Militare a Cuneo? Mai più di Mario Bosonetto

13 Scompare il battaglione «Mondovì», i militari di leva faranno l'addestramento a Belluno Militare a Cuneo? Mai più Chiude l'ultima caserma degli alpini LA FINE DI UN MITO CUNEO A chiuso ieri la caserma dove fece la naja Totò, almeno nella finzione di alcuni suoi film, visto che il principe Antonio de Curtis, riformato, in realtà non prestò mai servizio di leva. Eppure amava ripetere : «Sono uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo», forse a indicare un luogo sperduto, ai confini della Patria. Eppure la fabbrica di alpini che ha chiuso, Ù Battaglione «Mondovì», di stanza alla caserma Vian di Cuneo, dal '75 ad oggi aveva funzionato benissimo, «producendo» in 22 anni oltre 135 mila soldati di montagna. Perché questa, con l'inconfondibile copricapo contraddistinto da un'unica penna d'aquila, è la caratteristica peculiare di questo Corpo: la specializzazione ad operare in tempo di guerra (ma anche in tempo di pace) nei territori di montagna. La «fabbrica di alpini» ha chiuso alle 11,30. Non è stata l'ultima sirena a suonare, ma in un clima di generale commozione è stata ammainata per l'ultima volta la bandiera del II Reggimento. Il vessillo, decorato con la medaglia d'oro al valor militare, è stato piegato e consegnato all'ultimo comandante del reparto, il tenente colonnello Luigi Vivona, che nei prossimi giorni lo porterà al museo del Risorgimento a Roma. Per capire quale legame unisce la gente di queste terre ai confini con la Francia agli alpini bisogna visitare qualche paesino delle Valli monregalesi o delle Valli Vermenagna, Pesio, Gesso, Stura, Grana, Maira, Varaita e Po. Tutti hanno un monumento o una lapide ai Caduti nella piazza centrale. Targhe che ricordano eventi bellici distanti 50 anni o più, ma che riguardano quasi tutte le famiglie. Su quei cippi ci sono nomi di ragazzi e uomini dai 20 ai 40 anni, partiti per il fronte, nella Prima e nella Seconda guerra mondiale, e in altre campagne, e mai tornati. Sono i genitori, i figli o i mariti di persone ancora vive e che in casa conservano i ritratti ormai sbiaditi di quegli alpini. Un solo dato: degli oltre 10 mila soldati partiti per la Russia cori la divisione Cuneense soltanto poche centinaia fecero ritorno. La storia del battaglione che ieri è stato sciolto è iniziata nel 1886: la risistemazio¬ ne di preesistenti battaglioni e Compagnie alpine - il Corpo era stato fondato nel 1872 - condusse all'istituzione del I Reggimento, che comprendeva i Battaglioni «Pieve di Teco», «Ceva», e «Mondovì». E ci fu anche una «parentesi» friulana: il Battaglione, per ragioni operative, fu trasferito a Paluaro, nel 1962, alle dipendenze dell'8° Reggimento, anche se mantenne «orgogliosamente» lo scudetto della «Taurinense». L'esilio durò 13 anni: il «Mondovì»'venne soppresso il 1° giugno 1975 e ricostituito a Cuneo l'8 settembre dello stesso anno: da allora ha avuto funzioni di addestramento reclute. «C'è mestizia - ha detto ieri alla cerimonia il comandante del 4° Corpo d'Armata alpino, generale Pasquale De Salvia -, ma il prowedimento è dettato dalle nuove esigenze. Si devono adeguare le truppe ad altre missioni. D'ora in avanti i giovani di leva piemontesi assegnati alle truppe alpine dovranno fare il primo mese di addestramento a Belluno. Nostro impegno è prevenire, gestire e risolvere le situazioni di crisi extranazionali a supporto dalla pace». Il generale aveva in mente la prossima partenza delle truppe per Sarajevo. Infatti sono i confini orientali d'Italia, non solo per ragioni belliche, ma per le ondate migratorie, ad essere quelli che necessitano in questo momento di maggiore sorveglianza. Cuneo ha cercato in ogni modo di evitare la partenza degli alpini. «Per mesi - ha ricordato ieri il sindaco Rostagno - ci siamo battuti per riuscire ad allontanare il progetto di cancellare il battaglione. Purtroppo non è servito. Siamo amareggiati, ma comprendiamo le scelte dei militari». Una «battaglia» dettata non solo da ragioni emotive, ma anche economiche: conti alla mano, per la città di Cuneo lo scioglimento del «Mondovì» significa una secca perdita. Ogni alpino, nel mese di addestramento, frequentava bar, pizzerie e negozi. E per i «giuramenti» arrivavano genitori, fratelli, fidanzate. Migliaia di persone che, oltre a riempire alberghi e ristoranti, si trasformavano «veicoli pubblicitari» per la città, la provincia degli alpini. Mario Bosonetto In ventidue anni ha preparato oltre 135 mila soldati di montagna Due immagini del battaglione Mondovì. Da sinistra Nuto Revelli e Totò

Persone citate: Antonio De Curtis, Gesso, Luigi Vivona, Maira, Nuto Revelli, Pasquale De Salvia, Rostagno, Vian