WERTHER IL BESTSELLER CHE NON ARRICCHÌ GOETHE di Luigi Forte

WERTHER, IL BESTSELLER CHE NON ARRICCHÌ' GOETHE WERTHER, IL BESTSELLER CHE NON ARRICCHÌ' GOETHE 77 genio e i suoi editori: la difficile conquista dei diritti d'autore Amln Maalouf. J^Sopra "Goethe visto da Warhol la rapidità del più francese dei récits ed è strutturato in modo da frenare ogni deriva della fantasia ed assumere un valore di testimonianza. Chi la rende - a un interlocutore occasionale che non si limita a provocarla e raccoglierla, ma la integra e la convalida - è lo stesso protagonista ormai vecchio, tornato a Parigi per un appuntamento che ha il sapore di un'ultima, impossibile scommessa col destino. E non solo si preoccupa di puntellarla con precisi e verificabili riferimenti storici, ma fa ogni sforzo per prenderne le distanze, sia ridimensionando il proprio ruolo (celebrato come eroe libanese della Resistenza francese, se ne considera niente più che un «cottimista»), sia rifiutandosi di trarre dalle tormentate vicissitudini personali e storiche in cui si è trovato coinvolto una lezione di raggiunta saggezza. l dll i gg ggSe una cosa nel corso della sua vita avventurosa ha imparato,,! che GOETHE E I SUOI EDITORI Siegfried Unseld trad di V. Di Rosa e G. Oneto Adelphi pp. 568 L. 90.000 GOETHE E I SUOI EDITORI Siegfried Unseld trad di V. Di Rosa e G. Oneto Adelphi pp. 568 L. 90.000 ON basta dire: vai dove ti porta il cuore perché fiocchino i milioni. C'è riuscita la Tamaro, Goethe no. Eppure ce l'aveva messa tutta, perché se qualcuno ha seguito il cuore fino in fondo, è stato il suo Werther. Un sentimentalone in vena di assoluto. Uno che col suicidio per amore ha inventato una moda. E furono non pochi a imitarlo in tutta Europa spappolandosi il cervello con una revolverata. E molti, moltissimi furono i suoi lettori. I dolori del giovane Werther è stato il più grande bestseller tedesco. Secondo il critico Walter Benjamin, forse il maggior successo letterario di tutti i tempi. Nelle botteghe si vendevano statuette di porcellana raffiguranti il protagonista e perfino un'eau de Werther. Il cuore porterà male, però rende a chi gli confeziona una storia su misura. E invece no, ecco il paradosso. Goethe col Werther pubblicato dall'editore Weygand di Lipsia nell'autunno del 1774, i quattri¬ i li f fò ni non li fece. E confessò un po' sconsolato all'amica Sophie La Roche: «Scrivere non mi ha ancora arricchito, né dovrà o potrà farlo». E' una delle infinite curiosità che ci elargisce Siegfried Unseld nel poderoso volume Goethe e i suoi editori appena uscito da Adelphi nella gradevole traduzione di Valentina Di Resa e Giuseppina Oneto. Unseld è cresciuto nel mondo editoriale e da moltissimi anni dirige la casa editrice Suhrkamp di Francoforte, una delle più prestigiose in Europa e fuori. E ha il vantaggio di essere anche un intellettuale raffinato, di quelli che non disdegnano archivi e biblioteche. Ha scartabellato documenti, manoscritti, edizioni da bibliofili sguinzagliando un po' dappertutto i suoi collaboratori. E l'inchiesta ha dato ottimi frutti, di teutonica consistenza: una storia fìtta fitta dell'opera del genio tedesco entrando dalla porta di servizio dell'editore e non da quella di lusso dell'ispirazione. Qui sta la novità, anche se Unseld non ce la fa proprio a mantenersi del tutto ligio al suo tema e si lascia andare talvolta ad analizzare la genesi dell'opera (come nel caso del Divano occidentale-orientale e del Faust), a dir la sua sulle Affinità elettive (pardon, Wahlver-wandschaften, perché in questo ilbro i titoli delle opere goethiane, con una patina di snobismo, sono rigorosamente in originale), a parlarci del carnevale romano o della signora von Stein. Tutte cose che quelli che citano le opere di Goethe in originale conoscono a menadito. Ma che vai la pena di rileggere qui, perché Unseld non fa mai il germanista uggioso, ma piuttosto il libraio pieno di curiosità e l'editore entusiasta osserva i suoi simili di due secoli fa e ci regala un tassello importante della cultura europea, che è venuta fuori anche dalla carta, dalle pagine stampate, dal lavoro di tipografi un po' distratti, correttori impazienti, autori avviliti o gratificati. Unseld ha scritto l'avventura di scrittori ed editori tedeschi tra Sette e Ottocento, un'epoca perigliosa e instabile fra Rivoluzione francese e guerre napoleoniche. Ma anche un tempo in cui nell'e¬ ditoria esisteva la guerra totale. Gli editori ristampavano senza alcun accordo preliminare, un'edizione originale trascinava con sé una marea di edizioni pirata, non esistevano diritti d'autore, come in qualche modo l'Inghilterra aveva già sanzionato fin dagli inizi del XVIII secolo. E in tutto ciò Goethe non fa eccezione. Ha però il vantaggio, con il nome che porta, di riuscire ad affermare taluni diritti che rivoluzioneranno il mondo editoriale. Non c'è da stupirsi se in tanto bailamme Johann Wolfgang si mostra di regola scettico e diffidente nei confronti degli editori, a suo dire scaltri e affaristi, e verso «l'oscurità che regna sul mercato librario della Germania». Bisognerà arrivare al '900 per trovare qualcuno come Thomas Mann o Franz Kafka che sognano di vedere i loro libri presso Fischer o Rowohlt. Goethe non sogna, pensa all'interesse, che dev'essere separato dalla vita. Per gli affari, dice, «c'è bisogno della più stretta coerenza, nella vita un'incongruenza fa spesso bene». Ecco uno che aveva le idee chiare e che per qualsiasi trattativa editoriale possedeva un suo motto: essere lapidari, perentori, concisi. Aveva imparato a proprie spese che anche i geni nel mondo delle lettere non hanno vita facile. La stampa del Gótz von Berlichingen, il dramma che con gran successo nell'estate del 1773 aprì la stagione dei giovani arrabbiati dello Sturm und Drang la dovette pagare di tasca sua. Per fortuna che era benestante e figlio della buona borghesia francofortese. Werther poi gli diede più riconoscimenti che soldi. Lui, convinto che la vita resta comunque un bene, non se la prese: si fidanzò con la bella Lili Schònemann e vestito come il suo infelice eroe fece un bel viaggio in Svizzera. Ma non riusciva a mandar giù tutte quelle edizioni pirata che uscivano a destra e a manca, tra Berlino e Vienna. Gli imputati non si contavano: c'era la stamperia Macklot di Karlsruhe, il contraffattore berlinese Himburg, che pubblicò a più riprese addirittura una raccolta dei suoi scritti, e poi la libreria editrice svizzera Heilmanh e il principe dei contraffattori, il viennese Thomas Trattner, che riceveva perfino un contributo annuale da Maria Teresa d'Austria. Goethe fu per costoro e tanti altri una vera manna. E loro, in cambio, gli fecero pubblicità a costi altissimi, visto che non pagavano diritti. Inutili, per molto tempo, le proteste di librai ed editori seri come Reich di Lipsia o Bertuch di Weimar. Inutili anche le voci di grandi intellettuali del tempo, da Lichtenberg a Lessing, da Kant a Jean Paul, da Wieland a Schiller, autori di scritti e pamphlet contro gli «animali rapaci», i «contrabbandieri» che violavano i diritti d'autore e di pubblicazione. Solo la censura, paradossalmente, riuscì di quando in quando ad arginare il fenomeno delle ristampe abusive. Ma Goethe non si perse d'animo: firmò un contratto con l'editore Góschen di Lipsia, il «Bodoni tedesco», per una prima edizione autorizzata dei suoi scritti. Era il 1786, e ben 2 mila talleri imperiali finirono nelle sue tasche, sempre in rate anticipate, altrimenti niente manoscritti. Così videro la luce in ben otto volumi le prime folgoranti opere, ma anche l'Ifigenia, ì'Egmont, il Tasso, parti del Faust I. Le vendite furono deludenti, ma il cammino del genio verso i grandi editori era segnato. Fu Schiller che lo mise in contatto con Friedrich Cotta, l'editore di Tubinga e Stoccarda, che delle opere di Goethe dal 1802 fu l'unico rappresentante. Tre edizioni culminate nella Ausgabe letzter Hand in 40 volumi, un vero monumento nazionale apparso fra il 1827 e il '30, cioè due anni prima della morte di ambedue, sono il frutto di un sodalizio ispirato alla più alta stima, ma non maturato in amicizia. Goethe ebbe momenti di stizza e di delusione, ma finì per dichiarare «Quel che Napoleone è fra le teste coronate e gli unti del signore, lei lo è fra i librai». E Cotta, politico e imprenditore oltre che editore dei più bei cervelli del suo tempo, non fu da meno. «Di uomini come Goethe - scrisse ne nasce a stento uno nell'arco di secoli, ed è un'acquisizione troppo preziosa per lasciarsela sfuggire, qualunque sia il prezzo da pagare». E i talleri arrivarono, anche se Goethe continuava a lamentarsi. «Mi credono ricco, ricchissimo, e invece è possibile che morrò povero». Ma soprattutto giunsero dai vari Stati tedeschi i privilegi che tutelavano i diritti dello scrittore e stabilivano sanzioni contro ogni tipo di contraffazione. Goethe e Cotta avevano vinto una grande battaglia culturale. Non dove li portava il cuore, ma dove li destinava la voce di un'illuminata intelligenza. Quella che suggerì all'editore profetiche parole: «La letteratura può elevarsi solo quando la si rispetti davvero, e la ricettività del pubblico è direttamente proporzionale allo spazio che viene offerto ai dotti». Luigi Forte