UN SOLDATO DI OMERO SCOPRE L'ITALIA.

UN SOLDATO DI OMERO SCOPRE L'ITALIA. UN SOLDATO DI OMERO SCOPRE L'ITALIA. Courier tra '700 e '800 sogna l'Europa unita LETTERE DI UN POLEMISTA P. L. Courier a cura di A. Motta Sellerio pp. 175 L 25.000 non sono mai gli uomini a scegliere, ma è la storia a scegliere per loro. Per il resto, diviso com'è tra un passato irrecuperabile e un futuro indecifrabile e tra due mondi e due culture che il Mediterraneo sembra sempre più nettamente separare, oscula tra passatismo e utopia, due estremi non proprio inconciliabili se è ugualmente vero che «l'aweaire non abita tra le mura del passato» e che «l'avvenire è fatto delle nostre nostalgie». E gli Scali del Levante evocati dal titolo - Chio, Aleppo, Beirut e tutti gli altri porti franchi disseminati lungo la rotta tra Costantinopoli e Alessandria, in cui per secoli uomini di tutte le razze hanno potuto liberamente parlare la loro lingua e professare la loro religione possono davvero per un istante apparire una «reminiscenza remota» e insieme una «prefigurazione dell'avvenire». Giovanni Sogliole LETTERE DI UN POLEMISTA P. L. Courier a cura di A. Motta Sellerio pp. 175 L 25.000 PESSO antologizzato negli itinerari standard del Grand Tour, Paul-Louis Courier avrebbe ben diritto di rivendicare la sua posizione di «indipendente» tra i precursori «dell'Europa Unita». Come pochi dei connazionali (ma anche dei più avventurosi inglesi e tedeschi nel Sette e Ottocento) egli penetra le cangianti fisionomie del nostro Paese, filtra e giudica - oltre il passaparola - alla luce delle esperienze dirette, talora crudeli, acquisite in veste di soldato. Uno specialissimo soldato rapito dal mondo classico, che si commuove e urla di gioia per un'epigrafe, un reperto, un raro testo greco intercettati in questa o quella contrada della Penisola. ii l 1772 l ( dii ò gNato a Parigi nel 1772, scolaro precoce (a tredici anni può vantare un'eccezionale dimestichezza con la lingua latina) e ribelle alla disciplina del collegio, è poi costretto a subire la volontà del genitore che lo indirizza al mestiere delle armi. Mestiere abbracciato quasi per contrappasso, tenendo a freno come meglio gli riesce, e finché gli riesce (cioè fino alle dimissioni dall'armata nel 1809), il mordace spirito giacobino. pamphlets contro ogni fanatico sussulto della storia: Rivoluzione, Impero o Restaurazione che sia. Autore non troppo amato dai contemporanei e assai caro a Leonardo Sciascia, cui il volume è dedicato, il personaggio che emerge dalle lettere metterebbe in serio imbarazzo un ritrattista Del periodo italiano (circa un decennio, che si conclude nel 1812) è testimonianza l'epistolario ora tratto da Lettres écrìtes de France et d'Italie, a cura di Antonio Motta, sotto il titolo Lettere di un polemista. Il titolo felicemente connota e ingloba il Courier della Pétition aux deux charnbres eÀ del Pamphlet des pamphlets contro ogni fanatico sussulto della storia: Rivoluzione, Impero o Restaurazione che sia. Autore non troppo amato dai contemporanei e assai caro a Leonardo Sciascia, cui il volume è dedicato, il personaggio che emerge dalle lettere metterebbe in serio imbarazzo un ritrattista che volesse fissarne 1'«unicità». Almeno due anime, entrambe radicali, si giustappongono nel comandante francese in marcia da Piacenza a Taranto, da Crotone a Milano, dall'adorata Roma a Bologna e a Napoli, da Pescara a Parma; l'ima, candida, idilliaca, bramosa di decifrare sparsi documenti dell'antichità, che si accende di entusiasmo per Dafni e Cloe, per Isocrate o Erodoto, che progetta la traduzione di due trattati di Senofonte sulla cavalleria, e quotidianamente si ciba di Omero; l'altra, dura, spregiudicata, addirittura cinica («Sogno notte e giorno come ammazzare persone mai viste: non è divertente?», scrive alla cugina Elizabeth Pigalle, da Mileto, il 25 ottobre 1806), allorché rievoca una sanguinosa rappresaglia, la ritirata dell'esercito borbonico, una città saccheggiata dai banditi del cardinal Ruffo o la condizione abituale di vaste aree del Mezzogiorno: «Si rapinano i passanti, si rapiscono le fanciulle; si ruba, si viola, si massacra. Quest'arte diviene una risorsa onesta per i monaci smonacati, gli abati senza benefici, gli avvocati senza clienti, i doganieri senza contrabbando...». E in una lettera da Lecce, godendo a occhi socchiusi il dolce maggio salentino: «Da qualche mese non ci battiamo più e, in verità, nemmeno siamo più battuti. Viviamo tranquillamente senza fare né la guerra né la pace; e io percorro questo regno come una terra che avrei voglia di acquistare. Mi fermo dove mi piace. Qui non c'è un buco che non abbia qualche attrattiva per la natura e l'antichità. Ah! L'antico e la naturai Ecco ciò che mi affa- Escono da Sellerio le «Lettere di un polemista» di Paul-Louis Courier, un autore caro a Sciascia, testimonianza del suo Grand Tour in Italia a inizio '800 sema». Arnmirazione calda, ai limiti della piaggeria, è riservata a chi (si veda Monsignor Marini) pazientemente lo aiuta nella ricerca filologica; mentre indulgenza bonaria, se non plenaria, si merita il marchese Tacconi che gli consente di praticare delizie bibliografiche ignorate dal padrone di casa. E quindi, con rattenuta indignazione, prende corpo «l'affaire della macchia d'inchiostro» ripetutamente descritto ai diversi destinatari: «Ho trovato a Firenze un pezzo inedito di Longo Sofista. Nel copiarlo, non so come, si è imbrattato d'inchiostro, cancellando una ventina di parole: questo è tutto. Ma ii bibliotecario, un certo Fu-, ria, è inconsolabile, né perdona la piccola scoperta in un manoscritto che ebbe a lungo tra le mani: di qui la rabbia». E aggiunge: «I pedanti suoi amici, come potete immaginare, fanno coro insieme a tutto il canagliume letterario in odio dei francesi. Si chiamano letterati in Italia coloro che sanno leggere la scrittura a stampatello, classe poco numerosa e parecchio disprezzata». L'accusa, esplicita o strisciante, è di manomissione a fini speculativi. Courier speculatore, Courier truffaldino! Un paradosso, un demenziale tiro al bersaglio che amaramente lo accompagneranno nel ritiro della Touraine. Lui che pubblicava a proprie spese o col contributo di probi librai; lui che soleva donare il frutto di rigorose indagini solo a chi gli garantisse intransigenza critica e perfezione tipografica; che buttava all'aria ogni vanagloria («Evitate di metterci il mio nome o altro che mi nomini», è la preghiera ricorrente) e che magari avrebbe combattuto da ribaldo in terre barbaresche piuttosto che cedere una creatura poetica alle astuzie del mercato!... Se già non avesse avuto in sorte l'artiglio del libellista sarebbe andato volentieri all'inferno per procurarselo. Giuseppe Cassie^