo stesso effetto si riproduce nel Nihil del rienniste Passerat, dove si lamenta l'assenza di una tradizione apologetica sul nulla, il quale è in verità «più prezioso dell'oro e delle perle», e l'assunto è argomentato con un elenco di titoli di merito: «niente è più gradevole del giorno chiaro», «niente è più delizioso dei giardini in primavera», «niente è più grande e splendido della virtù», e infine, sfiorando la bestemmia: «niente supera la grandezza di Dio onnipotente». Dal gioco logico-grammaticale all'indagine metafisica il passo è molto breve, e nel De nihilo di Matthaeus Frigillanus ci troviamo di fronte al nulla co¬ me origine della creazione, e «luogo» delle cose: poiché ciascuna cosa sta nel nulla, e ne è avvolta. La parte centrale del libro è dedicata ai testi di. una querelle sul nulla che impegnò accademici e libertini tra Venezia e Parigi nel 1634-'35. L'esordio è il Discorso in lode del niente di D. Giuseppe Castiglione, che ripete quasi letteralmente gli argomenti di un altro celebre nullista, il carolingio Fredegiso di Tours, autore di una nota «Epistola de substantia nihili et tenebrarum». Dio creò il mondo ex nihilo, argomenta Castiglione e nulla era prima del mondo. Ciò significa che il nulla è la sostanza stessa delle cose: «non erano gli uccelli: chiamò Iddio il Niente, il quale cambiato in uccello, impennando l'ale, si spiegò. .avolo per le spaziose campagne dell'aria. Non erano i pesci: chiamò Iddio il Niente, il quale prese di pesce la forma e le qualità, cominciò a nuotare per lo liquido eterno...». Le speculazioni proseguono con Luigi Manzini, che con una strana elaborazione grafematica dimostra che nella parola «homo», tolto Dio (la M, una e trina come l'essenza di Dio) non rimane nulla poiché le due «o» sono zero, e l'h è una non-lettera: cosicché l'uomo è un nulla senza Dio. Seguono il neo-parmenideo conte Raimondo Vidai, che scrive a confutazione dei predetti II «Antiche memorie» del Seicento ritrovate e raccolte da Carlo Ossola: questione centrale nella storia del pensiero; la ricerca delle orìgini e dì Dio niente annientato, e le dotte considerazioni del libertino Jacques Gaffarel su Nulla, quasi nulla, meno di nulla, dove con una analitica logico-grammaticale che avrebbe suscitato ammirazione e invidia in Bertrand Russell, si penetra il significato dell'asserto «il nulla è nulla». Come scrive Ossola, il fatto che il nulla giunga nel Seicento all'estrema autorivelazione di effetto logico, gioco retorico e abisso ontologico, non è casuale. Nella cri¬ si della coscienza e delle scienze seguita al «disarticolarsi del sistema aristotelico», i «regni secenteschi del nulla» si estendono sui territori che una volta furono dell'uomo, «roi dépossedé», secondo l'espressione pascaliana. Qui l'anomalia si trasforma in paradigma, il paradosso in «modello», e il libro restituisce «la ricchezza e lo smarrimento» di questa evidenza. Franca D'Agostini COMPAGNI D'AMORE IN CERCA DEL PADRE ■m t|ON ultimo motivo di interesse di \\ Compagni d'amore, che lo psichiatra 11] e psicoterapeuta Vittorio lingiardi ha ■ dedicato a un colto e raffinato vagaA_±J bondaggio nella mitologia dell'omosessualità (Cortina, pp. 256, L. 36.000), è constatare, testi alla mano, come Freud e Jung, malgrado il loro coraggio pionieristico, abbiano espresso sull'omosessualità opinioni fortemente contraddittorie. Arresto nell'evoluzione e perversione (Freud), infantilismo associato alla dipendenza dall'immagine materna e disturbo nella relazione con l'archetipo dell' Anima (Jung): sono queste alcune delle affermazioni più tradizionali e conservatrici. Alle quali peraltro si oppongono, in altri scritti, idee molto più aperte. Così Freud mette in discussione il nesso tra la pulsione sessuale e l'oggetto sessuale, il che significa non dare più per scontata la naturalità della scelta eterosessuale; e Jung riconosce nell'orientamento omosessuale la possibilità di seguire percorsi individuativi originali. d li guire percorsi indviduativ ogTutto ciò permette di sottolineare quanto problematica sia divenuta nell'età moderna la legittimazione dell'omosessualità. Che è poi una parola coniata nel clima positivistico del tardo Ottocento, a testimoniare l'appropriazione medico-scientifica di un'area essenziale del comportamento umano e il tentativo di negarne la sostanza fantastica che, come si sa, nei rapporti amorosi è tutto. A libro di Lingiardi non è però una storia sistematica delle idee sull'omosessualità. Si tratta piuttosto di quello che egli stesso definisce «una lunga libera associazione» sul tema, nella quale confluiscono frammenti clinici, suggestioni mitologiche, ricordi storici (omosessualità e nazismo), testi letterari (Hòlderlin, Whitman, Proust, Pasolini, Penna...), evidenze iconografiche (le tante rappresentazioni di Ganimede rapito e di san Sebastiano, ma anche i fumetti di Batman e Robin), biografie illustri (Michelangelo, Leonardo) e qualche supporto teorico di matrice hillmaniana. Il tutto impaginato con molta eleganza, in un testo che intreccia il gusto del ^ dettaglio e l'ariosità dello stile, ma non riesce a sottrarsi a un sospetto di estetismo. Pur nella varietà dei percorsi, due sono essenzialmente gli scopi del volume. Il primo è quello di dissolvere la nozione di omosessualità come categoria psicologica unitaria, di sottrarla ad ogni relazione con l'universo delle spiegazioni scientifiche, di farne una scelta la cui legittimazione non rinvia a nulla fuori di sé, o meglio trova fondamento solo nella fantasia che l'ha generata. Posizione certo suggestiva, anche se forse alquanto reattiva, poiché - se è giusto considerare l'omosessualità come una mera variante del comportamento sessuale, non suscettibile di giudìzi etici, giuridici e di adeguatezza psicologica - è pur sempre legittimo chiedersi in base a quali percorsi certe persone giungano a una scelta omosessuale ed altre ad una eterosessuale, soprattutto quando si tratta di scelte esclusive. Una volta ammesso che anche l'eterosessualità è una scelta limitante, non si può negare il limite inerente all'omosessualità, e dunque interrogarsi sull'origine e il significato di tale limite. Difatti l'Autore - e questo è il secondo tema del saggio - mostra una netta preferenza non dirò per una spiegazione ma quanto meno per una delle possibili ipotesi di comprensione dell'omosessualità: quella che la colloca all'interno di un modello di iniziazione spirituale, quale è adombrata nella vicenda mitologica di Ganimede rapito da Giove. Si tratterebbe cioè del riflesso esterno di una ricerca interiore di paternità spirituale. Rovesciando apparentemente la spiegazione tradizionale, Lingiardi vede nella scelta omosessuale non già il sintomo di una mancata separazione dalla madre ma uno strumento per liberarsi dal soffocante abbraccio materno e per «entrare più profondamente in contatto con il proprio essere maschi». La teoria è catturante ma si presta a un'obiezione che ne riduce la specificità: lo stesso itinerario di ricerca che Lingiardi legge nell'atteggiamento omosessuale è facilmente documentabile in tante persone che omosessuali non sono. Augusto Romano PER ESSERE UN POPOLO SERVE UNA RELIGIONE ■wIL tempo dei profeti», di Paul BéniI chou (Il Mulino, pp. 649, L. 60.000), è 1 un affresco che riporta alla luce i liI neamenti dell'umanitarismo france* I se dell'Ottocento. Oggi in gran parte dimenticato, o assimilato ad una generica filosofia che predica il rispetto e la compassione verso l'umanità, l'umanitarismo fu invece un importante movimento intellettuale fondato sulla fede in un destino collettivo dell'umanità che comprende e supera le infinite storie e i vari destini degli individui. Fu un movimento ibrido, che cercava di fondere in un'unica prospettiva teorica, la fiducia luministica nella perfettibilità del genere umano e la certezza cristiana della redenzione finale dell'umanità. Attirò tanto i liberali educati al principio della critica razionale, quanto i cattolici legati all'accettazione del dogma. Per molti diventò una nuova fede che sostituì, con l'ideale laico dell'umanità e del popolo, la vecchia religione irrigidita e impoverita nell'arbitrio della gerarchia e nelle forme vuote del culto. Per i seguaci dell'umanitarismo, il popolo e l'umanità avevano tutti i caratteri della vecchia divinità, e per questo potevano prendere il suo posto senza lasciare un vuoto spirituale. Diversamente dal popolo dei liberali, che è essenzialmente una moltitudine composita di bisogni e di volontà, quello degli umanitari è una comunità vivente che incarna sulla terra il disegno della Provvidenza. Comprende in sé tutti coloro che soffrono e che meritano, e per questo è il vero organo di Dio. Conosce istintivamente la giustizia e il bene, ed è pronto ad accogliere in sé tutti coloro che sono capaci di devozione all'ideale. Come scriveva Edgar Quinet, uno dei più influenti propagandisti della nuova fede, Dio non è scomparso; ha cambiato dimora. Non abita più nelle chiese, ma nello Stato laico. L'uguaglianza, la solidarietà e la fratellanza annunciate da Gesù si sono finalmente realizzate nelle nuove istituzioni nate dalla Rivoluzione del 1799, e vivono nella nuova umanità che essa ha creato. '■Come la vecchia fede cristiana, anche l'u- Ricordi manitarismo ha i suoi sacerdoti, primi fra tutti il poeta e lo storico. Al primo spetta il compito di esprimere il bello e il buono in forme comprensibili a tutti, dare una rappre sentazione scultorea dei grandi uomini, costruire il culto dei santi laici che si sono sa crificati per la libertà dei popoli. H secondo, come scriveva Jules Michelet, il vero pontefice massimo dell'umanitarismo, deve essere «l'ombra viva e fugace» che fa vivere i popoli scomparsi, interpreta la profezia del passato, coglie la premonizione insita nella vicenda dell'umanità antica. Nella sua analisi, che a volte ondeggia fra i testi senza tenere saldamente in mano il filo dell'interpretazione e della narrazione, Bèni chou muove all'umanitarismo la critica di essere stato un movimento teoricamente confuso che oscillò sempre fra l'adesione al principio della libertà individuale e il bisogno di vedere l'individuo come parte di una sto ria provvidenziale. Sottolinea anche, in mo do un po' anacronistico, che per la sua fede nella futura redenzione dell'umanità, l'umanitarismo si è trovato disarmato di fronte all'utopia del totalitarismo comunista. L'aspetto più significativo dell'umanitarismc ottocentesco consiste tuttavia nel fatto che i suoi propugnatori avevano capito che la democrazia ha bisogno, più di ogni altro regime politico, di un sentimento religioso che rafforzi nel cuore del popolo il senso del do vere: avevano capito che «la libertà è me schina e ha bisogno di leggenda». Per raccon tare leggende che tocchino l'immaginazione del popolo ci vogliono poeti, profeti e storici, o una qualche combinazione degli uni e degli altri, come furono appunto gli umanitaristi. La retorica di un Quinet o di un Michelet suona oggi arcaica e artificiosa. Ma contribuì a irrobustire la religione civile dei francesi, a rafforzare nel cuore di molti la convinzione di appartenere a un popolo e dunque di avere verso di esso degli obblighi. Ne possiamo fare anche a meno, per carità. Basta poi non lamentarsi che non siamo un popolo. Maurizio Viroli