L'ENIGMA FLAUBERT

L'ENIGMA FLAUBERT L'ENIGMA FLAUBERT Chi lo considerò realista, chi parnassiano, chi asceta Nei Meridiani tutto il Gran Normanno, una vita per lo stile OPERE Volume primo (1838-1862) Gustave Flaubert Meridiani Mondadori pp. 1632. L. 75.000 NIGMATICO Flaubert, enigmatica qualità del suo mondo espressivo, della sua scrittura. Ci si ripensa saggiando il primo volume dei Meridiani Mondadori dedicato alla sua narrativa (dalle giovanili Memorie di un pazzo a Salamrribò). Ce ne parla nel denso saggio introduttivo il curatore Giovanni Bogliolo, affezionato quanto ammaliziato studioso del gran normanno. Alla prima sortita lo assegnarono al realismo, sulla scorta del processo intentato a Madame Bovary e alle sue scandalose «crudezze», dopo il giudizio di SainteBeuve sulla penna usata come un bisturi da chi era figlio e fratello di medici. E grazie a questo avallo «scientifico» riuscì inevitabile che Taine e Zola lo arruolassero tra i consanguinei. Invano Baudelaire aveva messo più generalmente in guardia contro l'equivoco della parola realismo: «Inventata la frottola, bisognò crederci». Furono piuttosto le opere successive, da Salammbó a L'éducation sentimentale al postumo Bouvard et Pécuchet, con i sorprendenti mutamenti di contenuto e di stile, che costrinsero la critica a rifare i conti, a inventarsi nuove etichette. Accanto al realista spuntò allora il romantico «refoulé», il parnassiano, l'asceta inteso in senso perfino mistico, ma soprattutto quello votato a uno strenuo esercizio di disciplina formale (la modulazione della frase da poesia in prosa, l'eco dei rimandi interni, il vuoto e il pieno dell'azione e del dialogo...). Sono osculazioni di lettura e di gusto che hanno trovato alimento nella mole degli scritti inediti e nello smisurato epistolario (si è calcolato che le 2000 pagine delle sei opere ufficiali nascano dalla macerazione di 25.000 pagine autografe). Queste definizioni, per quanto parzialmente accettabili, sembrano annullarsi l'una con l'altra, rischiando di entrare a buon diritto - come osserva Bogliolo con ironica perplessità - nel Dictionnaire des Idées re- cues. Non evitano la contraddizione i convincimenti più solidi e duraturi di Flaubert: l'assurdità della vita, che immiserisce anche le aspirazioni più generose della giovinezza e fornisce affioramenti, che si direbbero ogni volta insuperabili, di umana stupidità. Il che non impedisce che questa vita, esposta alle frustrazioni di un desiderio che a tratti si tinge di assoluto, a un laico vanitas vanitatum, imponga di essere raccontata, di realizzarsi con tutte le sue aporie nel supremo appagamento dell'arte. Come dice Bogliolo, Flaubert «si assegna, all'opposto e in un certo senso a completamento e risarcimento della Creazione, l'impresa altrettanto miracolosa dì riconvertire la Carne in Verbo». Lo stesso dogma dell'impersonalità si rivela poco più di un espediente retorico. Se è vero che escogita il discorso indiretto libero per rientrare Nel 1° volume: dalle giovanili «Memorie di un pazzo» a «Salammbó», alla prima «Educazione sentimentale» del 1846, tradotta da Giorgio Caproni

Luoghi citati: Salamrribò